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Urbanistica ed Edilizia nel Centro Antico di Pollenza dal 1800 ad Oggi.

Disegni ed immagini del centro antico prima dell’epoca contemporanea al Museo Comunale di Pollenza[1].


      Possiamo affermare con certezza che tutte le trasformazioni urbanistiche ed edilizie avvenute negli ultimi due secoli nel centro antico di Pollenza risultano documentate. Di quasi tutto ciò che è scomparso, o si è trasformato, nel tessuto edilizio originario, possediamo una documentazione costituita da foto o disegni, per la maggior parte raccolti dal pittore pollentino Giuseppe Fammilume, o da progetti originali di edifici pubblici ed altro materiale relativo alla loro costruzione appartenenti all’Archivio Storico Comunale[2].
È quindi possibile una ricostruzione completa di tutte le trasformazioni urbanistiche ed edilizie che hanno riguardato l’agglomerato urbano all’interno delle mura castellane anche ricorrendo ad una mappa catastale degli inizi dell’800[3] che, tuttavia, rappresenta molto bene anche la situazione nell’ultimo quarto del Settecento, dopo la sistemazione della Piazza Principale, all’epoca denominata Piazza Grande.


Catasto Gregoriano

Mappa catastale di Monte Milone. Catasto Gregoriano. Archivio di Stato Macerata. Diritti Riservati.






I. PERSISTENZA DELLA CONFORMAZIONE URBANISTICA MEDIEVALE FINO ALLA PRIMA METÀ DELL’800.

        Una prima considerazione che si può fare osservando la mappa è che si è di fronte ad un nucleo urbano tipicamente medievale, sorto per scopi difensivi in aggregazione ad un castello, con le strade a schema anulare e disposte secondo l’andamento delle curve di livello, la cui densità edilizia era molto alta. L’altra osservazione da fare è che esistevano pochissimi spazi pubblici: una via principale molto lunga era interrotta unicamente da due piazze, quella detta Grande e Piazzetta della Collegiata. Certamente, se l’impianto medievale fosse giunto così fino ai nostri giorni, oggi sarebbe un centro poco vivibile come, forse, non lo era neanche allora quando risultava sensibilmente più popolato di adesso.
   Da un elenco delle partite del Catasto Urbano di Pollenza ai primi dell’800[4] conosciamo le destinazioni degli edifici pubblici che, in base alle lettere maiuscole che li contraddistinguono sulla pianta, sono le seguenti:

A B
Palazzo Comunale e Torre
C e D
Chiesa e Sagrestia sotto il titolo della B. Vergine della Concezione
E
Chiesa e Sagrestia sotto il titolo di S. Giuseppe
G e M
Chiesa di S. Andrea e Sagrestia
U
Chiesa sotto il titolo di S. Biagio
V
Locale per uso delle sepolture
X
Cemeterio
P
Custodia dei Pegni
R
Magazzeni in atto [e successivamente] Botteghe
S e T
Chiesa e Sagrestia sotto il titolo di S. Francesco
M N O
Ospedale Civico di Monte Milone – Casa di proprio uso
K e L
Oratorio e Sagrestia sotto il titolo di S. Francesco Saverio


II. LE MODIFICHE AL TESSUTO URBANO DALLA METÀ DELL’800 AGLI INIZI DEL ‘900 E GLI SPAZI PUBBLICI REALIZZATI.

 Questa conformazione rimase quasi inalterata fino ai primi anni del Novecento, quando s’iniziò ad intervenire sul tessuto antico con alcune demolizioni, anche di una certa consistenza.
    Va ricordato brevemente che la situazione di Pollenza era un caso abbastanza tipico di nucleo medievale che, giunto agli albori dell’epoca contemporanea, risultava non più idoneo, soprattutto per questioni d’igiene ambientale o relativamente a questioni di circolazione e sosta dei veicoli, alle mutate esigenze che la vita imponeva. In quasi tutte le città italiane ed europee, tra la fine dell’800 e la seconda Guerra Mondiale, si cominciò ad attuare una serie d’interventi nei nuclei antichi, volti non solo a risanare quartieri degradati ma anche a creare nuovi spazi urbani per la valorizzazione dei monumenti. Non possiamo dilungarci troppo su quest’aspetto ma basterà ricordare che all’epoca si sviluppò un certo dibattito, fra gli addetti ai lavori, sul tema della conservazione dei vecchi quartieri, ovvero dell’architettura minore. Spesso, rendere vivibili certe zone avrebbe comportato la demolizione di consistenti parti di tessuto edilizio minore ma, allo stesso tempo, si sarebbero dovuti distruggere edifici il cui valore ambientale era riconosciuto anche allora. Si propose (Gustavo Giovannoni) pertanto, intorno agli anni trenta, onde evitare il sistema degli sventramenti, dei tagli e dei rifacimenti di strade e edifici, una metodologia d’intervento meno invasiva, detta del “diradamento”, consistente nell’operare qua e là nei quartieri più fitti di vecchie case per creare qualche spazio dove non penetrava il sole, eliminando anche qualche elemento trascurabile pur di assicurare la conservazione di tutto il resto, senza nuovi inserimenti e senza demolizioni e ricostruzioni. La teoria del Giovannoni venne però seguita solo in pochi casi, quali i piani di risanamento del Quartiere Rinascimento a Roma, del Quartiere del Salicotto a Siena, di Bari Vecchia (1930), Bergamo Alta (1934), ecc. In molte occasioni si operò invece mediante demolizioni estese onde valorizzare la prospettiva dei monumenti, che portarono alla demolizione di interi quartieri, come nel caso della Spina dei Borghi di San Pietro a Roma, il più celebre, dove oltre a distruggere edifici d’incomparabile valore ambientale anziché migliorare la prospettiva della piazza si ottenne una mistificazione dell’effetto voluto dal Bernini nel’600: San Pietro appariva ben più grandiosa e sorprendente quando vi si sboccava dopo un percorso a misura d’uomo dalle vecchie strade dei Borghi.
     A dire il vero, a Pollenza, non c’era molto da risanare. Il problema, semmai, era quello di creare spazi urbani ed allo stesso tempo dare respiro ad alcune emergenze architettoniche, quali la chiesa di S. Antonio, la chiesa di S. Biagio, o i palazzi nobiliari disposti intorno all’attuale piazzetta Ricci. Vennero pertanto operati alcuni sventramenti, anche consistenti, che portarono il nostro centro alla conformazione attuale.
        Li citeremo in ordine cronologico:
demolizioni e ricostruzioni di Porta S. Croce e della Chiesa dell’Immacolata (1821);
demolizione del Cimitero presso Porta S. Croce e della Chiesa di S. Giovanni Battista nell’attuale Piazza della Libertà  (metà ‘800 e comunque prima del 1884[5]);
demolizione e ricostruzione della Porta del Colle (1854);
diradamento mediante demolizione di alcune case a schiera in vicolo San Bartolomeo (prima del 1884);
sventramento nell’attuale Piazza della Libertà di Palazzo Scolastici (1905);
demolizione di Palazzo Venanzoli con la creazione della piazza S. Antonio (1919) ;
crollo del tetto (1906) della Chiesa di S. Andrea e sua demolizione nel 1926;
demolizione della fabbrica di Ceramica Venanzoli presso la chiesa di San Biagio e creazione di piazza G. Marconi (1927).

Le trasformazioni nel centro antico.

 A Pollenza, dunque, si operò per sventramenti e il risultato che si ottenne consiste in una serie di piazze che danno respiro ad una via molto lunga (l’attuale via Roma che all’epoca si chiamava Strada Grande) che percorre tutto il centro antico. Sicuramente un buon risultato. Partendo dall’ingresso di Porta del Colle e percorrendo tutta la via sino all’uscita di Porta Santa Croce, possiamo osservare come la demolizione della Chiesa Parrocchiale di S. Andrea (unica vera perdita grave seguita alla serie di sventramenti) portò alla realizzazione di quel bellissimo spazio che è Piazzetta Ricci (fig. 1), 

Fig. 1
mentre Piazza Grande (che dal 1889 si chiamerà Piazza Emanuele Filiberto, ed ora Piazza della Libertà), oltre a crescere in dimensione, venne riqualificata architettonicamente con il nuovo loggiato a sud, sicuramente una cornice migliore di quanto non fosse quella del palazzotto demolito (fig. 2).


Fig. 2
La demolizione del Palazzo Venanzoli creò uno spazio e una visuale adeguata alla facciata della Chiesa di S. Antonio. In questo caso, però, si misero a nudo delle casette che prima si trovavano lungo una via secondaria, certamente inadeguate alla nuova dimensione viaria e comunque inadatte a delimitare architettonicamente una piazza (fig. 3).


Fig. 3

Lo spazio adiacente alla Chiesa di San Biagio, infine, risultante dalla demolizione della fabbrica Venanzoli, è il punto debole di tutto l’impianto, in quanto l’orto di fianco alla chiesa non qualifica degnamente lo spazio pubblico come, del resto, anche l’altra zona contigua alla stessa chiesa e dove si trovava il cimitero (quella adiacente a Porta Santa Croce) appare, ancora oggi, come qualcosa d’incompiuto (fig. 3).
Un’altra demolizione consistente si ebbe nel Vicolo delle Monache. Un palazzo che si vede nella mappa catastale dei primi dell’Ottocento non compare più in quella del 1884. Oltre a ciò venne occlusa una parte del vicolo che si addentrava all’interno del Monastero di San Giuseppe: anche questa prima del 1884 (fig. 1).

La documentazione sugli edifici scomparsi (Archivio Storico Comunale di Pollenza)



Chiesa Parrocchiale di S. Andrea

Pianta schematica della Chiesa di S. Andrea (G. Fammilume).


Legenda
  1. altare maggiore
  2. ingresso secondario
  3. altare
  4. fonte battesimale
  5. ingresso principale
  6. parete senza porte ed altro
  7. altare
  8. porta ingresso alla sacrestia

Veduta della Chiesa di Sant'andrea da una foto d'epoca.

Veduta dell'interno della Chiesa di Sant'andrea durante i lavori di demolizione (G. Fammilume).

Piazza Grande (che dal 1889 si chiamerà Piazza Emanuele Filiberto, ed ora Piazza della Libertà)


Disegno della piazza nel 1681, lato nord-ovest. È un documento eccezionale, in quanto mostra la piazza prima dei lavori settecenteschi. Venne allegato alla richiesta di un contributo, al Governatore Generale della Marca, datata giugno 1681, per riparare, dice il documento,

la rovina che presentemente minaccia questa torre, in cui sia collocato l’orologio assieme con un’altra campana solita sonarsi in occasione dei temporali cattivi…

        Il disegno mostra chiaramente l’aspetto e la posizione degli edifici pubblici nella piazza, come illustra la legenda di cui è dotato, oltre alla ben evidente lesione sulla torre contrassegnata con la lettera C.
ARCHIVIO DI STATO DI MACERATA. DIRITTI RISERVATI.

Copia realizzata dal Fammilume, del disegno precedente, conservata ed esposta nelle sale del Museo Comunale di Pollenza.


Ampliamento della piazza mediante la demolizione di Palazzo Scolastici. Disegno realizzato da Corrado Menichelli agli inizi del ‘900, esposto nelle sale del Museo Civico, che illustra molto bene tutto l’intervento.
Si vede al centro la planimetria che contiene la descrizione delle destinazioni degli edifici e l’indicazione delle zone da demolire e ricostruire: le lettere servono ad individuare gli edifici nelle tre prospettive che contornano la pianta.

Altre informazioni sono contenute nell’ampia didascalia:


Questo disegno, quale schizzo dimostrativo del progetto generale dell’ampliamento e sistemazione della Piazza V. E. Filiberto, passò sotto il vaglio di alcuni Consiglieri Comunali che, in un 1° tempo ne osteggiarono l’approvazione. L’attuazione dell’ampliamento avvenne nel 1907 per volontà e munificenza del pollentino Cesare Scolastici. Il progetto generale fu compilato dal geometra del Comune Amilcare Cicconi di Pollenza, il quale per armonia estetica ideò, nel lato demolito, la ricostruzione di una facciata classicheggiante, facendo riscontro, in linea di massima, a quella di fronte, detta del teatro o del Monte di Pietà. Il Cicconi diresse personalmente i lavori ai quali furono capi i muratori Antonio Tamagnini, Francesco Fammilume, Evaristo Cento.



Disegni schematici a penna (G. Fammilume) degli edifici della piazza prima dei lavori. Contengono la descrizione di tutte le attività presenti.



I lavori di demolizione di Palazzo Scolastici.

I lavori di ricostruzione
Immagine della piazza agli inizi del ‘900 dove è ben visibile l’ara romana, che all’epoca era collocata sotto l’ultima arcata della loggia del Teatro.

Interno dell’osteria, l’attuale Caffè del Teatro, nel 1854.

Facciata della Chiesa dei SS Antonio e Francesco


Veduta da Piazza Grande. Presenta un interessante scorcio con la facciata della Chiesa dei SS. Antonio e Francesco prima dei lavori di trasformazione del 1931, ad opera dell’arch. Cesare Bazzani.


Spazio adiacente alla Chiesa di San Biagio risultante dalla demolizione della fabbrica Venanzoli

Veduta della Collegiata con uno scorcio della fabbrica di ceramica Venanzoli (1920 circa).


Cimitero presso Porta Santa Croce


Pianta del Cimitero adiacente alla Collegiata presso Porta Santa Croce

Via Leopardi

Veduta del luogo scomparso, il cosiddetto “orto dei cronici”, orto dell’ospedale, lungo via Leopardi, in un acquerello di M. Marinozzi.




III. LA CHIESA COLLEGIATA DI SAN BIAGIO. UN’OPERA SCONOSCIUTA DELL’ARCHITETTO VIRGINIO BRACCIQUI.

  L’ultimo episodio di rilievo da citare, nell’ambito delle trasformazioni urbane, è la ricostruzione seguita al crollo della Collegiata di S. Biagio. Come si può notare dalla pianta riportata sulla mappa del Catasto Gregoriano (fig. 3), infatti, la chiesa che qui appare non è quella attuale ma quella precedente della fine del’700. È la seconda Chiesa dedicata a S. Biagio sorta in questo luogo. Prima ce n’era un’altra ancora, di origine medievale, per la cui descrizione dobbiamo ricorrere ad alcune notizie riportate in una pubblicazione locale[6]:

questa aveva una sola navata, con tetto a capriate di legno. Era costruita in senso trasversale, opposto quindi a quello dell’attuale Collegiata. L’ingresso si apriva nel Vicolo di Schiavonia, vicino all’odierno altare del SS. Sacramento. Di fronte si ergeva l’altare maggiore, entro un abside detta Cappellone, con coro di 13 sedili e inginocchiatoi dipinti a colore, e ornato di pitture… Per quanto riparata più volte nel corso dei secoli, verso la fine del ‘700, il tempio si mostrava insufficiente per l’accresciuta popolazione, indecoroso di fronte alle nuove fabbriche di chiese e di edifici civili … Superate varie difficoltà, per iniziativa del Comune e con l’approvazione delle competenti autorità, nell’ottobre del 1791, s’iniziò la demolizione della vecchia chiesa.

Il testo continua con la descrizione della seconda chiesa, quella braccesca:

la denominiamo così dal nome dell’ideatore del disegno: l’architetto romano Virginio Bracci, designato all’uopo dalla Congregazione del Buon Governo. Il progettista, ispirandosi al Pantheon, aveva delineato un’immensa fabbrica di forma ottagonale. L’edificio, mal ideato nelle sue proporzioni, pessimamente eseguito dall’imprenditore Paglialunga, dato l’eccessivo peso del tetto, cominciò a cedere: il tetto stesso poi, in data 16 Marzo 1809, crollò in gran parte, procurando un duplice schianto: nel materiale e nei cuori.

   Il giudizio espresso dal Boldorini sull’edificio è a mio avviso fuorviante. Perché si tratta di una stupenda costruzione neoclassica, forse la perdita più grave fra gli edifici scomparsi di Pollenza. I disegni giunti fino a noi, acquerelli originali del ‘700 (figg. 4, 5 e 6), documentano l’aspetto e la forma di questa chiesa che presentava non pochi tratti degni di nota.






Fig. 4, 5 e 6. Pianta, prospetto e sezione della Collegiata nei disegni originali dell'architetto Virginio Bracci.


   La facciata, diciamo in stile neoclassico, rispecchia alcuni esempi europei dell’epoca e denota la predilezione di questo architetto per le forme geometriche elementari, pure, per la grandiosità e per le superfici disadorne, eccezion fatta per il pronao: la chiesa è chiaramente ispirata da quel particolare stile, nato intorno alla metà del ‘700 e sviluppatosi negli anni della rivoluzione francese, che viene comunemente definito “architettura visionaria”. Visionaria perché per la sua grandiosità, per la sua irrealizzabilità soprattutto dal punto di vista delle reali risorse tecniche del tempo, rimase essenzialmente sulla carta, fatte ovviamente salve alcune eccezioni. Si tratta certamente di quanto di più valido e moderno seppe offrire l’architettura settecentesca dal punto di vista teorico; si trattò certamente di una forma di ribellione contro gli schemi tradizionali; un discorso che, interrottosi agli inizi dell’800, venne ripreso soltanto un secolo dopo dai maestri dell’architettura moderna. I principali fautori di questo genere furono, in Francia, Etien – Louis Boullèe e Claude Nicolas Ledoux ed in Inghilterra George Dance e Sir John Soane. In Italia un precursore fu certamente il Piranesi con i disegni per le Carceri.
       Tornando alla nostra chiesa, se veramente fu realizzata così, aveva uno schema compositivo costituito da due volumi sovrapposti e collegati da un pronao ionico[7]. Dal disegno, forse, potrebbe apparire una composizione un po’ goffa ma bisogna tenere presente che il prospetto offre una visione statica dell’insieme, visione alla quale soltanto un disegno prospettico potrebbe in parte rendere giustizia[8].
       Ma la bravura del progettista emerge dalla pianta, quasi unica nel suo genere. La singolarità del disegno sta nel presbiterio, di tipo allungato, ed al suo adattamento ad una pianta di tipo ottagonale. Si basa su un disegno (fig. 7) dell’architetto J. Soane anche se, in verità, questo tipo di presbiterio - coro venne messo a punto dal Palladio intorno al 1565 per le sue due chiese veneziane del Redentore (1576) e del San Giorgio Maggiore (1556). Alla base di questa scelta c’è forse il fatto che una volta l’anno, per la visita del Doge, il coro di S. Marco si trasferiva in queste chiese unendo le proprie voci a quelle del coro della chiesa ospitante. Oltre alla necessità di molto spazio per i cantori il suono del coro, allorché canta dietro all’altare maggiore, è straordinariamente suggestivo e si accorda all’effetto di luce che filtra attraverso le colonne disposte dietro l’altare.


Fig. 7. John Soane. 1779.


      Le due chiese palladiane non vennero mai imitate e rappresentano un caso pressoché unico. Soltanto nel 1779 questo tipo di presbiterio venne riproposto dal Soane che lo adattò ad una pianta di tipo circolare nel progetto per il National Mausoleum. Questo progetto, puro esercizio teorico non destinato alla realizzazione, fu ideato durante un suo soggiorno a Roma presso l’Accademia di S. Luca, alla quale apparteneva anche Virginio Bracci. È qui che l’architetto romano, con molta probabilità, venne a conoscenza del disegno di Soane e che poi ripropose, in maniera semplificata, per la chiesa di Pollenza.
     Certamente, se questa opera sconosciuta agli studiosi non fosse crollata, Virginio Bracci qui avrebbe meritato almeno una citazione nei manuali di storia dell’architettura. Cosa questa che invece non è avvenuta e la sua figura è rimasta nell’ombra.




[1] Questo testo costituisce una sintesi, o meglio l’ossatura, della conferenza tenutasi a Pollenza il 14 maggio 2010 con il patrocinio del Comune e dell’Ordine degli Architetti di Macerata. Va precisato che la stessa comprendeva pure una sequenza di foto e disegni descrittivi delle trasformazioni e di alcuni edifici scomparsi del centro antico di Pollenza. Si è potuto qui, per ragioni di spazio, riprodurne solo una parte.
[2] Esiste poi, presso l’Archivio Storico Comunale di Pollenza qui, un fondo poco conosciuto, denominato Fondo Egidio Nardi, contenente una copiosissima documentazione di progetti realizzati nel Comune nella seconda metà dell’800.
[3] Archivio di Stato, Macerata. Catasto Gregoriano.
[4] Archivio Storico Comunale di Pollenza, Brogliardo del 1818, con aggiornamenti.
[5] Come dimostra una mappa catastale dello stesso anno, conservata presso l’Archivio di Stato di Macerata qui.
[6] N. Boldorini e G. Fammilume, “L’Insigne Collegiata di S. Biagio V. M. in Pollenza”. Pollenza, 1949.
[7] Esistono, in realtà, due versioni del prospetto. Ho ritenuto opportuno proporre soltanto quella in fig. 5 perché, con molta probabilità, è quella realizzata. Ciò si deduce dal fatto che il pronao tetrastilo che appare nel disegno è quello tuttora esistente sulla facciata della chiesa, scampato alle demolizioni.
[8] Un edificio si giudica sempre dal suo ambiente. Questo termine deriva dal latino ambire, girare intorno, e vuol dire che è da più punti di vista che si deve godere di un edificio e non da una visione statica com’è quella che può offrire un prospetto che serve unicamente a fornire le sue reali dimensioni.

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