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LA CASA DEI COLOMBI. Parte prima.

 

Case, ville, torri colombaie

 

I. Introduzione[1] 

     Se esiste un tipo di edificio che ha sempre esercitato in me un fascino particolare questo è sicuramente la casa – torre – colombaia[2]. Questo tipo di costruzione rappresenta senza dubbio una delle espressioni più interessanti dell’architettura rurale anche se, paradossalmente, in pochi conoscono la sua reale funzione. Era essenzialmente un fabbricato per l’allevamento dei piccioni formato da una torre isolata o facente parte di un aggregato edilizio più complesso: in quest’ultimo caso rappresentava l’elemento architettonico qualificante sia in quanto primo nucleo di successive aggregazioni di corpi di fabbrica o in quanto parte di una dimora rurale o villa progettate in funzione della colombaia stessa o delle quali la colombaia costituiva, in base a precise scelte non solo architettoniche, il volume dominante.

     In realtà l’allevamento di piccioni che in esse si praticava non serviva, in via principale, al consumo della carne di questo volatile, ma anche a produrre concime a basso costo.

     Si tratta di torri non eccessivamente alte, a pianta quadrata, rettangolare, poligonale o circolare e costituiscono uno dei primi tipi di edificio stabile a comparire nelle campagne italiane a partire dal medioevo, anche se la loro origine risale all’epoca romana o, forse, a tempi ancora più antichi.

     Questa costruzione si sviluppa secondo diverse tipologie edilizie. La più semplice è la torre isolata, a volume interno unico o a diversi piani ognuno avente una propria funzione particolare. Si hanno poi tipi più complessi, dove la torre è associata ad uno o più volumi che possono fungere da base o essere disposti in accostamento. Esistono infine alcuni complessi edilizi o ville che presentano due torri colombaie disposte in simmetria.

     In definitiva si tratta di strutture fortemente legate all’ambiente rurale nel quale sono collocate integrandosi perfettamente al paesaggio e contribuendo, per la particolare funzione della produzione di concime, a determinarne l’aspetto caratterizzando le colture che nello stesso venivano praticate.

     Esistono ancora molte colombaie nelle zone rurali di tutte le regioni italiane e pure in altre nazioni europee, quali la Francia, la Spagna o alcuni paesi dell’est europeo, o nell’Asia Minore, anche se il numero, rispetto a tutte quelle esistenti nei secoli passati, è notevolmente diminuito. Il loro utilizzo infatti, mutando le tecniche agrarie, durò all’incirca fino agli inizi del XIX sec. e da allora molte sono state abbandonate alla rovina mentre in alcune sono crollate le torri e si sono conservati i volumi adiacenti o quello sottostante. 

 

La tipologia edilizia[3] e la funzione. 

     Va subito precisato che non esiste una tipologia edilizia legata ad un periodo storico ben definito. Ogni epoca, da quella romana in poi, ha visto l’edificazione di questi edifici in base a quasi tutti i tipi che conosciamo, fatta eccezione per quello della villa a blocco unico, con torre colombaia disposta in posizione baricentrica o con due torri ai lati della facciata, che rappresentano le forme mature apparse a partire dalla prima metà del cinquecento. Allo stesso modo si deve affermare che non esiste un tipo di colombaia legato ad un certo territorio o ad una certa cultura tanto che si può parlare, a mio avviso, di un linguaggio comune, con alcune piccole varianti locali, che si estende dal sud Italia fino a gran parte dell’Europa. 

     Il tipo più semplice di casa-torre-colombaia è la torre isolata che può avere più piani o un unico volume interno destinato all’esclusivo allevamento dei colombi. La prima è definibile, tipologicamente, come una serie di volumi sovrapposti, ad uno o più ambienti interni, con aperture (affacci) su più lati, che la rendono abitabile, ad eccezione del piano più alto dove le bucature verso l’esterno si riducono ad aperture di varie dimensioni destinate all’ingresso dei colombi. Sotto a queste è quasi sempre presente una fascia sporgente che si estende per l’intero perimetro o meno. L’altra ha solo il solaio di copertura, o la volta, con unico accesso dall’esterno e le bucature destinate al passaggio dei colombi che può essere agevolato, in ambedue i casi, da un’ulteriore apertura sul tetto. Gli altri tipi si differenziano da quello più semplice per la presenza di volumi accostati o disposti sotto la torre. In alcuni casi la torre colombaia appartiene ad un complesso edilizio rurale abbastanza grande, quale la villa o la fattoria, delle quali rappresenta la parte emergente in altezza. In tutti questi casi i volumi adiacenti alla torre possono essere ampliamenti successivi all’edificazione della torre stessa, da intendere come nucleo di aggregazioni successive, o essere coevi e facenti parte di un insieme di volumi progettati e realizzati unitariamente.

     Nei tipi più complessi di edifici con colombaia possiamo trovare tutte le funzioni attinenti all’attività di coltivazione dei terreni o all’allevamento di animali associate alla residenza dei coloni o dei proprietari. In genere al piano terra erano collocate le stalle, le rimesse e le cantine, al piano o ai piani superiori le residenze ed i magazzini e sulla torre il volume per l’allevamento dei piccioni. In alcuni casi troviamo un piano interrato a destinazione cantina.

     Occorre distinguere, infine, tra il tipo di edificio monofunzionale adibito all’esclusivo allevamento dei colombi, la torre ad unico volume interno sopra descritta o altro tipo di costruzione isolata ad uno o più ambienti interni, e quello dove gli ambienti destinati a questa attività erano parte integrante di un insieme più complesso, case – torri – colombaie, che è l’oggetto principale del presente studio. Si farà tuttavia qualche accenno anche ai tipi più semplici ovvero destinati unicamente al ricovero dei colombi. 

 

Le fonti storiche e letterarie. 

     Riveste, a mio avviso, un’importanza fondamentale lo studio delle fonti storiche, nel nostro caso soprattutto letterarie, per comprendere appieno questo tipo di edificio. Da ciò deriva il particolare risalto che ho cercato di dare, in questo piccolo testo, alle fonti letterarie relative alle colombaie, riferimenti, descrizioni, istruzioni riportate negli scritti di vari autori nel corso dei secoli, a partire dall’epoca romana e fino al XVII secolo, ma anche norme statutarie, del periodo compreso tra XII e XVI sec, che si sono rivelate molto ricche di notizie utili alla ricerca. Soltanto così, forse, si poteva ricostruire non solo l’evoluzione tipologica di questo edificio ma soprattutto la vera funzione che aveva nell’ambito dell’azienda agricola laddove ha costituito, in epoca medievale, una delle poche forme di insediamento stabile insieme alle tumbe ed alle fattorie fortificate, le cosiddette case forti[4] o altri edifici aventi funzione prettamente difensiva.

     Oltre a questo tipo di fonti tradizionali lo studio si basa anche su materiale trovato in Rete. Questo metodo non è certamente scientifico ma può essere utile per il reperimento, a larga scala, di materiale fotografico o documentario consentendo di ampliare i confini di una ricerca tradizionale. Ciò vale per molte delle immagini degli edifici individuati, che erano indispensabili per illustrare i vari tipi di colombaie esistenti, o per il materiale archivistico di tipo cartografico disponibile attualmente in Internet. 

 

II. L’epoca romana.

     Da un esame delle fonti letterarie antiche di epoca romana o tardo-romana, possiamo desumere che già nel primo secolo a.C. esistevano diversi tipi di colombaie.

     La prima fonte letteraria a me nota che descrive una colombaia è il De Re Rustica di Marco Terenzio Varrone scritta nel 37 a.C. 

… in una colombaia soglionvi essere due specie di colombe; una delle quali è selvaggia, o, come altri dicono, sassaiuola, perché dimora sulle torri, o sopra il columen, o colmo della casa di villa: dal che n'è venuto che a questi animali si è dato il nome di Columbae, le quali a motivo della loro timidità naturale, si ritirano sopra i luoghi più alti dei tetti, e per questo i colombi selvaggi amano specialmente le torri, dalle quali sen volano spontaneamente sui campi, per ritornare poi alle stesse. L'altra specie poi di colombe è più domestica, perché si contenta del cibo che si dà ad essa nelle case, e si suole allevare nell'interno della casa. Questa specie è particolarmente bianca, ma la prima screziata e senza tinta di bianco. Da queste due razze, se ne trae una terza, ch'è di colore mischio, e che si alleva, affinché frutti. Questa si rinserra in una specie di edifizio che alcuni chiamano perisewgc [colomba], ed altri periserotrofeion [da colomba e nutrire]. Sovente in uno di questi luoghi se ne rinserrano fino a cinquemila. Questi edifizi debbono essere coperti a guisa di una grande cupola, non avere che una porta stretta e delle finestre alla cartaginese, o più larghe e graticciate di dentro e di fuori, affinché tutto il luogo sia chiaro, e non possa avervi, ingresso il serpente, o qualche altro animale nocivo. S'intonacano di marmo pesto tutt'i muri e le volte internamente; e quest'intonaco si rende liscio più che si può: del pari si fa lo stesso esternamente intorno le finestre, per impedire che il sorcio, o la lucerta possa aggrapparsi sino agli occhi della colombaia, perché non vi ha animale più timido della colomba. Per ogni coppia di colombi, si distribuiscono con ordine degli occhi rotondi e spessi: questi ordini di occhi possono essere molti, cominciando da terra sino alla volta. Ogni occhio bisogna che internamente abbia in tutt'i sensi tre palmi e che l'ingresso sia tale che la colomba possa entrare ed uscire. Sotto ciascun ordine di occhi si attaccano alle muraglie delle tavolette, larghe due palmi, le quali servano di vestibolo, e su cui possano i colombi poggiarsi avanti di entrare negli occhi. Questi volatili sono nettissimi: per la qual cosa il custode della colombaia dee nettarla parecchie volte tra il mese; e lo sterco che lorda il luogo, è tanto acconcio per l'agricoltura , che alcuni autori hanno scritto essere questo il miglior concime. Bisogna che medichi le colombe ammalate, che levi quelle che sono morte, e che tragga fuori quei colombini che sono buoni a vendersi. Parimente il custode della colombaia debbe fare in guisa, che le colombe selvaggie sieno ben separate dalle altre, al quale oggetto le trasporterà in un luogo segregato; del pari deve esservi un luogo a cui richiamar possa dalla colombaja le madri. Ciò si fa per due ragioni: la prima, che infastidendosi, od annoiandosi di star rinchiuse, possan ristorarsi all'aria libera, quando voleranno nei campi; e secondariamente per adescare delle altre di portarsi alla colombaia, cui non mancheranno di ritornare, per motivo dei loro figli, quando bene non sieno ammazzate dal corvo, ovvero rapite dallo sparviere. Quelli che hanno la cura della colombaia, sogliono ammazzare questi animali, piantando in terra due verghe invischiate, curvate tra di loro, e attaccando tra queste quell' animale che gli sparvieri sogliono assalire: in tal modo restano ingannati ed invischiati. È facile il ravvisare che le colombe ritornano donde sono partite; poiché molti nel teatro le traggon fuori dal seno, e le lasciano in libertà; e se non ritornassero, non le lascerebbero in libertà. Il cibo si mette intorno le pareti. Bisogna che l'acqua sia netta nei truogoli, i quali si riempiranno per mezzo di canaletti che sono al di fuori, affinché possano bere e lavarsi. Amano il miglio, il formento, l'orzo, i piselli, i fagiuoli e l'orobo. Parimente chi possiede queste colombe selvagge sulle torri e sui colmi delle case di villa, deve aver cura, per quanto è possibile, di farle passare nella colombaia. Bisogna prenderle di buona età, cioè né troppo giovani, né troppo vecchie; e si faccia che il numero de maschi agguagli quello delle femmine, Non vi è animale più fecondo delle colombe, poiché nello spazio di quaranta giorni concepiscono, partoriscono, covano, ed allevano i colombini. Ciò fanno quasi in tutto l'anno; e solamente intralasciano dal solstizio d'inverno fino all'equinozio di primavera.[5] 

In questa prima fonte esaminata Varrone parla, innanzitutto, di Columbae, le quali a motivo della loro timidità naturale, si ritirano sopra luoghi più alti dei tetti e per questo i colombi selvaggi amano specialmente le torri dalle quali sen volano spontaneamente sui campi, per ritornare poi alle stesse. Appare qui descritta un tipo di torre colombaia costruita sopra il tetto di una casa, villa o fattoria, come luogo più adatto per allevare colombi. Tale tipo viene menzionato anche in altre opere successive, quella di Lucio Giunio Moderato Columella e Tauro Emiliano Rutilio Palladio. Si tratta di una tipologia, come vedremo, che verrà utilizzata fino al sec. XVI ed oltre, con una o due torri colombaie realizzate sul tetto dell’abitazione o complesso rurale. Varrone descrive poi un altro tipo di colombaia, una specie di edifizio dove se ne rinserrano fino a cinquemila. Si tratta di una colombaia staccata dall’abitazione, un edificio a sé stante, coperto a guisa di una grande cupola e il cui unico vano interno è dotato di occhi rotondi e spessi, disposti secondo diversi ordini da terra fino alla volta. Tali occhi sono i buchi dove trovavano alloggio le coppie di colombi. La forma di questa costruzione descritta da Varrone è sicuramente quella di una torre a pianta circolare, in quanto coperta a cupola[6], o a struttura in travi di legno, con tetto conico e che doveva essere uno dei tanti edifici costituenti il complesso rurale della villa romana inteso come entità produttiva. Non viene menzionato da Vitruvio nella sua descrizione degli edifici rustici[7], di pochi anni successiva all’opera di Varrone, in quanto era un edificio non proprio indispensabile alla conduzione del fondo ma sicuramente ne costituiva un arricchimento, presente soltanto nei complessi rurali più grandi e strutturati, dato che consentiva di allevare colombi in grande quantità, la cui carne era molto apprezzata, e di produrre un concime ritenuto anche all’epoca molto efficace, la colombina.

L’uso di questo tipo di edificio descritto da Varrone continua anche in epoche successive, medioevo ed oltre, tanto che per avere un’idea della sua forma si può fare riferimento, ad esempio, al Dictionnaire raisonné de l’architecture française du XI au XVI siècle di Viollet – Le – Duc  [8] dove vengono riportati, fra gli altri, i disegni di una colombaia del sud della Francia del XVI sec che mostra caratteristiche molto rispondenti a quelle di epoca romana (figg. 1-4), o anche agli esempi italiani coevi presenti in Puglia, come quello della foto 1 dove si è riportata, fra le tante esistenti, una colombaia di questo tipo a Nardò (LE). Riporto anche l’esempio francese della foto 2, esistente tra Creully e Tierceville in Normandia, un rudere dove ancora è visibile un lacerto della cupola in mattoni.




Figure 1-4. Colombaia dal Dictionnaire raisonné di Viollet–Le–Duc. 


Foto 1. Colombaia presso Masseria Nucci e Nardò (LE).
Da https://mapio.net/images-p/20174103.jpg

Foto 2. Colombaia tra Creully e Tierceville in Normandia.
Da https://mapio.net/images-p/51929176.jpg


La presenza di questo tipo di torre sembra documentato anche nel medioevo, come emerge dalle miniature del De arte venandi cum avibus di Federico II di Svevia scritto intorno al 1260 (figg. 5-6. Biblioteca Apostolica Vaticana, Palatini Latini, cc. 58v e 61v) . Si tratta però, in questo caso di falconiere, ovvero torri utilizzate per crescere, nutrire ed ospitare i falchi destinati alla caccia: Locus itaque in quo nutriendi sunt parvuli falconum, sit in loco campestri, distanti ab arboribus et a sylvis, in turri aut in domo alta solitaria, nutriebantur enim à parentibus suis in altis locis longinquis à sylva. Preterea falcones naturaliter diligunt loca campestria, multitudinem arborum carentia, et in talibus locis venantur, unde si nutrientur in sylvis aut inter arbores, postquam crevissent, licet nondum firmi, huc et hilluc extra suum locum volarent ad loca campestria, quoniam naturaliter condelectantur in eis[9]. 


Figg. 5-6. De arte venandi cum avibus. Manoscritto, cc. 58v e 61v.
Biblioteca Apostolica Vaticana. Diritti riservati.

https://digi.vatlib.it/view/MSS_Pal.lat.1071


     Tornando all’epoca romana un’altra fonte è costituita dal De Re Rustica di Lucio Giunio Moderato Columella (4 d.C. – 70 d.C) 

Col mezzo stesso riesce far grassissimi i colombi salvatici, ei casalinghi: né però nell'impinguar colombi è sì grande la rendita, quanto nell'allevarli; dacché il possedimento ancora di questi non è mal confacente alle cure del buon contadino. Ma cotal qualità d'animali con minor governo si nutre in lontane contrade, ove si permette a volatili una libera uscita; perciocché in cima o alle torri, o alle più alte fabbriche frequentano le stanze assegnate con aperte finestre, per cui svolazzano fuori in cerca de' cibi. Tutta via per due o tre mesi ricevono alimenti tenuti in serbanza; pel tempo restante pascono sé medesimi colle semenze della campagna. Ma così non possono fare in vicinanza delle città, essendo quivi accalappiati dagli uccellatori con varie insidie: perciò fa d'uopo cibargli in casa rinchiusi; e non già in una parte bassa del villesco recinto, né fredda, ma in alto si dee fare un solaio, che guardi il mezzodì vernale, e nei suoi muri, per non ripeter cose già dette, come pel gallinaio abbiamo insegnato, uno presso l'altro s'incavino gli stanzini; e se così non si può, cacciati entro de' palicciuoli, vi si sovrappongano tavole, sulle quali le nicchie, o nappi di terra cotta, si adattino, dove i colombi facciano il nido, postivi davanti de' limitari, pe' quali giungano a loro covi. Il luogo poi tutto, e gli stanzini stessi delle colombe hanno da pulirsi d'in tonico bianco; perciocché di quel colore singolarmente dilettasi questa schiatta d'augelli. Né meno debbonsi lisciar i muri al di fuori, sopra tutto all'intorno della finestra; e sia quella collocata per modo, che nella maggior parte del giorno d'inverno riceva il sole, ed abbia d'incontro una gabbia abbastanza capevole, difesa da reti, che non lasci entrar gli sparvieri, e riceva le colombe che escono al sole, ed altresì dia l'uscita nella campagna alle madri che covano le uova, o i pulcini, affinché, quasi per grave servaggio d'una perpetua custodia, rattristandosi, non invecchino; perciocché come hanno un po' svolazzato intorno alle case, rallegrate ristoransi, e più vigorose tornano a loro parti, per cagion de' quali né pur tentano di vagar da lungi, o fuggire.[10] 

Anche questo autore, di qualche decennio successivo a Varrone, parla di torri e di colombaie realizzate sopra i tetti delle case extraurbane in lontane contrade, ovvero nei poderi e nelle ville. Le torri che Columella cita, ma non descrive, sono le stesse di cui parla Varrone, ovvero edifici destinati unicamente all’allevamento dei colombi. Non possiamo infatti pensare, per l’epoca romana, a torri colombaie più strutturate come quelle presenti nelle campagne a partire dal basso medioevo e fino al XVI sec., che sono da definire, più propriamente, case-torri-colombaie. Queste ultime sono espressione di un diverso approccio alla coltivazione e soprattutto, come vedremo più avanti, di una diversa situazione politica e sociale. La torre isolata descritta da Varrone e Columella era un edificio accessorio della villa quando, in epoca romana, c’era stabilità politica e le campagne erano sicure. Stesso discorso vale per le colombaie, descritte ancora da Columella, sopra i tetti delle case che, come le torri isolate, sono da considerare elementi di un insediamento quale la villa o la fattoria romana, piccole torri emergenti dai tetti delle case di campagna dove venivano allevati i colombi. Tali volumi, spiega Columella, potevano contenere più stanzini o avere un unico vano diviso in altezza con tavole poggianti su pali in legno: in alto si dee fare un solaio, che guardi il mezzodì vernale, e nei suoi muri, per non ripeter cose già dette, come pel gallinaio abbiamo insegnato, uno presso l'altro s'incavino gli stanzini; e se così non si può, cacciati entro de' palicciuoli, vi si sovrappongano tavole, sulle quali le nicchie, o nappi di terra cotta, si adattino, dove i colombi facciano il nido, postivi davanti de' limitari, pe' quali giungano a loro covi. 

     Quest’ultimo tipo di colombaia viene descritto anche nel De Re Rustica, di Tauro Emiliano Rutilio Palladio, del IV sec. d.C. 

Columbarium verò poteft accipere sùblimis una turricula in praetorio constituta, levigatis, ac dealbatis parietibus, in quibus à quatuor partibus (sicut mos est) fenestellae brevissimæ sient, ut columbas solas ad introitum, exitúmque permittant. Nidi figurentur interius.[11] 

[Il Colombaro il po fare una alta Torricella nel pretorio: cioè nella casa ampla del podere fabricata: havendo d'intorno le mura scialbate: la quale da quatro lati: com’è usanza finestre piccoline debba havere: accio che per quelle solo li Colombi possano uscire et intrare. Li nidi dentro si faccino.][12]

 Di questa tipologia di torre colombaia abbiamo un interessante raffigurazione nei mosaici (IV sec. d. C) di ville romane del Museo del Bardo a Tunisi. Quello rappresentato nella foto 3 mostra il paesaggio di una villa (in alto) con l’annessa piantagione e due edifici accessori (in basso). Sui tetti di questi ultimi è facile riconoscere le torri colombaie descritte dagli autori sopra riportati. Tale destinazione viene sottolineata inoltre, nel mosaico, dalla presenza di colombi nell’atto di passeggiare sopra i tetti.

Foto 3. Mosaico. Museo del Bardo a Tunisi.
http://www.bardomuseum.tn/


L’ultima fonte nota di epoca romana è contenuta nei Geoponica, un’opera letteraria del X sec., o forse del VI sec., attribuita all’autore Cassiano Basso, costituita da una raccolta di testi più antichi. Quello che ci interessa è tratto da un brano dei fratelli Quintili, Condianus e Maximus, vissuti nel II sec. d.C.   

De columbario. Quintiliorum. CAP. VI.

Construenda est domus tempore sereno, et adversus bestiarum accessum munita, et diligenter oblita. Construendi sunt et in parietibus nidi crebri à pavimento usque ad fastigium […] Caeterum ego reptilium accessum prohibere volens, proprium locum deligo, qui non habeat domos propinqua, sed procul distantes, et columna transfero pro magnitudine extruendi operis, easque statuo non in directum, sed circulariter, deinde supra columnas capita impono, postea super capita columnarum alias columnas ligneas valde præstantes impono, et super columnas in circuitu duas domunculas extruo altitudine cubitorum septem, faciebamque in parietibus, ab occasu quidem fenestram unam lucis gratia, ab ortu vero aliam, in qua colloco cohibitorem sive custodem appellatum, qui cohibet columbas, et unde columbas ad pascua exire oportet. A meridie autem constituo ianuam per quam ingrediatur is qui avium curam gerit. Atque hoc modo illesa columbas conservo. Neque enim possibile est reptilia per columnas ascendere posse, cum sint valde diligenter oblitae, tectorio explanatae.[13] 

Della colombara. De Quintilii. Cap. VI.

Si debbe fabricare la stantia a sereno tempo, et contra le bestie fortificata, e con diligenza otturata si facciano ne i pareti dal fondo fino alla cima spessi nidi, i quali chiamano alcuni sithrus, ma noi chithrinus gli chiamiamo, ove i colombi congiunti debbano praticare e partorire, mettendo a cadaun nido tavole, per le quali si puossi passare. Et facciasi in quel luogo un lavatio ove possino bere et lavarsi, affine che non speſſo si vada a turbare le colombe, il che sommamente è di danno. Non però che non gli debba andare l'huomo, perche gli è di bisogno mondare la stantia, portarne la fece, et s'alcuna cosa è guasta racconciarla, et ombreggiare, affine che serpenti ò altri animali non diano noia.  Ma io volendo cacciarne i serpenti eleggo luogo proprio dalle case scostato, e per la grandezza dell'opera vi porto colonne, mettendole nò per dritto, ma in cerchio, et sopra pongo alle colonne i capi sopra i quali altre colonne di legno sode v'aggiungo, sopra le quali fabrico in cerchio due picciole stanze per altezza di sette gomiti, facendo ne i parieti dall'occaso veramente una finestra per la luce, et d'oriente un'altra, ove io pongo ritegno chiamato il guardiano, il quale ritiene le colombe, et onde le colombe ne vanno per il cibo. Ma da mezzo di faccio la porta, per la quale entra, chi delle colombe ha il governo, et così senza offesa le conservo, perciò che non possono ascendervi per le colonne i serpenti, quando che sono bene lisciate et piane. Ne faine ne altro animale le puo fare inganno ò assalirle, non vi essendo casa vicina, onde possino noiarle.[14]

 Quest’ultimo autore ci descrive un altro tipo di colombaia utilizzato in epoca romana, una piccola costruzione a pianta circolare alta sette cubiti, poggiante sopra colonne con capitello disposte a cerchio e con due piccole stanze interne. Le colonne bene lisciate e i capi (capitelli) servivano ad impedire la salita di animali dannosi o predatori. Si tratta di un esempio, poco diffuso in Italia ma di cui ne esistono ancora diversi in Francia, come quello riportato nella foto 4 esistente nel Lot-et-Garonne e che, sebbene a pianta ottagonale, rende un’idea abbastanza precisa di com’era l’edificio descritto dai Quintili.

Foto 4. Colombaia nel Lot-et-Garonne in Francia.
Da https://img.over-blog-kiwi.com/1/08/96/16/20190523/ob_a4913b_dsc-2481.JPG


 Vorrei concludere questa prima parte, relativa alle colombaie in epoca romana, sottolineando innanzitutto un aspetto comune che emerge dalle descrizioni degli autori sopra esaminati, consistente nella la raccomandazione di proteggere i colombi con espedienti quali quello di intonacare le superfici, interne ed esterne, onde impedire ai serpenti o ad altri predatori di arrampicarsi sui muri e raggiungere i nidi, o di realizzare le finestre per l’illuminamento interno molto piccole e dotate di rete onde consentire l’ingresso soltanto ai colombi. Tuttavia appare un altro aspetto comune rilevante, in merito all’utilità di allevare colombi, che non attiene unicamente al consumo della carne, sia pur importante, ma alla produzione di concime. Abbiamo letto, in Varrone, Questi volatili sono nettissimi: per la qual cosa il custode della colombaia dee nettarla parecchie volte tra il mese; e lo sterco che lorda il luogo, è tanto acconcio per l'agricoltura , che alcuni autori hanno scritto essere questo il miglior concime. Anche Columella, a proposito dei concimi: Tre pertanto sono i principali generi di letame : quello che dai volatili, quello che dagli uomini, quello che dal bestiame si aduna. Quanto a quel dei volatili, è tenuto il primario la colombina; poi quel ch'è prodotto dalle galline, e da altri pollami, tranne però i palustri e da nuoto, come anitre ed oche; essendo anzi questo nocivo. Ma noi facciamo il maggior conto di quel dei colombi, avendo riconosciuto, che sparso in quantità discreta, fa lievitar la terra[15]. Cito infine, dai Geoponica, un altro brano dei Quintili: Ottimo sterco veramente fanno tutti gli uccelli, fuori che l'ocha; et uccelli d'acqua per l'humore, benché et questo con gli altri mescolato sarà utile. E' tuttavia migliore di tutti quello di colombo, per il gran caldo[16]. In effetti è cosa nota che nell’antichità romana si considerasse la colombina come il migliore dei concimi ed a ciò si aggiunga che si poteva produrre a bassissimo costo in quanto, per buona parte dell’anno, i colombi provvedevano autonomamente al loro sostentamento girando per le campagne e tornando alla colombaia: Ma cotal qualità d'animali con minor governo si nutre in lontane contrade, ove si permette a volatili una libera uscita; perciocché in cima o alle torri, o alle più alte fabbriche frequentano le stanze assegnate con aperte finestre, per cui svolazzano fuori in cerca de' cibi. Tuttavia per due o tre mesi ricevono alimenti tenuti in serbanza; pel tempo restante pascono sé medesimi colle semenze della campagna[17]

 

 

III. Il medioevo.

  Il periodo storico che va dalla caduta dell’Impero Romano d’Occidente fino al IX secolo, comunemente definito alto medioevo, è caratterizzato, come noto, da violenti sconvolgimenti di carattere politico, sociale ed economico nella nostra penisola. Lo sfaldamento della società romana, le invasioni barbariche con le migrazioni dei popoli del nord Europa ed il forte declino demografico conducono ad un repentino decadimento degli antichi centri urbani romani con conseguente perdita, da parte di questi ultimi, della capacità di organizzare le campagne. Questa serie di concause porta progressivamente alla creazione di nuovi centri di aggregazione sparsi sul territorio. Alcuni prendono vita dalle villae romane ed altri si formano ex novo nelle curtes, o domuscultae o massae, come variamente si chiamano nei territori italiani[18], a questi iniziano ad aggiungersi, nei secoli successivi, i borghi inerpicati sulle colline o ai piedi delle montagne che garantivano maggiore sicurezza dalle incursioni e maggiore salubrità, vista la distanza dai luoghi di pianura divenuti paludosi e malsani. Questi nuovi centri urbani, non dipendendo più dalla città, si sostituiscono a questa assurgendo a ruolo di reale motore organizzativo ed amministrativo delle campagne. Se in epoca romana la villa era in stretta dipendenza dal centro urbano le curtes divengono centri indipendenti che non riescono, però, a garantire la coltivazione e la regolamentazione di ampi territori tantoché, per tutto l’alto medioevo e fino ad oltre l’anno 1000, il paesaggio agrario italiano vede una forte prevalenza di zone coperte da foreste, da paludi o da terreni incolti dove, al massimo, si pratica la pastorizia o la caccia[19]. Tutte le attività agricole si concentrano all’interno o nelle immediate vicinanze di questi piccoli insediamenti o di ciò che resta delle città.

In questo periodo, caratterizzato da una scarsa sopravvivenza di documenti, se risulta difficile tracciare un quadro preciso relativamente alla storia dell’agricoltura lo è ovviamente ancor di più per l’oggetto di questo studio. Posso limitarmi ad avanzare un’ipotesi abbastanza plausibile e che potrà essere confermata o meno soltanto dall’archeologia e dalle scienze ad essa connesse, ovvero quella per cui in un’economia rurale concentrata nelle curtes, o domuscultae o massae, nei borghi o nelle città spopolate, l’allevamento del colombo avvenisse con le stesse strutture descritte per l’epoca romana. Che venisse praticata nelle torri, nei piccoli edifici su colonne o sui colmi dei tetti tale pratica doveva avvenire nell’ambito del centro rurale o di ciò che rimaneva degli antichi centri urbani, in una zona protetta o potenzialmente sicura, e queste strutture erano perfettamente idonee a tale scopo. Non c’era ancora la possibilità di addentrarsi in zone esterne e malsicure realizzando costruzioni più adeguate a questa esigenza, ma non si hanno elementi per escludere, neanche per questa epoca, la presenza in ambito urbano di case torri con colombaia al piano più alto come avverrà in periodi successivi.

A partire dal IX secolo, ed in certe aree anche nel secolo precedente, iniziano i primi segni di ripresa economica e demografica, con conseguente riorganizzazione del paesaggio agrario mediante bonifiche e dissodamenti, ed i secoli X e XI restano decisivi da questo punto di vista. Nel sud Italia già a partire dal IX secolo si ha una certa ripresa delle città e degli scambi commerciali ed in alcune zone di regioni come la Puglia o la Sicilia è documentata la presenza di piccoli insediamenti rurali sparsi o di casali[20]. Differentemente, al centro e al nord Italia prevale il fenomeno dell’incastellamento, in misura nettamente maggiore che non al sud della Penisola: la tipologia di insediamento che era stata tipica dell'alto medioevo, la curtis, viene lentamente sostituita da un centro fortificato, il castrum. Che venisse fondato ex novo su un’altura facilmente difendibile, che nascesse a difesa di un insediamento sparso esistente - “curtis cum castro”, il castello diviene un po’ dovunque polo di attrazione per le popolazioni che, dai centri disseminati nelle campagne, come la “corte”, si spostano lentamente verso luoghi fortificati, in grado di garantire maggiore sicurezza e tali da costituire un polo di attrazione anche da un punto di vista economico[21]. Anche le città, sebbene in misura minore, sono coinvolte in questo fenomeno di accentramento della popolazione ed alcuni castra divengono città di una certa importanza. Ciò che interessa sottolineare, ai fini di questo studio, è che nel periodo tra i secc. XI e XIII si assiste ad un progressivo ampliamento delle superfici coltivate che si irradia dai centri dove la popolazione si era concentrata. Iniziano le grandi opere di bonifica e dissodamento dei terreni con conseguente progressivo arretramento di superfici a bosco, incolti e paludi, in un primo momento da parte dei signori feudali, con i contratti ad runcandum o ad pastinandum e poi delle chiese vescovili e infine dei Comuni, attraverso forme assai varie di associazioni familiari, gentilizie, tra vicini, tra servi o coloni dello stesso signore. In questo processo di modifica del paesaggio agrario assumono rilevanza, come noto, anche le abbazie cistercensi[22].

È in questo contesto che prende forma la casa–torre–colombaia rurale, quando si inizia ad uscire dal castello, dal piccolo cento sparso o dalla città, per riappropriarsi del territorio, e nasce la necessità di avere un edificio stabile in prossimità delle nuove zone coltivate. Questa costruzione non poteva essere ancora la torre destinata all’esclusivo allevamento dei piccioni, mi riferisco a quella descritta da Varrone e Columella, per quanto in età medievale ed oltre questi edifici venivano ancora sicuramente usati nell’ambito dei centri rurali, come testimoniano i complessi delle grange cistercensi, quale ad esempio quello dell’abbazia di Fontenay (foto 5) fondata nel 1119, o come appare dalla scena di febbraio rappresentata nel Breviario Grimani degli inizi del XVI sec. (fig. 7) o, ancora, nella miniatura del mese di febbraio del Très Riches Heures du Duc de Berry degli inizi del XV sec. (fig. 8). Questa nuova struttura doveva essere articolata su più piani e tale da garantire alcune delle funzioni essenziali al nuovo insediamento: residenza, ricovero per gli animali, magazzino, rimessa attrezzi, produzione di concime ed infine difesa. Quali altri edifici, se non la casaforte o la torre, avrebbero potuto contenere in sé tutte queste funzioni sia pur in forma ristretta?

Foto 5. Colombaia monofunzionale presso il complesso monastico di Fontenay.
Da https://files.structurae.net/files/350high/1927/france/fontenay14_24_04.jpg

Fig. 7. Breviario Grimani, XVI sec.

Fig. 8. Il mese di febbraio. Très Richer Heures du Duc de Berry, XV sec.


Da queste prime considerazioni nascono alcuni quesiti fondamentali che sono stati e costituiscono, tuttora, il nodo centrale di un dibattito sviluppatosi a partire dagli anni ’50 dello scorso secolo. La casa torre costituisce realmente uno dei primi tipi di insediamento stabile nelle campagne del basso medioevo? Quando si iniziò ad utilizzarla? Perché colonizzare i nuovi territori strappati alla foresta o alla palude con un siffatto edificio? Questa tipologia edilizia era stata concepita per tale scopo o è la replica di un modello urbano che viene riutilizzato nelle campagne? E, infine, si tratta di torri realizzate, in un primo momento, per scopi difensivi e poi adattate a colombaie o nascono direttamente come case-torri-colombaie? Va subito chiarito che, per tali interrogativi, non esiste a tutt’oggi una risposta univoca da parte degli studiosi, anche perché si tratta di una forma di insediamento rurale minore e forse per questo ancora poco studiata. Prima di addentrarmi, però, nel cuore di questi nodi cruciali vorrei esaminare alcuni brani tratti da due fonti medievali, sia pure tarde se rapportate all’epoca presa in esame, il Tresor di Brunetto Latini scritto durante il suo esilio francese (1260-1266) ed il Ruralium Commodorum libri XII di Pietro De’ Crescenzi, scritto all’incirca nel 1305.

Possiamo leggere nel libro III del Tesoro alcuni passi, contenuti nei capitoli dal V al IX, dedicati al tema che, con termini attuali, definiremmo rapporto tra insediamento rurale ed ambiente, mediante indicazioni relative alla scelta del luogo più redditizio per l’attività agricola, a quello più adatto all’edificazione ed al modo di edificare un’abitazione o, più propriamente, una fattoria ed i suoi annessi sul podere. Al cap. V, che ha per titolo Come l'uomo dee iscegliere terra da guadagnare, si può infatti leggere,

 si vuole un poco dire della terra medesima secondo che ella dà a guadagnare che cosa perche la vita di uomini si mantiene. E per ciò è ben senno a mostrare che campi l'uomo dee iscegliere, e in che maniera. Al capitolo VI, che contiene la descrizione di Come l'uomo dee fare magione in ogni luogo, è scritto: Per ciò che le genti fanno spesso magioni sopra la buona terra, vorrà il maestro insegnare come l'uomo lo dee fare … dei in primamente la natura del luogo guardare e deilo usare, per conoscere sua natura. Che l'uomo dee ischifare mala acqua e paduli, e stagni medesimamente se sono contro a occidente, o contro mezzodì, e se ehi hanno in costume di seccarsi la state, però che hanno pestilenze che generano malvagi animali. E la fronte della tua magione dee essere contra a mezzodì, in tal maniera che 'l primo cantone sia volto contra lo sole levante, e l'altra parte contra a ponente … E guarda che 'l tuo edificio non sia fatto tutto insieme, chè ciò sarebbe opera perduta. Lo tuo celliere [cantina] dee essere contro a settentrione freddo e scuro, e lungi da bagno e da stalla e da forno e da cisterna e da acqua, e da tutte cose che hanno fiero olore. Lo granaio del signore dee essere in quella parte medesima, acciò che sia lungi da sugo e da tutti umidori. Lo luogo dell'olio sia contro a mezzodì e sia ben coverto per lo freddo. La stalla de' cavalli e de' buoi debba guardare verso mezzodì, ed abbia alcuna finestra per alluminare verso settentrione, in tal maniera che tu la possi di verno chiudere per la freddura, e di state aperire per rinfrescare, e sì dee essere la stalla pendente per discorrere tutti gli umori che nascono a' piedi delle bestie. Il cap. IX, infine, si intitola Qui dice come l'uomo dee fornire la sua magione ed è quello che ci interessa di più perché, finalmente, parla di torri e residenze: Quando la tua magione è compiuta e fornita delli suoi edificii, secondo lo stato del luogo e del tempo, tu dei fare camera e sala, là ove l'ampiezza della casa ti mostra che meglio stia. E se penserai di molino, di forno, di vinaio, e di columbaia, e di stalla, e di pecore, e di porcelli, e di galline, e capponi, ed oche, e isceglieraile, secondo che 'l mastro insegnerà qui innanzi nel capitolo della natura delli animali. Ma alla magione conviene vedere se 'l tempo e 'l luogo è in guerra o in pace, o se ella è dentro alla città o dilungi da gente. Che quelli d'Italia, che spesso guerreggiano tra loro, si dilettano di fare torre o altra magione di pietre molto forte, cioè fuori delle cittadi: e fannovi fossi e palancati, o mura e merli, e ponti levatoi, e porte con cateratte. E fornisconsi di pietre, e di mangani, e di saette, e d'ogni fornimento che a guerra appartiene, per offendere, o per difendere, per la vita delli uomini dentro e di fuori immantinente. Ma li Franceschi fanno magioni grandi e piniere dipinte, per avere gioia e diletto, senza noia e senza guerra, e però hanno ellino miglior fare prati, e verzieri, e pomieri in tutti i loro abitacoli, che altra gente, la quale è cosa che molto vale a diletto d' uomo.

Relativamente alle colombaie, va ricordato, Il Tesoro ci dice unicamente nel capitolo XIX, Dei colombi, che se l’uomo dà loro beccare comino, e ungeli l'ale di balsamo, elli menano grande torma di colombi ad albergo al loro colombaio. E se l'uomo dà loro beccare orzo cotto e caldo, elli ingenerano figliuoli assai. E vuolsi mettere per li cantoni delle colombaie spine e altre cose, sì che mala bestiuola non vi possa andare[23].

Il fatto che le descrizioni del Latini siano riferite ad un insediamento rurale appare evidente dalla frase, Per ciò che le genti fanno spesso magioni sopra la buona terra, vorrà il maestro insegnare come l'uomo lo dee fare, ma per capire a che tipo di magione si riferisce occorre fare alcune considerazioni. Innanzitutto quando dice guarda che 'l tuo edificio non sia fatto tutto insieme e descrive poi tutti gli annessi all’abitazione rurale, parla di un insieme di edifici staccati dalla casa e lo ritiene il modo migliore di strutturare una fattoria: celliere, stalla, forno, cisterna, granaio, luogo dell’olio, forno, molino e columbaia, che è in questo caso ancora quella monofunzionale delle ville romane, avranno una precisa collocazione rispetto alla magione. Questa fattoria è però una fattoria ideale che rappresentava il miglior modo, secondo l’autore, di costruirla e che nel XIII sec. si realizzava in pochi luoghi sparsi, verosimilmente sopra una tumba dotata di difese. Si basa sulla descrizione di Vitruvio[24], o su quelle di Varrone e Columella[25], non è però quella che Brunetto Latini raccomanda di realizzare nel momento in cui scrive Il Tesoro perché, prosegue, Ma alla magione conviene vedere se 'l tempo e 'l luogo è in guerra o in pace, o se ella è dentro alla città o dilungi da gente, e deve concludere, quasi con rammarico, con la constatazione Che quelli d'Italia, che spesso guerreggiano tra loro, si dilettano di fare torre o altra magione di pietre molto forte, cioè fuori delle cittadiMa li Franceschi fanno magioni grandi e piniere dipinte, per avere gioia e diletto, senza noia e senza guerra, e però hanno ellino miglior fare prati, e verzieri, e pomieri in tutti i loro abitacoli[26]. Gli italiani sono quindi obbligati a costruire, fuori dal castello o dalla città, edifici quali la torre o una struttura identificabile come la casa forte - magione di pietre molto forte … - nelle quali riparare senza indugio, immantinente, e difendersi, durante eventuali attacchi, con l’ausilio di pietre, e di mangani, e di saette, e d'ogni fornimento che a guerra appartiene. Il tutto a differenza dei francesi (Franceschi) le cui diverse condizioni politiche consentono un approccio diverso con la campagna, ovvero con strutture più aperte ed integrate con quest’ultima.

La conclusione che possiamo trarre dai brani sopra riportati, quella che qui più interessa, è che Brunetto Latini individua, oltre ad una più o meno ideale fattoria ispirata a quelle romane, due manufatti extra moenia con cui è possibile realizzare un insediamento rurale stabile nell’Italia del XIII secolo: la torre isolata e la casa forte. Ma c’è un altro elemento, non proprio secondario, che emerge nelle descrizioni: la possibilità di riparare, in caso di attacco da parte di malintenzionati, all’interno di queste due strutture. Lo ritroviamo anche nell’opera del De Crescenzi, al capitolo VI del libro I che ha per titolo Delle corti, o vero tombe da fare in diversi luoghi, e in diversi modi, dove vengono spiegate le modalità di realizzazione di una tomba, l’insediamento su una piccola collina artificiale o naturale[27]: 

In molti modi ſi può conſiderare, in che maniera ſon da far le corti, o vero le tombe nella villa, per cagion dell'abitazion del Signore, e del lavoratori, e del frutti, che vi ſi deon portare, e degli animali da nutricare : perchè, il luogo dove tu ordini di far la corte è poſto intra l'altre caſe della villa, o egli è da quelle lontano. Ancora, o il detto luogo è in piano, o egli è in monte. Ancora, o egli è in parte ſicura, o in parte pericoloſa. S'egli è poſto intra l'altre caſe della villa, non ha biſogno la corte di tanta fortezza, e guernimento di chiuſura, perciocchè cotal luogo è men diſpoſto alle 'nſidie de ladroni: e ancora perchè ha preſſo l'aiuto degli huomini vicini, ſe biſogno gli faceſſe. Ma ſe dall'altre caſe foſſe partito in luogo ſolingo, ſi dee cignere d'intorno di convenevoli foſſe, e di ripe, e di ſiepi, per le contrarie ragioni. Ma s'egli è in piano troppo baſſo, ſì ſi dee ragunar terra per tutta la corte, che vegna altronde, ed innalzarla, acciocchè ivi entro l'acque, che d'altronde vengono, non poſſano entrare, e che le piove, che vi caggiono, agevolmente ſene dirivino, e ſcolino fuori. E ſe foſſe in monte, là dove con acqua di foſſe non ſi puote afforzare, eleggaſi un luogo, al quale, fuorchè per ordinato entramento, ſia aſpra, e greve ſalita: e ſe il luogo è dalla malignità de' nimici ſicuro, baſta ſolamente che ſia afforzato di tali guernimenti, e foſſi, che da ladroni ſia ſicuro, i quali ſpeſſe volte ſtanno inteſi a far danno, eziandio nel pacifico tempo. E ſe il luogo foſſe in parte pericoloſo, diſpoſto molto alle forze de' potenti nemici, più ſicura coſa ſarà abbandonare a tempo cotal luogo, che mattamente, e inconſideratamente diſponerſi a morire: ſe non foſſe già, che moltitudine di ricchezze moveſſe il Signor del luogo a far caſtello, o rocca da battaglia ſicuro. Ma ſe alcuna volta corrano quelle parti berrovieri, malandrini, o vero deboli nemici, rubando, e ſpogliando, ſi dee circondar la corte di muro, o vero di convenevole ſteccato. Alle quali coſe fornire, ſe la facultà del Signore, non baſtaſſe, facciaſi almanco, che, in uno de cantoni della corte, di ripe, e di foſſi forti, guernimento ſi faccia, e ſopra ciò ſi faccia un battifredo, o vero torre, nella quale il padre della famiglia, con ſuoi lavoratori, e con le ſue coſe, poſſa rifuggire, quando biſogno gli foſſe.[28] 

Anche in questo caso, sia pur all’interno di una tumba e con l’invito a non costruire in luoghi pericolosi a meno che non si disponga delle ricchezze necessarie a a far caſtello, o rocca da battaglia ſicuro, viene messa in evidenza la valenza difensiva della torre, come forma di residenza, in luoghi distanti dai centri abitati o dei castelli. Assodato ciò manca da legare il termine “torre” a quello di “colombaia”, cosa questa che non appare, almeno direttamente, dai brani sopra riportati. Un’indicazione ci viene data però sempre dal Trattato di De’ Crescenzi al capitolo LXXXVII del libro IX, quando parla delle colombaie: 

Le Colombaje ſi poſſon fare in due modi , o vero ſopra colonne, con pareti di legname, di muro, di pietre attorniate, o vero ſopra torre di groſſo muro murate, e ciaſcuna puote aver nidi d'entro, e di fuori , in buche . Ma meglio è in muri di torre , che di legname , e meglio è dentro , che di fuori i nidi avere: imperocchè ſe di fuori avrai i nidi , la colombina ſi perde, la quale è di grande utilitade, e piu agevolmente i pippíoni da' rapaci uccelli ſon rubati. Facciaſi adunque la torre di pietra , con iſpazii larghi, o vero ſtretti , ſecondo la volontà del Signore, e ſecondo la ſua poſſibilità, non troppo alta , con pareti bene intonicate, e imbiancate . Abbia in ogni quadro una piccola fineſtra, che ſerva all’uſcire, e all’entrar de' colombi, ſotto la quale ſia un circuito di pietre, ſportato in fuori, che ſia bene intonicato, il quale il ſalimento delle donnole, e dell’altre nocive fiere, impediſca: e ſopra tetto fíneſtra abbiano, per la quale entrino i colombi, ed eſcano, imperocchè volentieri i colombi fopra tetto dimorano al Sole. 

Le colombaie, dunque, si possono fare sopra torre di grosso muro murate oppure sopra colonne. Queste ultime sono ancora quelle di tipo monofunzionale come già descritte da Cassiano Basso nei Geoponica (fig. 9, dall’edizione in latino del Trattato). Le prime sono invece nel vano all’ultimo piano della torre, non specificando se urbana o rurale, che deve essere costruita di pietra, non troppo alta e con le pareti intonacate ed imbiancate: è forse l’unica fonte scritta medievale che lega la colombaia alla torre e ci consente di completare il binomio casa-torre con il termine colombaia ottenendo così il trinomio “casa-torre-colombaia” con la valenza di una tipologia edilizia ben definita, ovvero quella che ho già descritto nell’introduzione.

Fig. 9. Colombaia Ruralium Commodorum libri XII del De Crescenzi.


La conclusione che possiamo trarre dalle due fonti letterarie sopra esaminate è che forniscono una testimonianza fondamentale sui tipi di residenza rurale, utilizzati all’epoca, al di fuori dei centri urbani o dai castelli. Sono la casa forte, la tumba e, quella che qui più interessa, la torre isolata con o senza colombaia all’ultimo piano. Ma dalla descrizione del De Crescenzi si può anche dedurre che già agli inizi del ‘300 quest’ultima tipologia, dotata di vano per la colombaia all’ultimo piano, era ben delineata ed utilizzata.

Resta da definire se si riferisca a torri urbane o extraurbane, ma è chiaro, in base ad altri elementi, che si tratta di strutture rurali. Intanto perché il libro del Trattato che contiene la descrizione delle colombaie ha per titolo Di tutti gli Animali, che ſi nutriсano in Villa, e se ciò non bastasse a fugare ogni dubbio quando parla di come si governino, e avvezzino i colombi dice anche, Il beveraggio ancora ſi dia lor nella colombaja a ſufficienza , e dieſene loro, quando non hanno acqua, ſe non molto da lunge, о che, per lo gran caldo, o gran ghiaccio, trovar non ne poſſono. O vero ſene ponga in qualche vaſo, o luogo, preſſo alla colombaja, alla quale ſcender poſſano a bere. Ed imperó è quaſi lor neceſſario, che ſieno appreſſo a luogo, dove acqua diſcorra, ove quivi, e bere, e lavar ſi poſſano [29] ed è evidente che avendo uno spazio circostante ampio e privato dove installare abbeveratoi, e trovandosi vicino a corsi d’acqua, sono necessariamente nella villa.

Queste considerazioni consentono di dare una risposta, almeno parziale, all’ultimo dei quesiti che ho posto più sopra ovvero se in questo periodo si utilizzavano torri nate con scopi difensivi e poi adattate a colombaie o, anche, strutture concepite secondo lo schema preordinato di casa-torre-colombaia. Quando dice Facciaſi adunque la torre di pietraAbbia in ogni quadro una piccola fineſtra, che ſerva all’uſcire, e all’entrar de' colombi, l’autore non parla di un adattamento di torri esistenti, ma di edifici progettati e realizzati con questo schema compositivo che presentava, anche all’epoca, persino alcune caratteristiche riscontrabili in alcune delle forme più mature tardo quattrocentesche o cinquecentesche ovvero l’altezza limitata (Facciaſi adunque la torre … non troppo alta), la variante dei nidi interni ed esterni (e meglio è dentro, che di fuori i nidi avere) o la fascia sotto la finestra per l’ingresso dei colombi (ſotto la quale ſia un circuito di pietre, ſportato in fuori, che ſia bene intonicato, il quale il ſalimento delle donnole, e dell’altre nocive fiere, impediſca). Questo dimostra senza alcun dubbio la messa a punto, già agli inizi del XIV sec., della casa-torre-colombaia come tipo edilizio a sé stante. Più difficile chiedersi quanto tempo prima questa messa a punto sia avvenuta: una domanda che, purtroppo, allo stato attuale delle conoscenze rimane senza risposta[30].

Del tipo di colombaia ora descritto, pur con tutte le cautele del caso dovute al fatto che potrebbero essere state costruite anche in epoche successive, ho cercato di reperire alcuni esempi superstiti, realizzati con molta probabilità in epoca medievale. Si tratta di edifici molto semplici, essenziali, ubicati in Umbria e nelle Marche. Le prima è quella di Piano del Nese (foto 6), nel comune di San Giovanni Del Pantano (PG), con tetto a due falde, fascia marcapiano e buchi per i colombi sull’esterno delle murature, un’altra è quella in località Collicelli di Spoleto (foto 7), molto simile all’altra ma con il marcapiano esteso per metà del perimetro. Altre due sono a Cagli (PU), nelle località Foci e Smirra e sono già state descritte nella monografia di G. Volpe[31]. La prima (foto 8) ha il tetto a due falde e la fascia esterna in mattoni estesa lungo la zona sotto il vano di accesso dei colombi. L’altra (foto 9), quella in località Smirra, ha il tetto a falda unica, bucature esterne e finestrelle per l’accesso dei colombi in pietra e una finestra a sesto acuto che, se non è una prova della sua realizzazione in epoca medievale, rappresenta un raro ed interessante indizio della sua origine molto antica[32].

Foto 6. Colombaia a Piano del Nese nel comune di S. Giovanni Del Pantano (PG).
Da https://www.iluoghidelsilenzio.it/wp-content/gallery/castello-di-pian-del-nese-san-giovanni-del-pantano-pg/DSC_0266.jpg

Foto 7. Colombaia a Collicelli di Spoleto (PG).
Da https://www.iluoghidelsilenzio.it/wp-content/gallery/castelli-di-collicelli-e-busano-spoleto-pg/12-Torre-colombaia.jpg

Foto 8. Colombaia in località Foci di Cagli (PG).
Da https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjDgfVYwF1ktqsaAqWDI-EcIJBtoSJ-986GtR_hUWEyJwfC0uykJm_LMjILR42jFs6hs7vvZMjVOVtOIy_qzsqDjxWRfVdT70LT3ygYFLPpmxlVZa33UUdMVUzSr_rec6tPT9xoProAWgXY/s320/P_20180426_163951.jpg

Foto 9. Colombaia in località Smirra di Cagli (PG).
Da http://www.provincia.pu.it/fileadmin/grpmnt/1056/Cagli11-54.pdf


Castello, tumba, abbazia, casa forte e torre, a partire dal periodo dell’incastellamento, sono, in linea di massima, i modelli insediativi extraurbani del basso medio evo: qual è il rapporto tra la colombaia e queste forme dell’abitare? La casa-torre-colombaia descritta dal De Crescenzi, di certo, coesisteva con case torri urbane o con torri difensive, ubicate dentro e fuori le mura, nelle quali l’ultimo piano veniva utilizzato per l’allevamento dei colombi, ma anche con le torri colombaie monofunzionali all’interno di insediamenti sparsi o di abbazie, come quelle delle grange cistercensi, o in un vano alto di costruzioni esistenti nei castelli, come nel caso di Montefiascone dove ne esisteva una sopra l’aula della tesoreria[33], o sulle case forti o nei ricetti.

Sulle torri difensive si può fare una considerazione semplice, basata sulla maggiore altezza di queste ultime rispetto alle colombaie nate come tali. Cosicché risulta abbastanza facile distinguere una torre nata con scopi difensivi o per l’avvistamento, successivamente adattata a colombaia, proprio per il maggiore sviluppo verso l’alto. Risulta difficile, invece, stabilire se alcune di quelle destinate alla difesa siano state dotate di vano per la colombaia già al momento della costruzione, come risulta da alcuni esempi che sono riuscito a reperire. Il primo è quello della torre in località Arezzo di Spoleto riportata da Henri Desplanques nel testo sulle case rurali in Umbria del 1955[34], dove appare evidente, secondo l’autore, “l’antica funzione difensiva” in quanto, aggiungo io, risultato di una trasformazione successiva al periodo di costruzione. Un altro esempio di adattamento, questa volta urbano, è quello della torre in via Fioravanti nel centro antico di Bracciano (foto 10) dove, ancora, è visibile la trasformazione (sopraelevazione) della parte alta per ottenere una colombaia. Esistono però alcuni esempi in cui il vano della colombaia potrebbe essere parte integrante dell’edificio già dal periodo della costruzione. È il caso, forse, della torre duecentesca di Montorso nel comune di Pavullo Nel Frignano (MO) (foto 11), dove la parte terminale, con la piccola finestra per l’ingresso dei colombi e la fascia sporgente che avvolge il perimetro quasi per metà, data l’evidente continuità della tessitura muraria potrebbe essere coeva al resto della struttura, o della torre medievale Bontempi al centro di Biennio (BS) della foto 12 dove la colombaia, per le stesse motivazioni, sembra proprio appartenere all’epoca in cui tutto l’edificio è stato realizzato. Esiste allora in origine, per le residenze extraurbane, un tipo definito di casa torre colombaia più alto rispetto a quello descritto dal De Crescenzi? Probabilmente si e qualora si riuscisse a dimostrarlo potrebbe essere verosimile che agli inizi venissero concepite con altezza notevole e comunque maggiore rispetto a quelle dei periodi successivi. Questa ipotesi  può essere supportata da una considerazione che si basa sull’origine dello schema tipologico. In effetti le torri dei castelli erano molto alte ma anche quelle urbane tendevano ad avere un’altezza sempre maggiore per motivi difensivi, oltre che di prestigio delle famiglie. Sia nel caso che le torri extraurbane derivino da quelle all’interno della città o da quelle dei castelli è possibile che, agli inizi, venissero realizzate secondo questi schemi. Successivamente le torri rurali potrebbero essere state adattate a dimensioni più ridotte in altezza ma tali da garantire, comunque, una funzione difensiva ed essere allo stesso tempo motivo di attrazione per i colombi. Ma a cosa sarebbe servita un’eccessiva altezza in assenza di altri edifici, nelle vicinanze, con cui rivaleggiare e da cui difendersi, o in assenza di un castello da presidiare? A mio avviso la funzione difensiva delle torri colombaie, in base alle considerazioni sopra esposte ed alle fonti esaminate, quella del Latini e del De Crescenzi, si riduce a mezzo di autodifesa dei residenti, più che del territorio, un momentaneo riparo da eventuali ed improvvisi attacchi in zone lontane dai centri principali escludendo quindi, per queste strutture, qualsiasi funzione di carattere militare. 

Foto 10. Casa torre urbana con colombaia a Bracciano.
Da https://q-xx.bstatic.com/xdata/images/hotel/max1024x768/23796242.jpg?k=5d7ace7265eb53d1b9740f75dc2d044ca915b22c2882f94496e4e34f0c6d325d&o=

Foto 11. Casa torre extraurbana con colombaia in località Montorso nel comune di Pavullo Nel Frignano (MO). Da http://www.comune.pavullo-nel-frignano.mo.it/ 


Foto 12. Casa torre urbana con colombaia a Biennio (BS). Da http://www.bienno.info/media/Image/06_TorreBontempi.jpg

Per i castelli e le caseforti vale un discorso analogo a quello delle torri: le colombaie esistenti nelle zone alte di queste costruzioni erano coeve alle restanti parti dell’edificio o sono adattamenti successivi? La risposta è facile soltanto nel caso in cui l’adattamento sia riconoscibile mediante criteri stilistici che ne denunciano la realizzazione in tempi più moderni, come nel caso del castello di San Giacomo a Spoleto[35] (foto 13). Le due torri colombaie sulla facciata principale presentano, infatti, fasce marcapiano e cornicioni con mensole classiche realizzati, evidentemente, in epoca successiva. Diverso è il caso del castello di Torri a Gualdo Cattaneo (PG) (foto 14), o della casaforte esistente in località Borgo di Campi a Valfornace (MC) (foto 15) o, ancora, di quella a Menolzio (TO) (foto 16), dove le colombaie sembrano appartenere, per omogeneità della tessitura muraria, all’impianto originario delle costruzioni[36].

Foto 13. Colombaie sulle torri del Castello di San Giacomo a Spoleto (PG). Da https://www.iluoghidelsilenzio.it/wp-content/gallery/castello-di-san-giacomo-spoleto-pg/51-Castello.jpg

Foto 14. Colombaia sul castello di Torri a Gualdo Cattaneo  (PG). Da https://www.iluoghidelsilenzio.it/wp-content/gallery/castello-di-torri-gualdo-cattaneo-3/castello-di-torri-gualdo-cattaneo-11.jpg

Foto 15. Colombaia su casaforte in località Borgo di Campi a Valfornace  (MC). Da http://www.luoghidelsilenzio.it/marche/07_castelli/03_macerata/00026/images/borgo%20di%20campi%2019.jpg

Foto 16. Colombaia su casaforte a Menolzio (TO). Da http://www.provincia.torino.gov.it/territorio/strat_strumenti/beni_culturali/vsusa/milit/comuni/immagini/mattie/mattie_02.jpg


Una risposta definitiva a questi interrogativi potrà venire soltanto da studi approfonditi sui singoli manufatti, sia di tipo archivistico che con altri metodi scientifici di datazione ma, soprattutto, attraverso uno studio improntato sull’analisi comparativa della tipologia edilizia. L’unica conclusione che si può trarre infine, dalle considerazioni sopra esposte, è che l’utilizzo della colombaia, a partire dal periodo successivo ai secc. XI e XII, essendo molto diffuso e realizzato praticamente in ogni contesto, appare come un qualcosa che si riteneva indispensabile, probabilmente, per la disponibilità di carne fresca e soprattutto per la produzione in quantità sufficiente di concime, peraltro ottimo, difficilmente realizzabile in altro modo.

 

 

IV. I Geografi e gli Storici.

 Nel 1938 viene pubblicato il primo volume della collana C.N.R., presso l'editore Olschki di Firenze, Ricerche sulle dimore rurali in Italia. Si tratta del testo La casa rurale nella Toscana di Renato Biasutti, primo di una serie di trentuno volumi che vedrà la propria conclusione nel 1970[37]. Tale ricerca venne condotta da geografi sotto il coordinamento dello stesso Biasutti fino al 1958 e successivamente da Lucio Gambi e Giuseppe Barbieri. Rappresenta l’asse portante delle ricerche sulla casa rurale dell’epoca. La metodologia di ricerca, secondo l’impostazione data dal Biasutti, tende ad una classificazione di “forme principali” e “tipi caratteristici” di abitazione rurale. Si tratta di una serie di studi basati, in maniera più o meno consapevole, sul concetto di tipologia edilizia e finalizzati ad una classificazione degli edifici rurali mediante, appunto, un’approfondita analisi tipologica. Va rilevato, pur con i noti limiti in esso contenuti[38], che si tratta di uno dei primi studi, se non il primo, fondato su tale metodologia. Soltanto negli anni ’50, con l’opera di Saverio Muratori, verranno poste le basi per la ricerca, sulla città storica, attraverso l’analisi delle tipologie edilizie residenziali[39]. Questo metodo d’indagine, che caratterizzò il dibattito sull’architettura nell’Italia degli anni successivi, era finalizzato allo studio della morfologia urbana sulla base delle componenti elementari del tessuto edilizio, mentre i volumi sulle dimore rurali al rapporto casa rurale-territorio agrario senza trascurare aspetti economici e sociali. È grazie a queste ricerche che disponiamo, oggi, di una importantissima e fondamentale documentazione grafica e fotografica, con i rilievi di centinaia di edifici, o documentaria con le descrizioni degli immobili, delle condizioni climatiche e delle colture praticate, sull’ambiente rurale in quegli anni. Ma ciò che qui più interessa è che nell’ambito di questa collana viene per la prima volta preso in esame il tema delle colombaie affrontato però, in maniera più critica e dettagliata, soltanto nel volume La casa rurale nell’Umbria, del 1955, da parte del geografo francese Henri Desplanques. È qui che vengono per la prima volta individuate alcune delle problematiche legate a queste torri, fatta eccezione per la pubblicazione di Giuseppe Pagano e Guarniero Daniel del 1936[40] dove però l’argomento viene affrontato in maniera molto concisa. Innanzitutto nella prefazione di Renato Biasutti[41] viene posto l’accento sul nodo delle origini e sulla questione della torre colombaia come prima forma di insediamento nelle campagne, in epoca basso medievale, avanzata qualche anno prima da Alberto Mori nel suo volume sulle Marche settentrionali[42]. Nella parte scritta da Desplanques, La casa rurale nell’Umbria centrale, viene dedicato un intero capitolo alla palombara. Dopo una descrizione delle caratteristiche di queste torri campagnole e della loro diffusione nel territorio, riportata su una mappa, l’autore introduce, in un paragrafo a parte, il problema delle palombare che sta, innanzitutto, nei motivi che ne hanno determinato la costruzione. Nella casa rurale vi è poco posto per la fantasia e tutto è calcolato da un punto di vista pratico, secondo le necessità del lavoro. Una parte così importante dell’edificio, quale è la palombara per il posto che occupa e il costo della sua costruzione, deve avere dunque una precisa ragione di essere. La spiegazione che viene data, e che appare del tutto convincente, sta nel valore del concime che una colombaia poteva produrre[43]. Più avanti nel testo si chiede se questi edifici hanno la loro ragione di essere unicamente per questo motivo economico o non abbiano potuto avere invece, ai difficili inizi del popolamento sparso, anche una funzione difensiva. Dall’osservazione del consistente spessore dei muri e per la somiglianza con le strutture difensive della città e del castello propende per una risposta positiva a questa domanda. Successivamente sembra confermare l’ipotesi del Mori, quando sostiene che le torri sono le prime case che si avventuravano isolate nella campagna, e poi continua, per avvalorare l’ipotesi di una funzione difensiva, dicendo che sarebbero quindi l’espressione delle lotte di un tempo, come le torri che riempivano le città medioevali … Oppure non si tratta invece che di semplici torri di sorveglianza? Prosegue poi con un’altra ipotesi secondo la quale L’insediamento sparso nelle campagne fu probabilmente preceduto da un periodo di insediamento temporaneo e il fatto indubitabile che parecchie torri siano esistite da sole senza edifici intorno lascia credere che esse rappresentavano una dipendenza della casa permanente rimasta nel castello o nella città. Il Desplanques chiude l’argomento sulle colombaie con alcuni interrogativi che, ancora oggi, non hanno avuto una risposta pienamente convincente. Fu la palombara una torre di difesa? Una torre di guardia …, o un laboratorio di concime? L’ultima ipotesi pare la più probabile, ma non esclude tuttavia le altre e non è sufficiente a chiarire tutta la storia delle palombare. Ciò che è stato detto per le Marche, che «queste dimore sono state residenze estive per la caccia ai palombi o colombi selvatici» non può valere, in assenza di documenti storici, per lo Spoletano e solleva molte obiezioni[44].

Va ricordato, in merito al tema delle origini della torre colombaia, un interessante intervento di Lucio Gambi che diversi anni dopo, nel 1977[45], riprende alcuni dei temi anticipati da Desplanques e prova a fornire alcune risposte agli interrogativi sopra esposti. Parlando delle dimore a torre, o dal cui corpo emerge una torre, diffuse nelle zone dell’Emilia, ripropone l’ipotesi del Mori per cui, Quando fra i secoli XIII e XV si ebbe – pure con oscillazioni dovute a fasi di depressione economica e di indebolimento demografico – un vigoroso fenomeno di occupazione degli spazi rurali, mediante un insediamento a nuclei sparsi, l’edifizio torreggiante fu (dopo i primi aleatori ricoveri in materiale vegetale) l’elemento stabile d’avanguardia di tale conquista e diaspora, e sottolineandone la funzione anche difensiva, in quanto la forma verticale va intesa non solo come configurazione che meglio s’attaglia ad un ambiente insicuro e non scevro di insidie qual è abitualmente una fascia pioniera, nota un legame originale con la strutturazione degli abitati medioevali, e cioè i borghi circondati da mura o da palificazioni, ove gli agricoltori vivevano annucleati in dimore di pietra (con intercalazioni di laterizi in prossimità della pianura) o impalcate su pareti di tronchi o assi di legno.

Si è cercato di descrivere, per sommi capi, il contributo dei geografi al tema qui trattato. Volendo stilare un primo bilancio sull’effettivo apporto di questi studiosi, va subito rilevato come esso sia fondamentale. Innanzitutto perché sono i primi ad interessarsi al tema delle torri colombaie, sia pur all’interno di un più ampio discorso sulla casa rurale, e poi per la puntuale focalizzazione di alcuni interrogativi fondamentali, ai quali però non viene data una risposta definitiva, quelli sull’origine e la reale funzione delle torri sparse oltre a quello di considerarle la prima forma di insediamento stabile nelle campagne durante il basso medioevo. 

Il tema dell’insediamento sparso medievale verrà ripreso, a partire dalla fine degli anni ’70 dello scorso secolo, quando gli storici medievisti iniziarono ad interessarsi del problema. Il primo apporto a questo nuovo filone di ricerca avviene nel 1978 ad opera di Rinaldo Comba ed è relativo ai modelli mentali che ispirarono la diffusione di dimore fortificate nelle campagne[46]

Nel 1979, gli interventi di A. A. Settia e R. Comba, al Convegno di Cuneo Per una storia delle dimore rurali, pongono nuove basi al dibattito. Nel suo intervento Settia focalizzò il tema delle torri e caseforti rurali[47] Comba invece, rispetto agli studi sulla dimora rurale, lamenta che “sino ad anni recenti il pressoché assoluto disinteresse degli storici e la conseguente inesistenza di una tradizione antiquario-erudita in grado di fornire materiali almeno parzialmente rielaborati per una discussione, in chiavi interpretative aggiornate, di questo importante tema della storia della cultura materiale. Un disinteresse che non è stato affatto supplito dalle ricerche intraprese da geografi, etnologi e talvolta da architetti[48].

Nel 1981 A. A. Settia pubblica L’esportazione di un modello urbano: torri e case forti nelle campagne del nord Italia[49], dove sostiene l’origine nel modello urbano delle torri sparse nella campagna inteso sia in termini architettonici che sociali[50], mentre nel 1983 si ha un ulteriore intervento di R. Comba, La dispersione dell’habitat nell’Italia centro-settentrionale tra XII e XV secolo. Vent’anni di ricerche[51]. Qui l’autore sostiene, a differenza di Settia, un modello funzionale, diffuso nel mondo signorile, di organizzazione dello spazio[52]. Le caseforti disperse nelle campagne dell’Italia centro-settentrionale non imitarono tanto le torri quanto i castelli, che avevano dimostrato nei secoli precedenti la loro capacità di rimodellare giuridicamente il territorio circostante[53].

Questo, in estrema sintesi, l’apporto degli storici, relativamente ai primi anni ’80, sul tema dell’insediamento sparso rurale in età medievale. Si tratta di testi basilari, che hanno influenzato in materia determinante tutti gli sviluppi successivi in materia e che, ovviamente, riguardano anche il tema delle colombaie nonostante queste ultime non vengono prese in considerazione, almeno in maniera diretta, in questi studi. Ma, l’abbiamo visto, esiste un rapporto molto stretto tra torri, caseforti e colombaie nel senso che molte di queste costruzioni, come anche i castelli, presentano strutture per l’allevamento dei colombi all’ultimo piano e tali testi risultano, pertanto, di importanza fondamentale per l’argomento trattato in questa sede.

Esiste poi un altro filone di studi, sempre della prima metà degli anni 80, dovuto alla “scuola marchigiana” di Sergio Anselmi e Renzo Paci per la storia dell’agricoltura ed in particolare della mezzadria[54], che a partire dal 1981 cominciò ad occuparsi della casa rurale nelle Marche con un primo seminario tenutosi a Ripatransone nel 1981[55]. In questo ambito vennero prodotti alcuni studi specifici sulle colombaie[56] fra i quali la monografia di Gianni Volpe che, pur riferita ad un ambito regionale ben definito, rappresenta il primo studio in assoluto che focalizza ed affronta alcuni dei nodi legati al tema delle torri colombaie, definendone le funzioni ed i caratteri tipologici e formali. Lo studioso infatti dopo aver fatto notare che se la classificazione e lo studio della dimora mezzadrile in genere sono temi già ampiamente analizzati e descritti in questi ultimi anni da molti studiosi, quella che invece è stata scarsamente indagata è la sequenza architettonica torre, casa – torre, colombaia, casa con colombaia, una sequenza che necessita di indagini per quasi un millennio[57], giunge, fra le altre, alla conclusione che l’antica tipologia perde pian piano la sua originale funzione di «difesa» del fondo e si ritrova ad assumere un ruolo non secondario nell’economia agricola di questo periodo: quello di locale adatto alla diffusione dell’allevamento domestico dei colombi[58]. Da sottolineare, infine, la definizione tipologica della torre colombaia che lo stesso autore descrive come una costruzione solitamente organizzata su tre piani, raramente quattro, con un solo vano per piano: il primo, a piano terra, è destinato a ricovero degli attrezzi o del bestiame, il secondo a residenza, l’ultimo a magazzino o colombaia[59].

    L’ultimo contributo, in ordine di tempo, al nostro tema è costituito dal convegno tenutosi a Cherasco nel 2005 del quale si segnalano, inter alia, gli interventi di Andrea Longhi sulle Torri e caseforti nelle campagne del Piemonte occidentale[60], Enrico Lusso sulle torri e colombaie nel Monferrato dei secoli XV-XVI[61], Paolo Grillo sulle torri e aziende rurali fortificate nell’area milanese e comasca nei secoli XII-XIII[62] e quello, infine, di Sandro Tiberini sulle colombaie e torri nelle campagne umbre [63].

Segue ...

 



[1] Questo piccolo studio sul tema dell’architettura rurale è il frutto di una ricerca, mai pubblicata e da me effettuata alcuni anni or sono, in occasione del restauro di un edificio cinquecentesco con torre colombaia in provincia di Macerata. È stata poi integrata, di recente, con ulteriori ricerche in rete e non solo.

[2] Questa definizione si deve a Gianni Volpe, nella prima monografia mai realizzata sul tema, Case, Torri, Colombaie: itinerari attraverso l’architettura rurale delle Marche. Ripatransone, 1984.

[3] Il termine tipologia edilizia, tra le tante definizioni esistenti, viene qui utilizzato nel senso che segue. È lo studio e la classificazione per tipi degli edifici, dove per tipo si intende “uno schema formale ripetibile o rilevabile in più opere formalmente simili” (M. Rebecchini, Il fondamento tipologico del’architettura. Teoria e significato del tipo. Roma 1978) ed anche “un oggetto, secondo il quale ognuno può concepire delle opere, che non si rassomiglieranno punto fra loro” (Quatremère de Quincy, Dizionario Storico di architettura. Parigi, 1833). “Il tipo è dunque costante e si presenta con caratteri di necessità e di universalità: ma sia pure determinati questi caratteri reagiscono dialetticamente con la tecnica, con le funzioni,con lo stile, con il carattere collettivo e il momento individuale del fatto architettonico” (A. Rossi, L’architettura della città. Milano, 1978. P. 33). Pertanto l’individuare la casa-torre-colombaia come “tipologia edilizia” significa, a mio avviso, ricondurla ad uno degli schemi ben precisi qui descritti.

[4] Si veda, al riguardo, A. A.. Settia, Tra Azienda Agricola e Fortezza: Case Forti, «Motte» e «Tombe» nell’Italia Settentrionale, in “Archeologia Medievale” VII, Borgo San Lorenzo, 1980.

[5] Marco Terenzio Varrone, Dell'Agricoltura Libri Tre. Libro III, cap. VII. Milano 1851.

[6] È da escludere, a mio avviso, una cupola a pennacchi su pianta quadrata in quanto costituisce un sistema troppo raffinato per essere utilizzato in un edificio destinato all’esclusivo allevamento dei colombi.

[7] Ora dirò de rusticali edifici , come possono esser commodi all’uso, e con che ragioni si deono ſare . Prima si deve guardare alla salubrità dello aere, come s’è detto nel primo libro di porre le Città . Le grandezze loro secondo  la misura delle possessioni , e le copie de i frutti sieno comparate; - I cortili, e le grandezze loro al numero delle pecore, e così quanti parà di buoi sarà necessario che vi stiano bisognerà determinare. Nel cortile la cucina in luogo caldissimo sia posa, e habbia congiunte le stalle de i buoi, le presepi de i quali riguardino verso il fuoco, e l’Oriente, … Le larghezze de i bovili non deono esser meno di piedi dieci , nè piu di quindici. La lunghezza in modo, che ciascuno par di buoi non occupi più di sette piedi. I lavatoi siano congiunti alla cucina, perché a questo modo non sarà lontana la amministratione della rustica lavatione . ll Torchio dell’oglio sia prossimo alla cucina , perché così a frutti oleari sarà commodo., Et habbia congiunta la cantina, i lumi della quale si torranno dal Settentrione, percioché havendogli da altra parte, dove il Sole possa scaldare, il vino, che vi sarà dentro, confuso , et mescolato dal calore si farà debile, e men gagliardo. I luoghi dell‘oglio si deono porre in modo, che habbiano il lume dal mezodì , e dalle parti calde, percioché l’oglio non si deve aggiacciare: ma perla tepidità del calore assottigliarsi. Le grandezze di que luoghi deono esser fatte secondo la ragione dei frutti … Gli ovili e le stalle per le capre si deono fare così grandi, che ciascuna pecora non meno di quattro piedi e mezo, non più di sei possa occupare di lunghezza. Granai alzati al Settentrione, e all’Aquilone: perché a queso modo i grani non potranno così presto riscaldarsi. … Le stalle de cavalli si porranno in luoghi caldissimi, pur che non guardino al foco, perché quando i giumenti sono appresso al foco, si fanno horridi. … I Granari, i Fenili, i luoghi da riporre i farri, i pistrini; si deono ſare oltra la casa di villa, accioché le case siano piu sicure dal foco. Ma se nelle ſabriche di villa si vorrà fare alcuna cosa più delicata, dalle misure delle case della Città ſopra scritte si fabricherà in modo, che senza impedimento della utilità rusticale sia edificata . Bisogna haver cura, che tutti gli edifici siano luminosi. A quelli di villa, perché non hanno pareti dei vicini, che gli impedisca facilmente si provede. Marco Vitruvio Pollione, I Dieci Libri dell’Architettura. Venezia, 1567. Libro VI, cap. IX.

[8] Eugène Emmanuel Viollet-le-Duc, Dictionnaire raisonné de l’architecture française du XI au XVI siècle. Tomo 3. Parigi, 1875.

[9] Dunque, la dimora in cui si devono crescere i piccoli falchi sia in aperta campagna, lontana da zone alberate o da boschi, in una torre o sulla parte alta di una casa isolata, essi, infatti, erano allevati dai genitori in luoghi elevati, lontani dai boschi. I falchi per natura prediligono l’aperta campagna senza molti alberi, e cacciano in questi ambienti. Pertanto, se venissero allevati in mezzo ai boschi o fra gli alberi, una volta cresciuti, quando, però non sono ancora robusti, volerebbero qua e là lontani dalla loro dimora per andare in aperta campagna, in quanto per natura amano quelle zone. De arte venanti cum avibus, Libro II, cap. XXXIII. Augusta, 1596.

[10] Lucio Giunio Moderato Columella, De Re Rustica. Libro VIII, cap. VIII. Venezia 1846.

[11] Tauro Emiliano Rutilio Palladio, De Re Rustica. Libro I, tit. 24. Parigi, 1543.

[12] Idem, De Re Rustica. Libro I, cap. 24. Venezia, 1528.

[13] Cassiano Basso, Geoponica. Libro XIV, cap. VI. Lione, 1541.

[14] Idem, Geoponica. Libro XIV, cap. VI. Venezia, 1549.

[15] Columella, cit. Libro II, cap. XV.

[16] Cassiano Basso, cit. Libro II, cap. XIX.

[17] Columella, cit. Libro VIII, cap. VIII.

[18] E. Sereni, Storia del Paesaggio Agrario Italiano. Bari, 1986. Pp. 78-79. 

[19] L. Chiappa Mauri, Popolazione, popolamento, sistemi colturali, spazi coltivati, aree boschive ed incolte, in Storia dell’agricoltura italiana. Il medioevo e l’età moderna, a cura di G. Pinto, C. Poni, U. Tucci. Firenze 2001-2002, pp. 28.

[20] Idem, cit., pp. 30.

[21] Relativamente al fenomeno dell’incastellamento riporto, tra i tanti, alcuni testi fondamentali. P. Toubert, Dalla terra ai castelli. Paesaggio, agricoltura e poteri nell’Italia medievale, Torino, Einaudi, 1997. Aldo A. Settia, Castelli e villaggi dell'Italia padana, Napoli, 1984. Per un inquadramento storiografico del fenomeno si rimanda a R. Francovich, L’incastellamento e prima dell’incastellamento nell’Italia centrale, in Acculturazione e mutamenti. Prospettive nell’archeologia medievale del Mediterraneo, a cura di R. Francovich, E. Boldrini, Firenze, 1995.

[22] E. Sereni, cit., pp. 110, 111. L. Chiappa Mauri, cit., p. 38.

[23] Brunetto Latini, Il Tesoro volgarizzato da Bono Giamboni. Venezia, 1839.

[24] Cfr. supra, n. 6.

[25] Marco Terenzio Varrone, Dell'Agricoltura …, cit. Lucio Giunio Moderato Columella, De Re Rustica, cit., Libro I, cap. VI.

[26] Il termine piniere è di difficile interpretazione. Una nota al testo del Tesoro nell’edizione del 1839 recita: Piniera è citato dalla Crusca con quest'unico esempio, e spiegato, in modo per altro dubitativo, per galleria.

[27] Per questo tipo di struttura rurale medievale rimando a A. A.. Settia, Tra Azienda Agricola …, cit.

[28] Pietro De’ Crescenzi, Trattato della Agricoltura. Bologna, 1784.

[29] Pietro De’ Crescenzi, cit. L. IX, Cap. LXXXIX.

[30] Tra le rare notizie o i pochi documenti che forniscono dati certi prima degli inizi del XIV sec. si possono citare i seguenti. Per le torri urbane: «È noto un contratto del 1220 con cui i membri del consortile chierese dei Balbo, all’atto di costruire la propria torre urbana, si dividevano non solo le quote di proprietà, ma anche il numero di passeroti e colomboti che vi potevano allevare». E Lusso, Torri e colombaie nel Monferrato dei secoli XV-XVI. Il contributo delle fonti iconografiche e documentarie alla conoscenza della diffusione dei modelli architettonici. Per le torri extraurbane: «Stando a una notizia riportata da Galvano Fiamma, nel 1266 Napoleone della Torre, anziano della Credenza di Sant’Ambrogio e signore di fatto di Milano, ordinò la demolizione di tutte le colombaie situate nei dintorni della citta, in quanto possibili rifugi per malviventi o, piu probabilmente, oppositori politici, indicandole biblicamente come speluncae latronum». P. Grillo, Fra poteri pubblici e iniziative private: torri e aziende rurali fortificate nell’area milanese e comasca (secoli XII-XIII). Entrambi in Motte, torri e caseforti nelle campagne medievali (secoli XII-XV). Omaggio ad Aldo A. Settia. Atti del Convegno svoltosi a Cherasco presso la sede del CISIM il 23-25 settembre 2005, a cura di Rinaldo Comba, Francesco Panero, Giuliano Pinto. Cherasco 2007, p. 109.

[31] G. Volpe, Case, Torri, Colombaie …, cit.

[32] «Dopo un breve tratto in un viottolo di campagna … vedrete comparire la sommità bucherellata di questo meraviglioso oggetto, detto il Palazzo, che oggi si presenta affiancato da una casa colonica che per niente ne diminuisce il fascino. Girategli intorno ed ammirate la lavorazione della pietra, i fori, le finestrelle in pietra, la feritoia e la finestra sestiacuta  in pietra e mattoni». Idem, Case, Torri, Colombaie …, cit.

[33] All’interno della rocca gli alloggi privati dei funzionari e i locali per lo svolgimento delle loro attività trovavano posto in un palatium che ospitava: una camera dove lavorava il notaio di curia, comunicante con l’adiacente aula della tesoreria aperta al pubblico tramite una finestra-sportello; la camera del tesoriere, dove erano conservati libri contabili e forzieri; la sala delle udienze; le camere dei giudici; quella delle scritture dei notai; la cappella ed infine la cucina del rettore. al piano inferiore del palatium erano situati i locali di servizio: la stalla del rettore, accanto alla quale si trovava il carcere; la cantina, con un solaio destinato alla conservazione di grano e orzo; la dispensa; la cisterna per l’approvvigionamento idrico. Sopra l’aula della tesoreria era una colombaia, di fronte al palazzo un ampio cortile. A. Lanconelli, Le «expense pro reparationibus rocche Montisflasconis» (1348-1359). Nota sull’attività edilizia nel Patrimonio di S. Pietro in Tuscia, in Le chiavi della memoria. Miscellanea in occasione del I Centenario della Scuola Vaticana di Paleografia, Diplomatica e Archivistica, Città del vaticano 1984.

[34] F. Bonasera, H. Desplanques, M. Fondi, A. Poeta, La casa rurale nell'Umbria, Firenze, 1955. Mi riferisco alla foto e della tavola XVII, la cui didascalia è la seguente: Spoleto, Arezzo. Aggregato di otto case (mezzadri e coltivatori diretti): evidente l’antica funzione difensiva della torre.

[35] Che il Desplanques aveva inserito nella sua pubblicazione del 1955.

[36] «Va osservato come le colombaie non si trovavano solo sulla sommita delle torri, ma anche di altri edifici, come, in questo caso, un torchio. Sempre intorno a Pavia, a Vialone, nel 1379, Martino Foranius prometteva a Castellino Beccaria di realizzare una fornace la quale doveva essere dotata di una colombaia. Nel documento vengono anche specificate le dimensioni del manufatto, esso avrebbe dovuto essere lungo 12 braccia (7,44 m.), largo 10 (6,29 m.) e alto 8 braccia da terra al solaio, e cinque dal solaio al tetto, quindi non superava gli 8,16 m. di elevazione dal piano di calpestio. Si trattava di una struttura abbastanza tozza e poco slanciata, diversa dall’immagine canonica che abbiamo della torre-colombaia». F. Romanoni, Sicurezza e prestigio. Torri «familiari» nella campagna pavese (secoli XIII-XV), in Motte, torri e casseforti, cit., p. 162.

[37] In realtà questo volume, che raccoglie i risultati della ricerca, venne pubblicato prima della fine della collana che vide successivamente l’uscita del testo dedicato alla Sicilia orientale, nel 1973, e molti anni dopo quello sulla Calabria nel 1987.

[38] Una descrizione abbastanza esauriente dell’impostazione data dal Biasutti a questa collana e che mette in evidenza una certo limitante e controverso uso del concetto di tipo edilizio è contenuta in C. Greppi, La casa dei contadini, in L'uomo e la terra, campagne e paesaggi toscani, Archivio Fotografico Toscana, a cura di Sauro Lusini. Prato, 1996.

[39] Il cui studio può dirsi iniziato solo nel 1954, quando Muratori iniziò i suoi corsi a Venezia e, più tardi, quando produsse la fondamentale opera Studi per una operante storia urbana di Venezia. G. Caniggia, G. L. Maffei, Composizione architettonica e tipologia edilizia. Venezia 1979.

[40] G. Pagano, G. Daniel, Architetura Rurale Italiana. Quaderni della Triennale. Milano, 1936.

[41] Importanza e diffusione molto maggiori che in altre parti dell’Italia centrale (o forse soltanto maggiore durata?) ebbe invece un altro elemento edilizio particolare, che è tuttavia un’altra manifestazione della impronta padronale sulla casa del mezzadro: la torre colombaria. Il Desplanques vi ha dedicato opportunamente speciale attenzione e ne offre qui un’ampia illustrazione, additandone le tradizioni antiche e moderne e i benefici economici come fonte alimentare e di materia fertilizzante, prima che nuove esigenze e orientamenti dell’agricoltura ne imponessero l’abbandono. Benefici che spiegano molto bene come, anche nella Toscana, la maggiore diffusione delle colombaie … coincida con i territori di più progredita agricoltura e sempre nell’ambito della mezzadria… Costruzioni analoghe, vale a dire case rurali provviste di una sovraimposta torre colombaria, esistono anche nelle Marche e nell’Umbria. Ma le «palombare» umbro-marchigiane hanno più spesso un’altra struttura: si elevano con mura molto più grosse delle usuali direttamente dal suolo e, in molti casi, risultano anteriori alle costruzioni propriamente rurali che vi sono, nei modi più vari, addossate. La prima origine di tali torri è, quindi, tutt’altro che chiara. Alberto Mori, descrivendo il tipo di dimora «a torre» esistente nella provincia di Pesaro, che egli dice espressamente richiamare le «torrette tanto frequenti nelle dimore rurali spoletine», mostra di ritenere che esso rappresenti la fase più antica dell’insediamento rurale sparso nella campagna, formato in tal caso da una unica torre isolata, con caratteri difensivi. Considerando però l’estrema inadeguatezza di una siffatta dimora, la spiegazione non ci convince. Il dott. Poeta, trattando delle palombare delle Marche meridionali, ha espresso invece la persuasione che il primitivo uso delle dette torri fosse esclusivamente venatorio … Devo aggiungere che un’eguale opinione mi ero fatta io stesso con l’esame del gruppo di palombare di Montefortino e dei loro caratteri costruttivi ed esornativi. Un’origine agricola di quelle torri, isolate a mezza montagna, è assolutamente da escludere: si deve anche tener conto che al tempo della costruzione di molte palombare il bosco doveva essere molto più esteso che non oggidì. La questione, tuttavia, è da considerare ancora aperta e merita di essere approfondita con nuove ricerche storiche. La casa rurale nell'Umbria, cit. Prefazione di R. Biasutti, pp. VIII-IX.

[42] A. Mori, La casa rurale nelle Marche settentrionali. Firenze, 1946. Pp. 22-23, 66.

[43] La casa rurale nell'Umbria, cit., pp. 110-118.

[44] L’ipotesi di Athos Poeta non era, però, del tutto priva di fondamento, come si è visto nel caso delle falconiere di Federico II o come avveniva nei roccoli che erano dotati di una torre.

[45] L. Gambi, La casa dei contadini, in Strutture rurali e vita contadina, Cultura popolare dell’Emilia-Romagna, Milano, 1977, pp. 161-189. Lo scritto è stato ripubblicato In La cognizione del paesaggio. Scritti di Lucio Gambi sull’Emilia Romagna e dintorni, a cura di Maria Pia Guermandi e Giuseppina Tonet. Bologna, 2008.

[46] R. Comba, Rappresentazioni mentali, realtà e aspetti di cultura materiale nella storia delle dimore rurali: le campagne del Piemonte sud-occidentale fra XII e XVI secolo, in Archeologia medievale, V (1978), pp. 375-414.

[47] A. A.. Settia, Tra Azienda Agricola …, cit.

[48] R. Comba, Cultura materiale e storia sociale nello studio delle dimore rurali, in Archeologia medievale≫, VII (1980), pp. 9-20.

[49] In Societa e storia, fasc. 12 (1981), pp. 273-297 (ora anche in Id., Erme torri». Simboli di potere fra città e campagna, Cuneo-Vercelli 2007).

[50] R. Comba, Le frontiere della ricerca: qualche riflessione, in Motte, torri e casseforti, cit., pp. 13-14.

[51] In Studi storici, a. XXV (1984), pp. 765-783.

[52] Un problema aperto: quale modello (o quali modelli)? Il problema su cui, relativamente alle dimore fortificate, la discussione è tuttora più che mai aperta è forse quello del modello. Per i geografi esso tende a confondersi con quello di tutte le strutture edili degli insediamenti sparsi, con particolare attenzione, è vero, per gli “edifici con sagome a torre”. In questi edifici essi sottolineano l’influenza urbana o almeno identificano “forme già in uso negli insediamenti urbani minori – e in special modo nei borghi murati – che fino al medioevo accoglievano per la maggior parte i coltivatori della terra”. Per i medievisti le cose stanno diversamente. Recentemente, rovesciando una tradizione storiografica secolare per la quale le torri cittadine sarebbero state un’imitazione, se non proprio delle casseforti rurali, almeno dei “castelli del contado, A. A. Settia ha ritenuto di poter dimostrare che il “modello edilizio e sociale della torre privata”, nato in città, fu “esportato nelle campagne ad opera degli stessi membri dell’aristocrazia urbana conseguendo ben presto una più vasta diffusione (Settia 1981). Da parte nostra abbiamo creduto di poter identificare nelle grange monastiche e nelle dimore fortificate di una regione (il Piemonte sud-occidentale), che abbiamo scelto come zona-campione di un’approfondita indagine sull’insediamento medievale, i modelli di azienda rurale che, grazie anche alla loro funzione simbolica e di prestigio, guidarono in aperta campagna la ristrutturazione dell’habitat fra XII e XVI secolo sollecitando una forte dispersione dell’insediamento accompagnata, come di consueto, dallo sviluppo di processi di appoderamento che interessarono aziende via via minori e ceti sociali sempre più umili. Ma quale fu il modello a cui a loro volta si ispirarono quei domini che per primi eressero nella regione una torre o una bastita? Un modello urbano? Ci si deve domandare, a questo punto, se il modello di una casaforte o di una torre debba essere ricercato esclusivamente in certe analogie di forme e di strutture edili, e quindi nella presenza in città e nelle campagne delle stesse tipologie, oppure se il concetto di modello investa piuttosto i modi di concepire l’insediamento, l’organizzazione dello spazio e i rapporti di forza che lo dominano. R. Comba, Cultura materiale …, cit.

[53] Idem, Le frontiere della ricerca: qualche riflessione, in Motte, torri e casseforti, cit., pp. 13-14.

[54] Questa definizione si deve ad Augusta Palombarini, Le palombare nelle Marche in età moderna. In A. Vernelli et al., Le Marche tra medioevo e contemporaneità. Studi in memoria di Renzo Paci. Quaderni del Consiglio Regionale delle Marche. N. 1 (2016), p. 113.

[55] La casa rurale nelle Marche: ricerche empiriche e indicazioni metodologiche, i cui atti sono nella rivista Proposte e ricerche, 7 (1981).

[56] Tra i molti studi pubblicati possiamo ricordare, A. Quaglino Palmucci, Il rapporto tra ambiente urbano e rurale nella lettura del tipo edilizio a «palombara». L’esempio Recanatese. In Atti e Memorie della Deputazione di Storia Patria per Le Marche, s. VIII – v. X (1976), pp. 335-348. M. Moroni, Case e palombare nel territorio recanatese del 1530, in Proposte e Ricerche, 5 (1980), pp. 36-55. Idem, Le palombare ei beni fondiari della Santa Casa di Loreto, in Proposte e Ricerche, 7 (1981), pp. 49-64. G. Volpe, Tipologia della casa-torre-colombaia nelle Marche settentrionali: alcune considerazioni, in Proposte e Ricerche, 7 (1981), pp. 40-47. A. Palombarini, Per una ricostruzione del paesaggio agrario maceratese dai catasti della seconda metà del cinquecento, in Proposte e Ricerche, 8 (1982), pp. 93-99. G. Volpe, Ancora sulle colombaie. Confronto tra esempi marchigiani e quelli del su-ovest della Francia, ivi pp. 179-181. O. Gobbi, Tipologie insediative nel Piceno centrale: palombare, casalini e cassine a Montalto nel XVI secolo, in Proposte e Ricerche, 18 (1987), pp. 77-82.

[57] G. Volpe, Case – Torri – Colombaie, cit., p. 26.

[58] Ivi, p. 47.

[59] Ivi, p. 64.

[60] A. Longhi, Torri e caseforti nelle campagne del Piemonte occidentale: metodi di indagine e problemi aperti nello studio delle architetture fortificate medievali, in Motte, torri e casseforti, cit., pp. 51-85.

[61] E. Lusso, Torri e colombaie …, ivi pp.87-123. Inoltre cfr. supra n. 30, infra n. 135.

[62] P. Grillo, Fra poteri pubblici …, ivi pp. 167-183.

[63] S. Tiberini, Colombaie e torri nelle campagne umbre: dagli studi di Desplanques alle ricerche più recenti, ivi pp. 279-294.

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