Alfredo Lambertucci e l’architettura di un luogo.[1]
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Il complesso religioso di San Gabriele dell'Addolorata - Consalvi. |
L’architetto Alfredo Lambertucci
(Montecassiano, 19 marzo 1928 – Roma 10 aprile 1996), durante una carriera
durata più di quaranta anni, ha firmato molte opere di rilievo in tutta Italia.
Fu docente di composizione architettonica presso la facoltà di architettura di
Valle Giulia a Roma dal 1967. Il suo primo impegno professionale fu il
complesso Parrocchiale di Consalvi realizzato a Macerata tra il 1953 ed il 1961.
Tale lavoro costituisce il miglior esempio di architettura religiosa edificato
nelle Marche dal dopoguerra ad oggi e sicuramente uno dei più rilevanti in
Italia nello stesso periodo. Nel 1962 il progetto venne premiato dall’istituto
nazionale di architettura – In/Arch - in quanto “migliore realizzazione
architettonica delle marche” in quell’anno e nel 2011 il complesso monumentale
è stato dichiarato “di interesse culturale” dal Ministero dei Beni Culturali.
Per quale motivo possiamo considerarlo
così importante? In primo luogo è una questione di composizione architettonica.
La costruzione è formata da un insieme di volumi molto diversi tra loro e di
varia altezza che riflettono le differenti attività a cui sono destinati. Tali elementi
sono uniti dall’estro del Lambertucci in un insieme molto armonioso e coerente anche
grazie al gioco delle convergenze dei piani di copertura. Sono strutture
scarne, lineari, funzionali. I quattro corpi di fabbrica principali, chiesa,
battistero, dopolavoro e casa parrocchiale, uniti da un chiostro centrale ed un
volume più basso, la sacrestia, baricentrici, presentano una pianta dinamica,
quasi in movimento, che ricorda più quella della la casa di campagna di Mies
van der Rohe o alcuni progetti e realizzazioni neoplasticisti, che non le
tradizionali disposizioni a volumi accostati dei complessi rurali del Centro
Italia. Le pareti esterne sono uniformi, prive di cornicioni aggettanti e
tagliate verticalmente da fenditure con infissi a telai in ferro o traforate da
finestre a nastro. Le superfici esterne, trattate con mattone faccia a vista,
nascondono una struttura in cemento armato che, coerentemente, viene lasciata
emergere in alcuni punti, come nel caso della chiesa, dove il coronamento dei
muri esterni viene ottenuto con un taglio brusco del rivestimento che lascia a
vista le travi in cemento armato bocciardato le quali assurgono anche, sopra
l’abside ed il portico, al ruolo di cornici. Ciò in perfetta coerenza con il
proprio linguaggio architettonico e con quello della sua epoca e rifiutando ogni
rimando all’architettura tradizionale. Gli interni, infine, di tutti i corpi,
presentano piante libere, aperte.
Molti di questi elementi descritti
caratterizzerebbero più l’edificio come un interessante esempio di architettura
razionalista che tuttavia viene genialmente trasformato, mediante il gioco dei
volumi e l’utilizzo di materiali tradizionali, in una costruzione che così bene
si integra al paesaggio agrario circostante, come si vede dalla foto dei primi
anni ’60 dello scorso secolo, forse l’immagine più significativa, quella che
più di ogni altra sembra riassumere l'essenza del lavoro, che mostra un campo
arato, alcune querce, due coppie di buoi legati al giogo e in ultimo, sul
fondo, gli edifici del complesso che così armoniosamente si inseriscono nel
contesto naturale.
La bravura di Lambertucci sta dunque
nell’aver realizzato un complesso armonioso che, pur dalle linee moderne, si
integra perfettamente al luogo in cui si erge tanto da apparire più come un
complesso rurale di altri tempi che non una realizzazione abbastanza recente.
Guardando questa architettura viene
in mente la frase dell’architetto americano F. L. Wright, “Ogni edificio vero
ha il suo fulcro, i suoi flussi, e sta armonicamente nel suo luogo, come un
cigno nel suo specchio d’acqua”. Sembra quasi, paradossalmente, che l’autore
abbia ascoltato il genius loci, lo
spirito del luogo per ottenere una tale armonia. Ma non si vuole qui sostenere
che in un determinato luogo esista una sola architettura possibile, che sia
questo l’edificio che caratterizza meglio questo luogo, piuttosto che lo
caratterizza degnamente per l’epoca in cui è stato realizzato e così come lo
avrebbe contraddistinto un edificio di pari valore architettonico fatto nello
stesso periodo o nei secoli precedenti.
Oggigiorno, purtroppo, questo avviene
molto raramente. Basta guardare le periferie delle nostre città, a tante
costruzioni che contrastano con i luoghi, deturpandoli, anziché stabilire con
gli stessi un rapporto di armonia, all’uso improprio di stili del passato come
se la nostra epoca non riuscisse più ad esprimerne uno. Guardando questa opera
del Lambertucci sembra quasi di vedere un edificio di altri tempi perché i
nostri occhi si sono abituati a tante brutture e distorsioni attuali. Sono il
valore architettonico di un edificio, la coerenza con il gusto dell’epoca e la
capacità di integrarlo con l’ambiente circostante a creare l’armonia!
Questa architettura possiede altresì un
secondo legame con il luogo dove sorge, un altro vincolo forte, tuttora esistente,
con la popolazione. Come per una cattedrale gotica medievale la gente del luogo,
all’epoca dedita per la quasi totalità all’agricoltura, partecipò attivamente
alla costruzione sia per motivi di fede ma contribuendo anche alla
realizzazione di uno status symbol sociale, a quello che consideravano l’emblema
di un luogo che rappresentava la comunità.
(la foto è tratta dall’archivio
personale di Alfredo Lambertucci e la copia qui pubblicata mi è stata
gentilmente concessa dalla sua famiglia, che qui ringrazio)
[1] Pubblicato il 27 febbraio
2014 su L’Adamo, web magazine per l'indagine culturale. https://adamomagazine.wordpress.com/2014/02/27/alfredo-lambertucci-e-larchitettura-di-un-luogo/#comments
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