Alcune note
sull’industria della ceramica in provincia di Macerata tra la fine dell’800 e gli
inizi del ‘900.
Ritengo interessante esporre, in queste brevi note, un quadro certamente non esaustivo dei centri di produzione di oggetti in ceramica, nella provincia di Macerata, nel periodo che va dalla fine dell’800 ai primi anni del XX secolo. Dai documenti esaminanti, due statistiche, un bollettino ed altro materiale documentario della Camera di Commercio, emerge la presenza di numerose botteghe, sparse in maniera quasi uniforme su tutto il territorio, dalla costa fino alle località montane, ed un solo centro, Pollenza, che poteva vantare la presenza di piccole fabbriche, come venivano definite all’epoca, con una produzione di una certa consistenza e qualità. Le prime occupavano da 1 a 6 lavoratori e producevano ceramica d’uso, oggetti e stoviglie ordinari in terracotta, destinata perlopiù al commercio locale. Quelle di Pollenza producevano sia ceramica d’uso di tipo ordinario che oggetti più raffinati in terraglia e maiolica, occupando fino a 20 dipendenti, con un mercato geograficamente più ampio rispetto alle altre.
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Foto 1. Bottiglia in maiolica. Pollenza. Ultimo quarto XIX sec. Collezione privata. |
In effetti il periodo che va dalla
fine dell’800 ai primi anni del 900 rappresenta un momento cruciale, da un
punto di vista economico, per la nostra provincia, quando la fabbricazione di
oggetti in ceramica, seguendo un destino comune peraltro a moltissime altre
manifatture locali, riuscì a sopravvivere traendo la propria ragione di
esistere da una domanda tutta interna al territorio dove erano insediate o
proveniente, in minima parte, dalle regioni confinanti come nel caso di
Pollenza. Un siffatto equilibrio,
il cui funzionamento era dovuto unicamente alla netta chiusura della regione
rispetto ai mercati esterni, chiusura dovuta soprattutto all’inadeguatezza
delle infrastrutture stradali, cominciò a vacillare quando ci si trovò di
fronte ad una competizione commerciale vera, quella con i prodotti di altre
regioni, i cui costi facevano sì che le nostre industrie non potessero reggerne
la concorrenza. A determinare la decadenza e l'inesorabile tramonto degli
opifici locali contribuì in maniera determinante il flusso commerciale di
vasellame, prodotto industrialmente, proveniente dal Nord Italia, il cui
ingresso in regione venne facilitato dal miglioramento delle vie di
comunicazione esistenti o dalla realizzazione di nuove vie fra le quali, non
ultime, quelle ferroviarie il cui completamento avvenne negli anni dal 1886 al
1891[1].
L’arretratezza delle tecniche e l’alto costo dei
materiali contribuì notevolmente a questo declino. Un materiale ceramico molto
utilizzato per la produzione di oggetti di uso comune, come stoviglie o servizi
da camera, era ancora la maiolica che nei centri industriali più avanzati non
si usava più da decenni, se si eccettua il filone del revival rinascimentale
nelle arti decorative di fine 800, del quale uno dei principali esponenti fu
Vincenzo Molaroni di Pesaro, con la produzione di pregevoli maioliche istoriate.
Comportava la lavorazione al tornio e l’utilizzo di uno smalto coprente, che si
realizzava con un procedimento molto complesso e che prevedeva l’utilizzo di
materie prime, piombo e stagno, che si acquistavano a prezzi abbastanza elevati.
L’unico vantaggio era la reperibilità dell’argilla in zone vicine a quelle di
produzione che consentiva di abbattere notevolmente le spese di trasporto. I
materiali più “moderni”, utilizzati oramai da quasi tutte le industrie, erano
la terraglia e la porcellana che consentivano una produzione, soprattutto la
prima, con un notevole abbattimento dei costi, dovuto alla possibilità di
realizzare i pezzi mediante stampi, con il metodo del colaggio, e senza
l’utilizzo dello smalto bianco coprente. Per contro la realizzazione di questi prodotti
comportava l’uso di particolari terre chiare, non sempre reperibili nelle
vicinanze, il cui trasporto in zone mal collegate era realmente molto costoso.
Inoltre il perdurare dell’impiego di fornaci a fuoco non continuo a legna, che erano ancora quelle di tipo
rinascimentale, richiedeva tempi lunghissimi per raggiungere le alte
temperature di cottura, rendendo ancora meno redditizio questo sistema
produttivo.
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Foto 2. Albarello in maiolica. Pollenza. Ultimo quarto XIX sec. Collezione privata. |
Nelle Marche si iniziò ad utilizzare la
terraglia a partire dagli inizi dell’800 a Pesaro, con la fabbrica Reggiani e
Compagni rilevata nel 1814 da Benucci e Latti[2],
e ad Urbania con la fabbrica Albani. Anche a Monte Milone (ora Pollenza)
risulta documentata una produzione di oggetti in terraglia dal 1820 al 1830 circa[3],
ripresa poi a partire dal 1860 e fino agli inizi del XX sec.[4]
A Fabriano la terraglia venne prodotta dalla fabbrica di Antonio Ronca, a
partire dal 1834, e si continuò a realizzarla ininterrottamente fino agli inizi
del XIX sec. ed oltre[5].
Anche Ascoli Piceno può vantare una produzione di oggetti in questo materiale,
sin dalla prima metà del XIX sec., con la manifattura Paci[6].
Nessuna fabbrica nelle Marche riuscì invece a produrre porcellana, se si
eccettua una breve esperienza di quella del Verdinelli a Monte Milone (ora
Pollenza) nell’ultimo quarto del XVIII sec.[7]
ed alcuni tentativi a Pesaro da parte della fabbrica Casali Callegari[8].
Fatta eccezione per questi pochi centri, dove
tuttavia la produzione rivestì sempre un carattere artigianale e mai realmente
industriale, per la maggior parte delle manifatture nelle marche i materiali
utilizzati erano sempre la maiolica o la terracotta invetriata e con l’impiego
di tecniche produttive oramai superate.
Nella nostra provincia, quando le vie di
comunicazione furono rese più efficienti, rendendo l’importazione delle materie
prime e l’esportazione dei prodotti notevolmente più agevoli ed economiche, le
industrie più importanti si trovarono impreparate, non essendo state in grado
di adeguarsi mediante investimenti a sistemi produttivi più moderni e
vantaggiosi, andando incontro al fallimento economico. Stesso destino per le
realtà produttive più piccole che, successivamente al 1920, andarono via via
scomparendo. Unica eccezione Appignano, dove tuttora è presente una produzione
artigianale di ceramiche d’uso che dura ininterrottamente da quasi cinque
secoli.
Foto 3. Brocchetta da Pozzo. Appignano.
Produzione attuale. Da https://appignanoceramica.it/galleria/opere-locali
Questo atteggiamento da parte degli imprenditori,
che ho già altrove cercato di tratteggiare[9],
è ben descritto in un testo edito dalla Camera di Commercio di Macerata nel
1907[10]:
Per un amalgama di cause storiche, politiche e
topografiche, che non è qui il caso di esaminare, l’attività industriale e
commerciale di questo Distretto non ha potuto ancora avere quello sviluppo che
ha meravigliosamente raggiunto in altre regioni d’Italia.
Pur dovendo fare qualche eccezione, si potrebbe dire,
senza tema di errare, che essa abbia tuttora la fisionomia di tempi ormai
sorpassati e che la sua progressiva evoluzione sia stata talmente lenta da
apparire quasi impercettibile.
Quello spirito di iniziativa e di fiduciosa associazione
di forze, che è il coefficiente psicologicamente necessario per progredire,
difetta nella nostra popolazione e non deve, pertanto, far meraviglia se la
organizzazione commerciale ed industriale presso di noi conservi il carattere
quasi patriarcale di altri tempi, quale cioè impongono i principii fondamentali
della esistenza e della coesistenza familiare, più che sociale. Sono le
necessità prime della vita, quelle a cui rispondono presso di noi le varie
industrie propriamente dette, le quali abbiano assunto una vera importanza –
quindi esse si limitano alla produzione dell’occorrente per il sostentamento,
per l’abitazione ed, in parte, per il vestiario. Il che, del resto, deve
considerarsi come una conseguenza del fatto che la nostra è una popolazione
eminentemente agricola.
Botteghe e fabbriche di
ceramica esistenti in provincia di Macerata dal 1889 al 1908.
1.
fabbrica di stoviglie
Vissani Pacifico
Mogliano
1.
fabbrica di stoviglie
Brocchi Vincenzo
Appignano, fabbriche di
stoviglie
1.
Bartoloni Cesare
2.
Bartoloni Flavio
3.
Bartoloni Pacifico
4.
Bartoloni Pietro
5.
Firmani Luigi
6.
Giulianelli Gio. Antonio
7.
Vignati Giovanni
Pollenza, fabbriche di
maioliche
1.
Farroni Antonio
2.
Nardi Luigi
3.
Nobili Pirro
4.
Venanzoli Giovanni
Castelraimondo,
fabbriche di stoviglie
1.
Antonazzi Pompeo
2.
Gaoni Vincenzo
3.
Mentonelli Serafino
Negli Annali di Statistica del 1892[11]
sono presenti notizie più dettagliate sulla produzione. Mancano però i nomi
delle ditte.
Stoviglie Comuni. - La Fabbricazione delle stoviglie ordinarie in terra cotta e dei vasi
sia per fiori che per acqua, si esercita in 41 fornaci sparse fra 13 comuni
della provincia.
Si tratta
in generale di piccoli stabilimenti con forni a graticola ordinaria, i quali,
se si faccia eccezione per quello del signor Nardi Alessandro nel comune di Pollenza che occupa 14 operai, raramente danno lavoro a
più di 3 operai.
Questa
industria occupa in complesso 149 operai, così distribuiti fra i diversi
comuni:
Appignano Fornaci
N. 10 Operai N. 29
Caldarola id.
“ 1 id “
2
Castel Raimondo id.
“ 4 id “
12
Civitanova Marche id.
“ 5 id “ 21
Ficano id.
“ 3 id “
4
Matelica id.
“ 1 id “
2
Mogliano id.
“ 3 id “
3
Muccia id. “ 1
id “ 5
Penna San Giovanni id.
“ 2 id “
6
Pollenza (1) id.
“ 2 id “
18
Potenza Picena id.
“ 2 id
“ 6
Tolentino id.
“ 4 id “
20
Treia id.
“
3 id
“ 21
Maioliche ordinarie. – Il signor Venanzoli Giovanni possiede
nel comune di Pollenza uno stabilimento nel quale si fabbricano svariati
oggetti di maiolica bianca e colorata, occupando 20 operai, di cui 14 maschi
adulti e 6 sotto i 15 anni. Lo stabilimento ha 2 forni a fuoco intermittente,
coi quali si producono annualmente circa 150.000 pezzi di maiolica per un
valore di lire 14.000. Questi prodotti vengono smerciati nelle Marche e
nell’Umbria.
Tale
lavorazione che si esegue esclusivamente a mano ed impiegando fornaci a fuoco
non continuo, occupa complessivamente 93 operai.
La
fabbrica più importante e più nota è quella esistente a Pollenza, di proprietà
della ditta Venanzoli Giovanni, la quale occupa dai 20 ai 24 operai.
Da un Elenco[13],
compilato il 14 luglio 1908 dalla Camera di Commercio di Macerata su richiesta
del Ministero di Agricoltura Industria e Commercio, per la Statistica delle
fabbriche di terraglie maioliche e porcellane, risultano attive in provincia 39
ditte:
- Bartoloni Cesare Montecassiano
- Venturi Luigi Camerino
- Castelli Carlo Matelica
- Ginobri Giuseppe fu
Francesco Cingoli
- Marcoaldi Agostino Penna S. Giovanni
- Venanzoli Giovanni Pollenza
- Bartoloni Flavio Appignano
- Bartoloni Antonio id
- Fermani Odoardo id
- Vignati Giovanni e
Cesare id
- Bartoloni Giovanni id
- Fermani Giuseppe fu
Pietro id
- Fermani Luigi e figlio id
- Leonardi Pacifico id
- Giulianelli Giovanni e
Figli
id
- Fermani Giuseppe e Luigi id
- Gaoni Ulisse Castelraimondo
- Antonozzi Pompeo id
- Turchi Elisa Ved. Antonozzi
id
- Bongelli Arturo Civitanova
Marche
- Moschettoni Giovanni id
- Bongelli Pio id
- Ciarrocchi Andrea id
- Bongelli Francesco id
- Giacomini Antonio Treia
- Bartolazzi Carlo id
- Sparapani Luigi id
- Giacomini Giuseppe id
- Lupari Giulio Tolentino
- Gesuelli Adorno id
- Francioni Antonio id
- Catarinelli Filippo id
- Fratelli Brocchi Mogliano
- Latini Luigi id
- Latini Adele id
- Brocchi Domenico e figli id
- Vichi G. B. Ficano
- Vissani Francesco id
[1] «Fino all'avvento della rete ferroviaria nazionale, le Marche godono di una elevata protezione delle produzioni locali, a motivo degli elevati costi di trasporto, ma, corrispettivamente, soffrono anche di un elevato grado di isolamento in relazione ad eventuali produzioni esportabili»: E. Sori, Dalla manifattura all'industria, op. cit., p. 348. Sull'argomento cfr. anche V. Paci, Strade e comunicazioni. Motivi di conservazione e di trasformazione degli assetti territoriali, in AAVV, Atlante storico del territorio marchigiano, Ancona, 1982.
[2] L. L. Loreti, La ceramica a Pesaro nel Settecento e nell’Ottocento, in G.C. Bojani (a cura di), Fatti di Ceramica nelle Marche. Milano, 1997, p. 97.
[3] A. Nardi, M. T. Stura, Francesco Verdinelli Ferrini. Ceramiche a Monte Milone tra Sette e Ottocento, Pollenza, 2003, p. 35.
[4] A. Nardi, La ceramica a Pollenza: fulgore e declino di un fenomeno scomparso, in F. Sileoni et. al., Una storia di fratellanza e solidarietà, Pollenza, 2017, p. 153.
[5] E. Mezzanotte et al., La terraglia all’uso d’Inghilterra a Fabriano, in G. C. Bojani, cit., p. 239.
[6] S. Papetti, Maioliche e Terraglie in Ascoli Piceno, ibidem, p. 225.
[7] A. Nardi, M. T. Stura, cit. Si veda anche in questo blog, La Ceramica di Pollenza. Parte III. https://pollenzaedintorni.blogspot.com/2019/07/la-ceramica-di-pollenza-parte-terza.html
[8] V. Alberini, La rinascita delle ceramiche a Pesaro nel Settecento e l’opera mediatrice di Giovanbattista Passeri e Gianandrea Lazzarini: tre lettere inedite (1755-1760). In Faenza, anno LXXXIV (1998), n. 1-3, p. 117.
[9] A. Nardi, M. T. Stura, cit. p. 43: “Mancarono gli investimenti e, soprattutto, una vera e propria mentalità imprenditoriale. I guadagni servirono sempre all'acquisto di terreni, al cui sicuro frutto non si rinunciava per rischiare il denaro nell'attività e, in questo, i maiolicari furono di certo in linea con una mentalità che contraddistinse il carattere dell'economia provinciale e regionale di fine settecento e della prima metà dell'ottocento per la quale la richiesta fondamentale restava la terra”.
[10] Cenni e dati sulle condizioni dell’industria e del commercio nella Provincia di Macerata, in Bollettino della Camera di Commercio ed Arti della Provincia di Macerat, Macerata, 1907, p. 1.
[11] Annali di Statistica. Statistica industriale, Fasc. XLII, Roma,
1892, pp. 26-27.
[12] Bollettino Camera di Commercio Macerata 1907. P. 6.
[13] Archivio di Stato di Macerata, Camera di Commercio, b. 45.
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