Case, ville, torri colombaie
I. Introduzione[1]
Se esiste un tipo di edificio che ha sempre
esercitato in me un fascino particolare questo è sicuramente la casa – torre –
colombaia[2]. Questo
tipo di costruzione rappresenta senza dubbio una delle espressioni più
interessanti dell’architettura rurale anche se, paradossalmente, in pochi
conoscono la sua reale funzione. Era essenzialmente un fabbricato per
l’allevamento dei piccioni formato da una torre isolata o facente parte di un aggregato
edilizio più complesso: in quest’ultimo caso rappresentava l’elemento
architettonico qualificante sia in quanto primo nucleo di successive
aggregazioni di corpi di fabbrica o in quanto parte di una dimora rurale o
villa progettate in funzione della colombaia stessa o delle quali la colombaia
costituiva, in base a precise scelte non solo architettoniche, il volume
dominante.
In realtà l’allevamento di piccioni che in
esse si praticava non serviva, in via principale, al consumo della carne di
questo volatile, ma anche a produrre concime a basso costo.
Si tratta di torri non eccessivamente alte,
a pianta quadrata, rettangolare, poligonale o circolare e costituiscono uno dei
primi tipi di edificio stabile a comparire nelle campagne italiane a partire
dal medioevo, anche se la loro origine risale all’epoca romana o, forse, a
tempi ancora più antichi.
Questa costruzione si sviluppa secondo
diverse tipologie edilizie. La più semplice è la torre isolata, a volume
interno unico o a diversi piani ognuno avente una propria funzione particolare.
Si hanno poi tipi più complessi, dove la torre è associata ad uno o più volumi
che possono fungere da base o essere disposti in accostamento. Esistono infine
alcuni complessi edilizi o ville che presentano due torri colombaie disposte in
simmetria.
In definitiva si tratta di strutture
fortemente legate all’ambiente rurale nel quale sono collocate integrandosi
perfettamente al paesaggio e contribuendo, per la particolare funzione della
produzione di concime, a determinarne l’aspetto caratterizzando le colture che
nello stesso venivano praticate.
Esistono ancora molte colombaie nelle zone rurali di tutte le regioni italiane e pure in altre nazioni europee, quali la Francia, la Spagna o alcuni paesi dell’est europeo, o nell’Asia Minore, anche se il numero, rispetto a tutte quelle esistenti nei secoli passati, è notevolmente diminuito. Il loro utilizzo infatti, mutando le tecniche agrarie, durò all’incirca fino agli inizi del XIX sec. e da allora molte sono state abbandonate alla rovina mentre in alcune sono crollate le torri e si sono conservati i volumi adiacenti o quello sottostante.
La tipologia edilizia[3] e la funzione.
Va subito precisato che non esiste una tipologia edilizia legata ad un periodo storico ben definito. Ogni epoca, da quella romana in poi, ha visto l’edificazione di questi edifici in base a quasi tutti i tipi che conosciamo, fatta eccezione per quello della villa a blocco unico, con torre colombaia disposta in posizione baricentrica o con due torri ai lati della facciata, che rappresentano le forme mature apparse a partire dalla prima metà del cinquecento. Allo stesso modo si deve affermare che non esiste un tipo di colombaia legato ad un certo territorio o ad una certa cultura tanto che si può parlare, a mio avviso, di un linguaggio comune, con alcune piccole varianti locali, che si estende dal sud Italia fino a gran parte dell’Europa.
Il tipo più semplice di
casa-torre-colombaia è la torre isolata che può avere più piani o un unico volume
interno destinato all’esclusivo allevamento dei colombi. La prima è definibile,
tipologicamente, come una serie di volumi sovrapposti, ad uno o più ambienti
interni, con aperture (affacci) su più lati, che la rendono abitabile, ad
eccezione del piano più alto dove le bucature verso l’esterno si riducono ad
aperture di varie dimensioni destinate all’ingresso dei colombi. Sotto a queste
è quasi sempre presente una fascia sporgente che si estende per l’intero
perimetro o meno. L’altra ha solo il solaio di copertura, o la volta, con unico
accesso dall’esterno e le bucature destinate al passaggio dei colombi che può
essere agevolato, in ambedue i casi, da un’ulteriore apertura sul tetto. Gli
altri tipi si differenziano da quello più semplice per la presenza di volumi
accostati o disposti sotto la torre. In alcuni casi la torre colombaia
appartiene ad un complesso edilizio rurale abbastanza grande, quale la villa o
la fattoria, delle quali rappresenta la parte emergente in altezza. In tutti
questi casi i volumi adiacenti alla torre possono essere ampliamenti successivi
all’edificazione della torre stessa, da intendere come nucleo di aggregazioni
successive, o essere coevi e facenti parte di un insieme di volumi progettati e
realizzati unitariamente.
Nei tipi più complessi di edifici con
colombaia possiamo trovare tutte le funzioni attinenti all’attività di
coltivazione dei terreni o all’allevamento di animali associate alla residenza
dei coloni o dei proprietari. In genere al piano terra erano collocate le
stalle, le rimesse e le cantine, al piano o ai piani superiori le residenze ed
i magazzini e sulla torre il volume per l’allevamento dei piccioni. In alcuni
casi troviamo un piano interrato a destinazione cantina.
Occorre distinguere, infine, tra il tipo di edificio monofunzionale adibito all’esclusivo allevamento dei colombi, la torre ad unico volume interno sopra descritta o altro tipo di costruzione isolata ad uno o più ambienti interni, e quello dove gli ambienti destinati a questa attività erano parte integrante di un insieme più complesso, case – torri – colombaie, che è l’oggetto principale del presente studio. Si farà tuttavia qualche accenno anche ai tipi più semplici ovvero destinati unicamente al ricovero dei colombi.
Le fonti storiche e letterarie.
Riveste, a mio avviso, un’importanza
fondamentale lo studio delle fonti storiche, nel nostro caso soprattutto
letterarie, per comprendere appieno questo tipo di edificio. Da ciò deriva il
particolare risalto che ho cercato di dare, in questo piccolo testo, alle fonti
letterarie relative alle colombaie, riferimenti, descrizioni, istruzioni
riportate negli scritti di vari autori nel corso dei secoli, a partire
dall’epoca romana e fino al XVII secolo, ma anche norme statutarie, del periodo
compreso tra XII e XVI sec, che si sono rivelate molto ricche di notizie utili
alla ricerca. Soltanto così, forse, si poteva ricostruire non solo l’evoluzione
tipologica di questo edificio ma soprattutto la vera funzione che aveva
nell’ambito dell’azienda agricola laddove ha costituito, in epoca medievale, una
delle poche forme di insediamento stabile insieme alle tumbe ed alle fattorie
fortificate, le cosiddette case forti[4] o
altri edifici aventi funzione prettamente difensiva.
Oltre a questo tipo di fonti tradizionali lo studio si basa anche su materiale trovato in Rete. Questo metodo non è certamente scientifico ma può essere utile per il reperimento, a larga scala, di materiale fotografico o documentario consentendo di ampliare i confini di una ricerca tradizionale. Ciò vale per molte delle immagini degli edifici individuati, che erano indispensabili per illustrare i vari tipi di colombaie esistenti, o per il materiale archivistico di tipo cartografico disponibile attualmente in Internet.
II. L’epoca romana.
Da un esame delle fonti letterarie antiche di epoca romana o
tardo-romana, possiamo desumere che già nel primo secolo a.C. esistevano
diversi tipi di colombaie.
La prima fonte letteraria a me nota che descrive una colombaia è il De Re Rustica di Marco Terenzio Varrone scritta nel 37 a.C.
… in una colombaia soglionvi essere due specie di colombe; una delle quali è selvaggia, o, come altri dicono, sassaiuola, perché dimora sulle torri, o sopra il columen, o colmo della casa di villa: dal che n'è venuto che a questi animali si è dato il nome di Columbae, le quali a motivo della loro timidità naturale, si ritirano sopra i luoghi più alti dei tetti, e per questo i colombi selvaggi amano specialmente le torri, dalle quali sen volano spontaneamente sui campi, per ritornare poi alle stesse. L'altra specie poi di colombe è più domestica, perché si contenta del cibo che si dà ad essa nelle case, e si suole allevare nell'interno della casa. Questa specie è particolarmente bianca, ma la prima screziata e senza tinta di bianco. Da queste due razze, se ne trae una terza, ch'è di colore mischio, e che si alleva, affinché frutti. Questa si rinserra in una specie di edifizio che alcuni chiamano perisewgc [colomba], ed altri periserotrofeion [da colomba e nutrire]. Sovente in uno di questi luoghi se ne rinserrano fino a cinquemila. Questi edifizi debbono essere coperti a guisa di una grande cupola, non avere che una porta stretta e delle finestre alla cartaginese, o più larghe e graticciate di dentro e di fuori, affinché tutto il luogo sia chiaro, e non possa avervi, ingresso il serpente, o qualche altro animale nocivo. S'intonacano di marmo pesto tutt'i muri e le volte internamente; e quest'intonaco si rende liscio più che si può: del pari si fa lo stesso esternamente intorno le finestre, per impedire che il sorcio, o la lucerta possa aggrapparsi sino agli occhi della colombaia, perché non vi ha animale più timido della colomba. Per ogni coppia di colombi, si distribuiscono con ordine degli occhi rotondi e spessi: questi ordini di occhi possono essere molti, cominciando da terra sino alla volta. Ogni occhio bisogna che internamente abbia in tutt'i sensi tre palmi e che l'ingresso sia tale che la colomba possa entrare ed uscire. Sotto ciascun ordine di occhi si attaccano alle muraglie delle tavolette, larghe due palmi, le quali servano di vestibolo, e su cui possano i colombi poggiarsi avanti di entrare negli occhi. Questi volatili sono nettissimi: per la qual cosa il custode della colombaia dee nettarla parecchie volte tra il mese; e lo sterco che lorda il luogo, è tanto acconcio per l'agricoltura , che alcuni autori hanno scritto essere questo il miglior concime. Bisogna che medichi le colombe ammalate, che levi quelle che sono morte, e che tragga fuori quei colombini che sono buoni a vendersi. Parimente il custode della colombaia debbe fare in guisa, che le colombe selvaggie sieno ben separate dalle altre, al quale oggetto le trasporterà in un luogo segregato; del pari deve esservi un luogo a cui richiamar possa dalla colombaja le madri. Ciò si fa per due ragioni: la prima, che infastidendosi, od annoiandosi di star rinchiuse, possan ristorarsi all'aria libera, quando voleranno nei campi; e secondariamente per adescare delle altre di portarsi alla colombaia, cui non mancheranno di ritornare, per motivo dei loro figli, quando bene non sieno ammazzate dal corvo, ovvero rapite dallo sparviere. Quelli che hanno la cura della colombaia, sogliono ammazzare questi animali, piantando in terra due verghe invischiate, curvate tra di loro, e attaccando tra queste quell' animale che gli sparvieri sogliono assalire: in tal modo restano ingannati ed invischiati. È facile il ravvisare che le colombe ritornano donde sono partite; poiché molti nel teatro le traggon fuori dal seno, e le lasciano in libertà; e se non ritornassero, non le lascerebbero in libertà. Il cibo si mette intorno le pareti. Bisogna che l'acqua sia netta nei truogoli, i quali si riempiranno per mezzo di canaletti che sono al di fuori, affinché possano bere e lavarsi. Amano il miglio, il formento, l'orzo, i piselli, i fagiuoli e l'orobo. Parimente chi possiede queste colombe selvagge sulle torri e sui colmi delle case di villa, deve aver cura, per quanto è possibile, di farle passare nella colombaia. Bisogna prenderle di buona età, cioè né troppo giovani, né troppo vecchie; e si faccia che il numero de maschi agguagli quello delle femmine, Non vi è animale più fecondo delle colombe, poiché nello spazio di quaranta giorni concepiscono, partoriscono, covano, ed allevano i colombini. Ciò fanno quasi in tutto l'anno; e solamente intralasciano dal solstizio d'inverno fino all'equinozio di primavera.[5]
In questa prima fonte
esaminata Varrone parla, innanzitutto, di Columbae, le quali a motivo della
loro timidità naturale, si ritirano sopra luoghi più alti dei tetti e per
questo i colombi selvaggi amano specialmente le torri dalle quali sen
volano spontaneamente sui campi, per ritornare poi alle stesse. Appare qui
descritta un tipo di torre colombaia costruita sopra il tetto di una casa,
villa o fattoria, come luogo più adatto per allevare colombi. Tale tipo viene menzionato
anche in altre opere successive, quella di Lucio Giunio Moderato Columella e
Tauro Emiliano Rutilio Palladio. Si tratta di una tipologia, come vedremo, che
verrà utilizzata fino al sec. XVI ed oltre, con una o due torri colombaie
realizzate sul tetto dell’abitazione o complesso rurale. Varrone descrive poi un
altro tipo di colombaia, una specie di edifizio dove se ne rinserrano
fino a cinquemila. Si tratta di una colombaia staccata dall’abitazione, un
edificio a sé stante, coperto a guisa di una grande cupola e il cui
unico vano interno è dotato di occhi rotondi e spessi, disposti secondo
diversi ordini da terra fino alla volta. Tali occhi sono i buchi dove trovavano
alloggio le coppie di colombi. La forma di questa costruzione descritta da
Varrone è sicuramente quella di una torre a pianta circolare, in quanto coperta
a cupola[6],
o a struttura in travi di legno, con tetto conico e che doveva essere uno dei
tanti edifici costituenti il complesso rurale della villa romana inteso come
entità produttiva. Non viene menzionato da Vitruvio nella sua descrizione degli
edifici rustici[7],
di pochi anni successiva all’opera di Varrone, in quanto era un edificio non
proprio indispensabile alla conduzione del fondo ma sicuramente ne costituiva
un arricchimento, presente soltanto nei complessi rurali più grandi e
strutturati, dato che consentiva di allevare colombi in grande quantità, la cui
carne era molto apprezzata, e di produrre un concime ritenuto anche all’epoca molto
efficace, la colombina.
L’uso di questo tipo di
edificio descritto da Varrone continua anche in epoche successive, medioevo ed
oltre, tanto che per avere un’idea della sua forma si può fare riferimento, ad
esempio, al Dictionnaire raisonné de l’architecture française du XI au XVI
siècle di Viollet – Le – Duc [8]
dove vengono riportati, fra gli altri, i disegni di una colombaia del sud della
Francia del XVI sec che mostra caratteristiche molto rispondenti a quelle di
epoca romana (figg. 1-4), o anche agli esempi italiani coevi presenti in
Puglia, come quello della foto 1 dove si è riportata, fra le tante esistenti,
una colombaia di questo tipo a Nardò (LE). Riporto anche l’esempio francese
della foto 2, esistente tra Creully e Tierceville in Normandia, un rudere dove
ancora è visibile un lacerto della cupola in mattoni.
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Figure 1-4. Colombaia dal Dictionnaire raisonné di Viollet–Le–Duc. |
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Foto 1. Colombaia presso Masseria Nucci e Nardò (LE). Da https://mapio.net/images-p/20174103.jpg |
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Foto 2. Colombaia tra Creully e Tierceville in Normandia. Da https://mapio.net/images-p/51929176.jpg |
La presenza di questo tipo di torre sembra documentato anche nel medioevo, come emerge dalle miniature del De arte venandi cum avibus di Federico II di Svevia scritto intorno al 1260 (figg. 5-6. Biblioteca Apostolica Vaticana, Palatini Latini, cc. 58v e 61v) . Si tratta però, in questo caso di falconiere, ovvero torri utilizzate per crescere, nutrire ed ospitare i falchi destinati alla caccia: Locus itaque in quo nutriendi sunt parvuli falconum, sit in loco campestri, distanti ab arboribus et a sylvis, in turri aut in domo alta solitaria, nutriebantur enim à parentibus suis in altis locis longinquis à sylva. Preterea falcones naturaliter diligunt loca campestria, multitudinem arborum carentia, et in talibus locis venantur, unde si nutrientur in sylvis aut inter arbores, postquam crevissent, licet nondum firmi, huc et hilluc extra suum locum volarent ad loca campestria, quoniam naturaliter condelectantur in eis[9].
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Figg. 5-6. De arte venandi cum avibus. Manoscritto, cc. 58v e 61v. Biblioteca Apostolica Vaticana. Diritti riservati. https://digi.vatlib.it/view/MSS_Pal.lat.1071 |
Tornando all’epoca romana un’altra fonte è costituita dal De Re Rustica di Lucio Giunio Moderato Columella (4 d.C. – 70 d.C)
Col mezzo stesso riesce far grassissimi i colombi salvatici, ei casalinghi: né però nell'impinguar colombi è sì grande la rendita, quanto nell'allevarli; dacché il possedimento ancora di questi non è mal confacente alle cure del buon contadino. Ma cotal qualità d'animali con minor governo si nutre in lontane contrade, ove si permette a volatili una libera uscita; perciocché in cima o alle torri, o alle più alte fabbriche frequentano le stanze assegnate con aperte finestre, per cui svolazzano fuori in cerca de' cibi. Tutta via per due o tre mesi ricevono alimenti tenuti in serbanza; pel tempo restante pascono sé medesimi colle semenze della campagna. Ma così non possono fare in vicinanza delle città, essendo quivi accalappiati dagli uccellatori con varie insidie: perciò fa d'uopo cibargli in casa rinchiusi; e non già in una parte bassa del villesco recinto, né fredda, ma in alto si dee fare un solaio, che guardi il mezzodì vernale, e nei suoi muri, per non ripeter cose già dette, come pel gallinaio abbiamo insegnato, uno presso l'altro s'incavino gli stanzini; e se così non si può, cacciati entro de' palicciuoli, vi si sovrappongano tavole, sulle quali le nicchie, o nappi di terra cotta, si adattino, dove i colombi facciano il nido, postivi davanti de' limitari, pe' quali giungano a loro covi. Il luogo poi tutto, e gli stanzini stessi delle colombe hanno da pulirsi d'in tonico bianco; perciocché di quel colore singolarmente dilettasi questa schiatta d'augelli. Né meno debbonsi lisciar i muri al di fuori, sopra tutto all'intorno della finestra; e sia quella collocata per modo, che nella maggior parte del giorno d'inverno riceva il sole, ed abbia d'incontro una gabbia abbastanza capevole, difesa da reti, che non lasci entrar gli sparvieri, e riceva le colombe che escono al sole, ed altresì dia l'uscita nella campagna alle madri che covano le uova, o i pulcini, affinché, quasi per grave servaggio d'una perpetua custodia, rattristandosi, non invecchino; perciocché come hanno un po' svolazzato intorno alle case, rallegrate ristoransi, e più vigorose tornano a loro parti, per cagion de' quali né pur tentano di vagar da lungi, o fuggire.[10]
Anche questo autore, di qualche decennio successivo a Varrone, parla di torri e di colombaie realizzate sopra i tetti delle case extraurbane in lontane contrade, ovvero nei poderi e nelle ville. Le torri che Columella cita, ma non descrive, sono le stesse di cui parla Varrone, ovvero edifici destinati unicamente all’allevamento dei colombi. Non possiamo infatti pensare, per l’epoca romana, a torri colombaie più strutturate come quelle presenti nelle campagne a partire dal basso medioevo e fino al XVI sec., che sono da definire, più propriamente, case-torri-colombaie. Queste ultime sono espressione di un diverso approccio alla coltivazione e soprattutto, come vedremo più avanti, di una diversa situazione politica e sociale. La torre isolata descritta da Varrone e Columella era un edificio accessorio della villa quando, in epoca romana, c’era stabilità politica e le campagne erano sicure. Stesso discorso vale per le colombaie, descritte ancora da Columella, sopra i tetti delle case che, come le torri isolate, sono da considerare elementi di un insediamento quale la villa o la fattoria romana, piccole torri emergenti dai tetti delle case di campagna dove venivano allevati i colombi. Tali volumi, spiega Columella, potevano contenere più stanzini o avere un unico vano diviso in altezza con tavole poggianti su pali in legno: in alto si dee fare un solaio, che guardi il mezzodì vernale, e nei suoi muri, per non ripeter cose già dette, come pel gallinaio abbiamo insegnato, uno presso l'altro s'incavino gli stanzini; e se così non si può, cacciati entro de' palicciuoli, vi si sovrappongano tavole, sulle quali le nicchie, o nappi di terra cotta, si adattino, dove i colombi facciano il nido, postivi davanti de' limitari, pe' quali giungano a loro covi.
Quest’ultimo tipo di colombaia viene descritto anche nel De Re Rustica, di Tauro Emiliano Rutilio Palladio, del IV sec. d.C.
Columbarium
verò poteft accipere sùblimis una turricula in praetorio constituta, levigatis,
ac dealbatis parietibus, in quibus à quatuor partibus (sicut mos est)
fenestellae brevissimæ sient, ut columbas solas ad introitum, exitúmque permittant.
Nidi figurentur interius.[11]
[Il
Colombaro il po fare una alta Torricella nel pretorio: cioè nella casa ampla
del podere fabricata: havendo d'intorno le mura scialbate: la quale da quatro lati:
com’è usanza finestre piccoline debba havere: accio che per quelle solo li Colombi
possano uscire et intrare. Li nidi dentro si faccino.][12]
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Foto 3. Mosaico. Museo del Bardo a Tunisi. http://www.bardomuseum.tn/ |
L’ultima fonte nota di epoca romana è contenuta nei Geoponica, un’opera letteraria del X sec., o forse del VI sec., attribuita all’autore Cassiano Basso, costituita da una raccolta di testi più antichi. Quello che ci interessa è tratto da un brano dei fratelli Quintili, Condianus e Maximus, vissuti nel II sec. d.C.
De columbario. Quintiliorum. CAP. VI.
Construenda est domus tempore sereno, et adversus bestiarum accessum munita, et diligenter oblita. Construendi sunt et in parietibus nidi crebri à pavimento usque ad fastigium […] Caeterum ego reptilium accessum prohibere volens, proprium locum deligo, qui non habeat domos propinqua, sed procul distantes, et columna transfero pro magnitudine extruendi operis, easque statuo non in directum, sed circulariter, deinde supra columnas capita impono, postea super capita columnarum alias columnas ligneas valde præstantes impono, et super columnas in circuitu duas domunculas extruo altitudine cubitorum septem, faciebamque in parietibus, ab occasu quidem fenestram unam lucis gratia, ab ortu vero aliam, in qua colloco cohibitorem sive custodem appellatum, qui cohibet columbas, et unde columbas ad pascua exire oportet. A meridie autem constituo ianuam per quam ingrediatur is qui avium curam gerit. Atque hoc modo illesa columbas conservo. Neque enim possibile est reptilia per columnas ascendere posse, cum sint valde diligenter oblitae, tectorio explanatae.[13]
Della
colombara. De Quintilii. Cap. VI.
Si
debbe fabricare la stantia a sereno tempo, et contra le bestie fortificata, e
con diligenza otturata si facciano ne i pareti dal fondo fino alla cima spessi
nidi, i quali chiamano alcuni sithrus, ma noi chithrinus gli chiamiamo, ove i
colombi congiunti debbano praticare e partorire, mettendo a cadaun nido tavole,
per le quali si puossi passare. Et facciasi in quel luogo un lavatio ove possino
bere et lavarsi, affine che non speſſo si vada a turbare le colombe, il che sommamente
è di danno. Non però che non gli debba andare l'huomo, perche gli è di bisogno
mondare la stantia, portarne la fece, et s'alcuna cosa è guasta racconciarla, et
ombreggiare, affine che serpenti ò altri animali non diano noia. Ma io volendo cacciarne i serpenti eleggo
luogo proprio dalle case scostato, e per la grandezza dell'opera vi porto
colonne, mettendole nò per dritto, ma in cerchio, et sopra pongo alle colonne i
capi sopra i quali altre colonne di legno sode v'aggiungo, sopra le quali
fabrico in cerchio due picciole stanze per altezza di sette gomiti, facendo ne
i parieti dall'occaso veramente una finestra per la luce, et d'oriente
un'altra, ove io pongo ritegno chiamato il guardiano, il quale ritiene le colombe,
et onde le colombe ne vanno per il cibo. Ma da mezzo di faccio la porta, per la
quale entra, chi delle colombe ha il governo, et così senza offesa le conservo,
perciò che non possono ascendervi per le colonne i serpenti, quando che sono
bene lisciate et piane. Ne faine ne altro animale le puo fare inganno ò assalirle,
non vi essendo casa vicina, onde possino noiarle.[14]
Foto 4. Colombaia nel Lot-et-Garonne in Francia. Da https://img.over-blog-kiwi.com/1/08/96/16/20190523/ob_a4913b_dsc-2481.JPG |
III. Il medioevo.
In
questo periodo, caratterizzato da una scarsa sopravvivenza di documenti, se risulta
difficile tracciare un quadro preciso relativamente alla storia
dell’agricoltura lo è ovviamente ancor di più per l’oggetto di questo studio.
Posso limitarmi ad avanzare un’ipotesi abbastanza plausibile e che potrà essere
confermata o meno soltanto dall’archeologia e dalle scienze ad essa connesse,
ovvero quella per cui in un’economia rurale concentrata nelle curtes, o domuscultae
o massae, nei borghi
o nelle città spopolate, l’allevamento del colombo avvenisse con le stesse strutture
descritte per l’epoca romana. Che venisse praticata nelle torri, nei piccoli
edifici su colonne o sui colmi dei tetti tale pratica doveva avvenire
nell’ambito del centro rurale o di ciò che rimaneva degli antichi centri urbani,
in una zona protetta o potenzialmente sicura, e queste strutture erano
perfettamente idonee a tale scopo. Non c’era ancora la possibilità di
addentrarsi in zone esterne e malsicure realizzando costruzioni più adeguate a
questa esigenza, ma non si hanno elementi per escludere, neanche per questa epoca,
la presenza in ambito urbano di case torri con colombaia al piano più alto come
avverrà in periodi successivi.
A
partire dal IX secolo, ed in certe aree anche nel secolo precedente, iniziano i
primi segni di ripresa economica e demografica, con conseguente
riorganizzazione del paesaggio agrario mediante bonifiche e dissodamenti, ed i
secoli X e XI restano decisivi da questo punto di vista. Nel sud Italia già a
partire dal IX secolo si ha una certa ripresa delle città e degli scambi
commerciali ed in alcune zone di regioni come la Puglia o la Sicilia è
documentata la presenza di piccoli insediamenti rurali sparsi o di casali[20].
Differentemente, al centro e al nord Italia prevale il fenomeno
dell’incastellamento, in misura nettamente maggiore che non al sud della
Penisola: la tipologia di insediamento che era stata tipica dell'alto medioevo,
la curtis, viene lentamente sostituita da un centro
fortificato, il castrum. Che venisse fondato ex novo su un’altura facilmente
difendibile, che nascesse a difesa di un insediamento sparso esistente - “curtis cum castro”, il castello diviene un po’ dovunque polo di attrazione per
le popolazioni che, dai centri disseminati nelle campagne, come la “corte”, si
spostano lentamente verso luoghi fortificati, in grado di garantire maggiore
sicurezza e tali da costituire un polo di attrazione anche da un punto di vista
economico[21].
Anche le città, sebbene in misura minore, sono coinvolte in questo fenomeno di
accentramento della popolazione ed alcuni castra
divengono città di una certa importanza. Ciò che interessa sottolineare, ai
fini di questo studio, è che nel periodo tra i secc. XI e XIII si assiste ad un
progressivo ampliamento delle superfici coltivate che si irradia dai centri
dove la popolazione si era concentrata. Iniziano le grandi opere di bonifica e
dissodamento dei terreni con conseguente progressivo arretramento di superfici
a bosco, incolti e paludi, in un primo momento da parte dei signori feudali,
con i contratti ad runcandum o ad pastinandum e poi delle chiese
vescovili e infine dei Comuni, attraverso forme assai varie di associazioni
familiari, gentilizie, tra vicini, tra servi o coloni dello stesso signore. In
questo processo di modifica del paesaggio agrario assumono rilevanza, come
noto, anche le abbazie cistercensi[22].
È
in questo contesto che prende forma la casa–torre–colombaia rurale, quando si
inizia ad uscire dal castello, dal piccolo cento sparso o dalla città, per
riappropriarsi del territorio, e nasce la necessità di avere un edificio
stabile in prossimità delle nuove zone coltivate. Questa costruzione non poteva
essere ancora la torre destinata all’esclusivo allevamento dei piccioni, mi
riferisco a quella descritta da Varrone e Columella, per quanto in età
medievale ed oltre questi edifici venivano ancora sicuramente usati nell’ambito
dei centri rurali, come testimoniano i complessi delle grange cistercensi, quale
ad esempio quello dell’abbazia di Fontenay (foto 5) fondata nel 1119, o come
appare dalla scena di febbraio rappresentata nel Breviario Grimani degli inizi
del XVI sec. (fig. 7) o, ancora, nella miniatura del mese di febbraio del Très Riches Heures du Duc de Berry degli
inizi del XV sec. (fig. 8). Questa nuova struttura doveva essere articolata su più
piani e tale da garantire alcune delle funzioni essenziali al nuovo insediamento:
residenza, ricovero per gli animali, magazzino, rimessa attrezzi, produzione di
concime ed infine difesa. Quali altri edifici, se non la casaforte o la torre,
avrebbero potuto contenere in sé tutte queste funzioni sia pur in forma ristretta?
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Foto 5. Colombaia monofunzionale presso il complesso monastico di Fontenay. Da https://files.structurae.net/files/350high/1927/france/fontenay14_24_04.jpg |
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Fig. 7. Breviario Grimani, XVI sec. |
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Fig. 8. Il mese di febbraio. Très Richer Heures du Duc de Berry, XV sec. |
Da
queste prime considerazioni nascono alcuni quesiti fondamentali che sono stati
e costituiscono, tuttora, il nodo centrale di un dibattito sviluppatosi a
partire dagli anni ’50 dello scorso secolo. La casa torre costituisce realmente
uno dei primi tipi di insediamento stabile nelle campagne del basso medioevo? Quando
si iniziò ad utilizzarla? Perché colonizzare i nuovi territori strappati alla
foresta o alla palude con un siffatto edificio? Questa tipologia edilizia era
stata concepita per tale scopo o è la replica di un modello urbano che viene
riutilizzato nelle campagne? E, infine, si tratta di torri realizzate, in un
primo momento, per scopi difensivi e poi adattate a colombaie o nascono
direttamente come case-torri-colombaie? Va subito chiarito che, per tali interrogativi,
non esiste a tutt’oggi una risposta univoca da parte degli studiosi, anche
perché si tratta di una forma di insediamento rurale minore e forse per questo
ancora poco studiata. Prima di addentrarmi, però, nel cuore di questi nodi
cruciali vorrei esaminare alcuni brani tratti da due fonti medievali, sia pure
tarde se rapportate all’epoca presa in esame, il Tresor di Brunetto Latini scritto durante il suo esilio francese
(1260-1266) ed il Ruralium Commodorum
libri XII di Pietro De’ Crescenzi, scritto all’incirca nel 1305.
Possiamo
leggere nel libro III del Tesoro alcuni
passi, contenuti nei capitoli dal V al IX, dedicati al tema che, con termini
attuali, definiremmo rapporto tra insediamento rurale ed ambiente, mediante
indicazioni relative alla scelta del luogo più redditizio per l’attività
agricola, a quello più adatto all’edificazione ed al modo di edificare un’abitazione
o, più propriamente, una fattoria ed i suoi annessi sul podere. Al cap. V, che
ha per titolo Come l'uomo dee iscegliere
terra da guadagnare, si può infatti leggere,
Relativamente
alle colombaie, va ricordato, Il Tesoro
ci dice unicamente nel capitolo XIX, Dei
colombi, che se l’uomo dà loro
beccare comino, e ungeli l'ale di balsamo, elli menano grande torma di colombi ad
albergo al loro colombaio. E se l'uomo dà loro beccare orzo cotto e caldo, elli
ingenerano figliuoli assai. E vuolsi mettere per li cantoni delle colombaie
spine e altre cose, sì che mala bestiuola non vi possa andare[23].
Il
fatto che le descrizioni del Latini siano riferite ad un insediamento rurale
appare evidente dalla frase, Per ciò che
le genti fanno spesso magioni sopra la buona terra, vorrà il maestro insegnare
come l'uomo lo dee fare, ma per capire a che tipo di magione si riferisce occorre fare alcune considerazioni.
Innanzitutto quando dice guarda che 'l
tuo edificio non sia fatto tutto insieme e descrive poi tutti gli annessi
all’abitazione rurale, parla di un insieme di edifici staccati dalla casa e lo
ritiene il modo migliore di strutturare una fattoria: celliere, stalla, forno, cisterna, granaio, luogo dell’olio, forno, molino e columbaia, che è in questo caso ancora
quella monofunzionale delle ville romane, avranno una precisa collocazione
rispetto alla magione. Questa
fattoria è però una fattoria ideale che rappresentava il miglior modo, secondo
l’autore, di costruirla e che nel XIII sec. si realizzava in pochi luoghi
sparsi, verosimilmente sopra una tumba dotata di difese. Si basa sulla
descrizione di Vitruvio[24],
o su quelle di Varrone e Columella[25],
non è però quella che Brunetto Latini raccomanda di realizzare nel momento in
cui scrive Il Tesoro perché,
prosegue, Ma alla magione conviene vedere
se 'l tempo e 'l luogo è in guerra o in pace, o se ella è dentro alla città o
dilungi da gente, e deve concludere, quasi con rammarico, con la
constatazione Che quelli d'Italia, che
spesso guerreggiano tra loro, si dilettano di fare torre o altra magione di
pietre molto forte, cioè fuori delle cittadi … Ma li Franceschi fanno magioni grandi e piniere dipinte, per avere
gioia e diletto, senza noia e senza guerra, e però hanno ellino miglior fare
prati, e verzieri, e pomieri in tutti i loro abitacoli[26].
Gli italiani sono quindi obbligati a costruire, fuori dal castello o dalla
città, edifici quali la torre o una struttura identificabile come la casa forte
- magione di pietre molto forte … - nelle
quali riparare senza indugio, immantinente,
e difendersi, durante eventuali attacchi, con l’ausilio di pietre, e di mangani, e di saette, e d'ogni fornimento che a guerra
appartiene. Il tutto a differenza dei francesi (Franceschi) le cui diverse condizioni politiche consentono un
approccio diverso con la campagna, ovvero con strutture più aperte ed integrate
con quest’ultima.
La conclusione che possiamo trarre dai brani sopra riportati, quella che qui più interessa, è che Brunetto Latini individua, oltre ad una più o meno ideale fattoria ispirata a quelle romane, due manufatti extra moenia con cui è possibile realizzare un insediamento rurale stabile nell’Italia del XIII secolo: la torre isolata e la casa forte. Ma c’è un altro elemento, non proprio secondario, che emerge nelle descrizioni: la possibilità di riparare, in caso di attacco da parte di malintenzionati, all’interno di queste due strutture. Lo ritroviamo anche nell’opera del De Crescenzi, al capitolo VI del libro I che ha per titolo Delle corti, o vero tombe da fare in diversi luoghi, e in diversi modi, dove vengono spiegate le modalità di realizzazione di una tomba, l’insediamento su una piccola collina artificiale o naturale[27]:
In molti modi ſi può conſiderare, in che maniera ſon da far le corti, o vero le tombe nella villa, per cagion dell'abitazion del Signore, e del lavoratori, e del frutti, che vi ſi deon portare, e degli animali da nutricare : perchè, il luogo dove tu ordini di far la corte è poſto intra l'altre caſe della villa, o egli è da quelle lontano. Ancora, o il detto luogo è in piano, o egli è in monte. Ancora, o egli è in parte ſicura, o in parte pericoloſa. S'egli è poſto intra l'altre caſe della villa, non ha biſogno la corte di tanta fortezza, e guernimento di chiuſura, perciocchè cotal luogo è men diſpoſto alle 'nſidie de ladroni: e ancora perchè ha preſſo l'aiuto degli huomini vicini, ſe biſogno gli faceſſe. Ma ſe dall'altre caſe foſſe partito in luogo ſolingo, ſi dee cignere d'intorno di convenevoli foſſe, e di ripe, e di ſiepi, per le contrarie ragioni. Ma s'egli è in piano troppo baſſo, ſì ſi dee ragunar terra per tutta la corte, che vegna altronde, ed innalzarla, acciocchè ivi entro l'acque, che d'altronde vengono, non poſſano entrare, e che le piove, che vi caggiono, agevolmente ſene dirivino, e ſcolino fuori. E ſe foſſe in monte, là dove con acqua di foſſe non ſi puote afforzare, eleggaſi un luogo, al quale, fuorchè per ordinato entramento, ſia aſpra, e greve ſalita: e ſe il luogo è dalla malignità de' nimici ſicuro, baſta ſolamente che ſia afforzato di tali guernimenti, e foſſi, che da ladroni ſia ſicuro, i quali ſpeſſe volte ſtanno inteſi a far danno, eziandio nel pacifico tempo. E ſe il luogo foſſe in parte pericoloſo, diſpoſto molto alle forze de' potenti nemici, più ſicura coſa ſarà abbandonare a tempo cotal luogo, che mattamente, e inconſideratamente diſponerſi a morire: ſe non foſſe già, che moltitudine di ricchezze moveſſe il Signor del luogo a far caſtello, o rocca da battaglia ſicuro. Ma ſe alcuna volta corrano quelle parti berrovieri, malandrini, o vero deboli nemici, rubando, e ſpogliando, ſi dee circondar la corte di muro, o vero di convenevole ſteccato. Alle quali coſe fornire, ſe la facultà del Signore, non baſtaſſe, facciaſi almanco, che, in uno de cantoni della corte, di ripe, e di foſſi forti, guernimento ſi faccia, e ſopra ciò ſi faccia un battifredo, o vero torre, nella quale il padre della famiglia, con ſuoi lavoratori, e con le ſue coſe, poſſa rifuggire, quando biſogno gli foſſe.[28]
Anche in questo caso, sia pur all’interno di una tumba e con l’invito a non costruire in luoghi pericolosi a meno che non si disponga delle ricchezze necessarie a a far caſtello, o rocca da battaglia ſicuro, viene messa in evidenza la valenza difensiva della torre, come forma di residenza, in luoghi distanti dai centri abitati o dei castelli. Assodato ciò manca da legare il termine “torre” a quello di “colombaia”, cosa questa che non appare, almeno direttamente, dai brani sopra riportati. Un’indicazione ci viene data però sempre dal Trattato di De’ Crescenzi al capitolo LXXXVII del libro IX, quando parla delle colombaie:
Le Colombaje ſi poſſon fare in due modi , o vero ſopra colonne, con pareti di legname, di muro, di pietre attorniate, o vero ſopra torre di groſſo muro murate, e ciaſcuna puote aver nidi d'entro, e di fuori , in buche . Ma meglio è in muri di torre , che di legname , e meglio è dentro , che di fuori i nidi avere: imperocchè ſe di fuori avrai i nidi , la colombina ſi perde, la quale è di grande utilitade, e piu agevolmente i pippíoni da' rapaci uccelli ſon rubati. Facciaſi adunque la torre di pietra , con iſpazii larghi, o vero ſtretti , ſecondo la volontà del Signore, e ſecondo la ſua poſſibilità, non troppo alta , con pareti bene intonicate, e imbiancate . Abbia in ogni quadro una piccola fineſtra, che ſerva all’uſcire, e all’entrar de' colombi, ſotto la quale ſia un circuito di pietre, ſportato in fuori, che ſia bene intonicato, il quale il ſalimento delle donnole, e dell’altre nocive fiere, impediſca: e ſopra tetto fíneſtra abbiano, per la quale entrino i colombi, ed eſcano, imperocchè volentieri i colombi fopra tetto dimorano al Sole.
Le
colombaie, dunque, si possono fare sopra
torre di grosso muro murate oppure sopra colonne. Queste ultime sono
ancora quelle di tipo monofunzionale come già descritte da Cassiano Basso nei Geoponica
(fig. 9, dall’edizione in latino del Trattato). Le prime sono invece nel vano
all’ultimo piano della torre, non specificando se urbana o rurale, che deve
essere costruita di pietra, non troppo alta e con le pareti intonacate ed
imbiancate: è forse l’unica fonte scritta medievale che lega la colombaia alla
torre e ci consente di completare il binomio casa-torre con il termine
colombaia ottenendo così il trinomio “casa-torre-colombaia” con la valenza di una
tipologia edilizia ben definita, ovvero quella che ho già descritto
nell’introduzione.
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Fig. 9. Colombaia Ruralium Commodorum libri XII del De Crescenzi. |
La
conclusione che possiamo trarre dalle due fonti letterarie sopra esaminate è che
forniscono una testimonianza fondamentale sui tipi di residenza rurale,
utilizzati all’epoca, al di fuori dei centri urbani o dai castelli. Sono la
casa forte, la tumba e, quella che qui più interessa, la torre isolata con o
senza colombaia all’ultimo piano. Ma dalla descrizione del De Crescenzi si può
anche dedurre che già agli inizi del ‘300 quest’ultima tipologia, dotata di
vano per la colombaia all’ultimo piano, era ben delineata ed utilizzata.
Resta
da definire se si riferisca a torri urbane o extraurbane, ma è chiaro, in base
ad altri elementi, che si tratta di strutture rurali. Intanto perché il libro
del Trattato che contiene la descrizione delle colombaie ha per titolo Di tutti gli Animali, che ſi nutriсano in
Villa, e se ciò non bastasse a
fugare ogni dubbio quando parla di come
si governino, e avvezzino i
colombi dice anche, Il beveraggio ancora ſi dia lor nella colombaja
a ſufficienza , e dieſene loro, quando non hanno acqua, ſe non molto da lunge, о che, per lo gran caldo, o gran ghiaccio,
trovar non ne poſſono. O vero ſene ponga in qualche vaſo, o luogo, preſſo alla colombaja, alla quale ſcender poſſano a bere. Ed imperó è quaſi lor neceſſario, che ſieno appreſſo a luogo, dove acqua diſcorra, ove quivi, e bere,
e lavar ſi poſſano [29]
ed è evidente che avendo uno spazio circostante ampio e privato dove installare
abbeveratoi, e trovandosi vicino a corsi d’acqua, sono necessariamente nella villa.
Queste
considerazioni consentono di dare una risposta, almeno parziale, all’ultimo dei
quesiti che ho posto più sopra ovvero se in questo periodo si utilizzavano
torri nate con scopi difensivi e poi adattate a colombaie o, anche, strutture
concepite secondo lo schema preordinato di casa-torre-colombaia. Quando dice Facciaſi adunque la torre di pietra … Abbia in ogni quadro una piccola fineſtra,
che ſerva all’uſcire, e all’entrar de' colombi, l’autore non parla di un adattamento di torri esistenti, ma di
edifici progettati e realizzati con questo schema compositivo che presentava, anche
all’epoca, persino alcune caratteristiche riscontrabili in alcune delle forme
più mature tardo quattrocentesche o cinquecentesche ovvero l’altezza limitata (Facciaſi adunque la torre … non troppo alta),
la variante dei nidi interni ed esterni (e
meglio è dentro, che di fuori i nidi avere) o la fascia sotto la finestra per l’ingresso dei colombi (ſotto la quale ſia un circuito di pietre,
ſportato in fuori, che ſia bene intonicato, il quale il ſalimento delle
donnole, e dell’altre nocive fiere, impediſca). Questo dimostra senza alcun dubbio la messa a punto, già agli
inizi del XIV sec., della casa-torre-colombaia come tipo edilizio a sé stante. Più
difficile chiedersi quanto tempo prima questa messa a punto sia avvenuta: una
domanda che, purtroppo, allo stato attuale delle conoscenze rimane senza
risposta[30].
Del
tipo di colombaia ora descritto, pur con tutte le cautele del caso dovute al
fatto che potrebbero essere state costruite anche in epoche successive, ho
cercato di reperire alcuni esempi superstiti, realizzati con molta probabilità
in epoca medievale. Si tratta di edifici molto semplici, essenziali, ubicati in
Umbria e nelle Marche. Le prima è quella di Piano del Nese (foto 6), nel comune
di San Giovanni Del Pantano (PG), con tetto a due falde, fascia marcapiano e
buchi per i colombi sull’esterno delle murature, un’altra è quella in località
Collicelli di Spoleto (foto 7), molto simile all’altra ma con il marcapiano
esteso per metà del perimetro. Altre due sono a Cagli (PU), nelle località Foci
e Smirra e sono già state descritte nella monografia di G. Volpe[31].
La prima (foto 8) ha il tetto a due falde e la fascia esterna in mattoni estesa
lungo la zona sotto il vano di accesso dei colombi. L’altra (foto 9), quella in
località Smirra, ha il tetto a falda unica, bucature esterne e finestrelle per
l’accesso dei colombi in pietra e una finestra a sesto acuto che, se non è una
prova della sua realizzazione in epoca medievale, rappresenta un raro ed
interessante indizio della sua origine molto antica[32].
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Foto 6. Colombaia a Piano del Nese nel comune di S. Giovanni Del Pantano (PG). Da https://www.iluoghidelsilenzio.it/wp-content/gallery/castello-di-pian-del-nese-san-giovanni-del-pantano-pg/DSC_0266.jpg |
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Foto 7. Colombaia a Collicelli di Spoleto (PG). Da https://www.iluoghidelsilenzio.it/wp-content/gallery/castelli-di-collicelli-e-busano-spoleto-pg/12-Torre-colombaia.jpg |
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Foto 9. Colombaia in località Smirra di Cagli (PG). Da http://www.provincia.pu.it/fileadmin/grpmnt/1056/Cagli11-54.pdf |
Castello,
tumba, abbazia, casa forte e torre, a partire dal periodo dell’incastellamento,
sono, in linea di massima, i modelli insediativi extraurbani del basso medio
evo: qual è il rapporto tra la colombaia e queste forme dell’abitare? La
casa-torre-colombaia descritta dal De Crescenzi, di certo, coesisteva con case
torri urbane o con torri difensive, ubicate dentro e fuori le mura, nelle quali
l’ultimo piano veniva utilizzato per l’allevamento dei colombi, ma anche con le
torri colombaie monofunzionali all’interno di insediamenti sparsi o di abbazie,
come quelle delle grange cistercensi, o in un vano alto di costruzioni
esistenti nei castelli, come nel caso di Montefiascone dove ne esisteva una
sopra l’aula della tesoreria[33],
o sulle case forti o nei ricetti.
Sulle torri difensive si può fare una considerazione semplice, basata sulla maggiore altezza di queste ultime rispetto alle colombaie nate come tali. Cosicché risulta abbastanza facile distinguere una torre nata con scopi difensivi o per l’avvistamento, successivamente adattata a colombaia, proprio per il maggiore sviluppo verso l’alto. Risulta difficile, invece, stabilire se alcune di quelle destinate alla difesa siano state dotate di vano per la colombaia già al momento della costruzione, come risulta da alcuni esempi che sono riuscito a reperire. Il primo è quello della torre in località Arezzo di Spoleto riportata da Henri Desplanques nel testo sulle case rurali in Umbria del 1955[34], dove appare evidente, secondo l’autore, “l’antica funzione difensiva” in quanto, aggiungo io, risultato di una trasformazione successiva al periodo di costruzione. Un altro esempio di adattamento, questa volta urbano, è quello della torre in via Fioravanti nel centro antico di Bracciano (foto 10) dove, ancora, è visibile la trasformazione (sopraelevazione) della parte alta per ottenere una colombaia. Esistono però alcuni esempi in cui il vano della colombaia potrebbe essere parte integrante dell’edificio già dal periodo della costruzione. È il caso, forse, della torre duecentesca di Montorso nel comune di Pavullo Nel Frignano (MO) (foto 11), dove la parte terminale, con la piccola finestra per l’ingresso dei colombi e la fascia sporgente che avvolge il perimetro quasi per metà, data l’evidente continuità della tessitura muraria potrebbe essere coeva al resto della struttura, o della torre medievale Bontempi al centro di Biennio (BS) della foto 12 dove la colombaia, per le stesse motivazioni, sembra proprio appartenere all’epoca in cui tutto l’edificio è stato realizzato. Esiste allora in origine, per le residenze extraurbane, un tipo definito di casa torre colombaia più alto rispetto a quello descritto dal De Crescenzi? Probabilmente si e qualora si riuscisse a dimostrarlo potrebbe essere verosimile che agli inizi venissero concepite con altezza notevole e comunque maggiore rispetto a quelle dei periodi successivi. Questa ipotesi può essere supportata da una considerazione che si basa sull’origine dello schema tipologico. In effetti le torri dei castelli erano molto alte ma anche quelle urbane tendevano ad avere un’altezza sempre maggiore per motivi difensivi, oltre che di prestigio delle famiglie. Sia nel caso che le torri extraurbane derivino da quelle all’interno della città o da quelle dei castelli è possibile che, agli inizi, venissero realizzate secondo questi schemi. Successivamente le torri rurali potrebbero essere state adattate a dimensioni più ridotte in altezza ma tali da garantire, comunque, una funzione difensiva ed essere allo stesso tempo motivo di attrazione per i colombi. Ma a cosa sarebbe servita un’eccessiva altezza in assenza di altri edifici, nelle vicinanze, con cui rivaleggiare e da cui difendersi, o in assenza di un castello da presidiare? A mio avviso la funzione difensiva delle torri colombaie, in base alle considerazioni sopra esposte ed alle fonti esaminate, quella del Latini e del De Crescenzi, si riduce a mezzo di autodifesa dei residenti, più che del territorio, un momentaneo riparo da eventuali ed improvvisi attacchi in zone lontane dai centri principali escludendo quindi, per queste strutture, qualsiasi funzione di carattere militare.
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Foto 10. Casa torre urbana con colombaia a Bracciano. Da https://q-xx.bstatic.com/xdata/images/hotel/max1024x768/23796242.jpg?k=5d7ace7265eb53d1b9740f75dc2d044ca915b22c2882f94496e4e34f0c6d325d&o= |
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Foto 11. Casa torre extraurbana con colombaia in località Montorso nel comune di Pavullo Nel Frignano (MO). Da http://www.comune.pavullo-nel-frignano.mo.it/ |
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Foto 12. Casa torre urbana con colombaia a Biennio (BS). Da http://www.bienno.info/media/Image/06_TorreBontempi.jpg |
Per
i castelli e le caseforti vale un discorso analogo a quello delle torri: le
colombaie esistenti nelle zone alte di queste costruzioni erano coeve alle
restanti parti dell’edificio o sono adattamenti successivi? La risposta è
facile soltanto nel caso in cui l’adattamento sia riconoscibile mediante
criteri stilistici che ne denunciano la realizzazione in tempi più moderni,
come nel caso del castello di San Giacomo a Spoleto[35]
(foto 13). Le due torri colombaie sulla facciata principale presentano, infatti,
fasce marcapiano e cornicioni con mensole classiche realizzati, evidentemente, in
epoca successiva. Diverso è il caso del castello di Torri a Gualdo Cattaneo
(PG) (foto 14), o della casaforte esistente in località Borgo di Campi a
Valfornace (MC) (foto 15) o, ancora, di quella a Menolzio (TO) (foto 16), dove
le colombaie sembrano appartenere, per omogeneità della tessitura muraria, all’impianto
originario delle costruzioni[36].
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Foto 13. Colombaie sulle torri del Castello di San Giacomo a Spoleto (PG). Da https://www.iluoghidelsilenzio.it/wp-content/gallery/castello-di-san-giacomo-spoleto-pg/51-Castello.jpg |
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Foto 14. Colombaia sul castello di Torri a Gualdo Cattaneo (PG). Da https://www.iluoghidelsilenzio.it/wp-content/gallery/castello-di-torri-gualdo-cattaneo-3/castello-di-torri-gualdo-cattaneo-11.jpg |
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Foto 15. Colombaia su casaforte in località Borgo di Campi a Valfornace (MC). Da http://www.luoghidelsilenzio.it/marche/07_castelli/03_macerata/00026/images/borgo%20di%20campi%2019.jpg |
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Foto 16. Colombaia su casaforte a Menolzio (TO). Da http://www.provincia.torino.gov.it/territorio/strat_strumenti/beni_culturali/vsusa/milit/comuni/immagini/mattie/mattie_02.jpg |
Una
risposta definitiva a questi interrogativi potrà venire soltanto da studi
approfonditi sui singoli manufatti, sia di tipo archivistico che con altri
metodi scientifici di datazione ma, soprattutto, attraverso uno studio
improntato sull’analisi comparativa della tipologia edilizia. L’unica
conclusione che si può trarre infine, dalle considerazioni sopra esposte, è che
l’utilizzo della colombaia, a partire dal periodo successivo ai secc. XI e XII,
essendo molto diffuso e realizzato praticamente in ogni contesto, appare come
un qualcosa che si riteneva indispensabile, probabilmente, per la disponibilità
di carne fresca e soprattutto per la produzione in quantità sufficiente di concime,
peraltro ottimo, difficilmente realizzabile in altro modo.
IV. I Geografi e gli Storici.
Va ricordato, in merito al tema delle origini
della torre colombaia, un interessante intervento di Lucio Gambi che diversi
anni dopo, nel 1977[45],
riprende alcuni dei temi anticipati da Desplanques e prova a fornire alcune
risposte agli interrogativi sopra esposti. Parlando delle dimore a torre, o dal
cui corpo emerge una torre, diffuse nelle zone dell’Emilia, ripropone l’ipotesi
del Mori per cui, Quando fra i secoli
XIII e XV si ebbe – pure con oscillazioni dovute a fasi di depressione
economica e di indebolimento demografico – un vigoroso fenomeno di occupazione
degli spazi rurali, mediante un insediamento a nuclei sparsi, l’edifizio
torreggiante fu (dopo i primi aleatori ricoveri in materiale vegetale)
l’elemento stabile d’avanguardia di tale conquista e diaspora, e
sottolineandone la funzione anche difensiva, in quanto la forma verticale va intesa non solo come configurazione che meglio
s’attaglia ad un ambiente insicuro e non scevro di insidie qual è abitualmente una
fascia pioniera, nota un legame
originale con la strutturazione degli abitati medioevali, e cioè i borghi
circondati da mura o da palificazioni, ove gli agricoltori vivevano annucleati
in dimore di pietra (con intercalazioni di laterizi in prossimità della
pianura) o impalcate su pareti di tronchi o assi di legno.
Si è cercato di descrivere, per sommi capi, il contributo dei geografi al tema qui trattato. Volendo stilare un primo bilancio sull’effettivo apporto di questi studiosi, va subito rilevato come esso sia fondamentale. Innanzitutto perché sono i primi ad interessarsi al tema delle torri colombaie, sia pur all’interno di un più ampio discorso sulla casa rurale, e poi per la puntuale focalizzazione di alcuni interrogativi fondamentali, ai quali però non viene data una risposta definitiva, quelli sull’origine e la reale funzione delle torri sparse oltre a quello di considerarle la prima forma di insediamento stabile nelle campagne durante il basso medioevo.
Il tema dell’insediamento sparso medievale verrà
ripreso, a partire dalla fine degli anni ’70 dello scorso secolo, quando gli
storici medievisti iniziarono ad interessarsi del problema. Il primo apporto a
questo nuovo filone di ricerca avviene nel 1978 ad opera di Rinaldo Comba ed è
relativo ai modelli mentali che ispirarono la diffusione di dimore fortificate
nelle campagne[46]
Nel 1979, gli interventi di A. A. Settia e R.
Comba, al Convegno di Cuneo Per una
storia delle dimore rurali, pongono nuove basi al dibattito. Nel suo
intervento Settia focalizzò il tema delle torri e caseforti rurali[47]
Comba invece, rispetto agli studi sulla dimora rurale, lamenta che “sino ad
anni recenti il pressoché assoluto disinteresse degli storici e la conseguente
inesistenza di una tradizione antiquario-erudita in grado di fornire materiali
almeno parzialmente rielaborati per una discussione, in chiavi interpretative
aggiornate, di questo importante tema della storia della cultura materiale. Un
disinteresse che non è stato affatto supplito dalle ricerche intraprese da
geografi, etnologi e talvolta da architetti”[48].
Nel 1981 A. A. Settia pubblica L’esportazione
di un modello urbano: torri e case forti nelle campagne del nord Italia[49],
dove sostiene l’origine nel modello urbano delle torri sparse nella campagna
inteso sia in termini architettonici che sociali[50],
mentre nel 1983 si ha un ulteriore intervento di R. Comba, La dispersione
dell’habitat nell’Italia centro-settentrionale tra XII e XV secolo. Vent’anni
di ricerche[51].
Qui l’autore sostiene, a differenza di Settia, un modello funzionale, diffuso
nel mondo signorile, di organizzazione dello spazio[52].
Le caseforti disperse nelle campagne dell’Italia centro-settentrionale non
imitarono tanto le torri quanto i castelli, che avevano dimostrato nei secoli
precedenti la loro capacità di rimodellare giuridicamente il territorio
circostante[53].
Questo, in estrema sintesi, l’apporto degli storici, relativamente ai primi anni ’80, sul tema dell’insediamento sparso rurale in età medievale. Si tratta di testi basilari, che hanno influenzato in materia determinante tutti gli sviluppi successivi in materia e che, ovviamente, riguardano anche il tema delle colombaie nonostante queste ultime non vengono prese in considerazione, almeno in maniera diretta, in questi studi. Ma, l’abbiamo visto, esiste un rapporto molto stretto tra torri, caseforti e colombaie nel senso che molte di queste costruzioni, come anche i castelli, presentano strutture per l’allevamento dei colombi all’ultimo piano e tali testi risultano, pertanto, di importanza fondamentale per l’argomento trattato in questa sede.
Esiste poi un altro filone di studi, sempre della
prima metà degli anni 80, dovuto alla “scuola marchigiana” di Sergio Anselmi e
Renzo Paci per la storia dell’agricoltura ed in particolare della mezzadria[54],
che a partire dal 1981 cominciò ad occuparsi della casa rurale nelle Marche con un primo
seminario tenutosi a Ripatransone nel 1981[55].
In questo ambito vennero prodotti alcuni studi specifici sulle colombaie[56]
fra i quali la monografia di Gianni Volpe che, pur riferita ad un ambito
regionale ben definito, rappresenta il primo studio in assoluto che focalizza
ed affronta alcuni dei nodi legati al tema delle torri colombaie, definendone
le funzioni ed i caratteri tipologici e formali. Lo studioso infatti dopo aver
fatto notare che se la classificazione e
lo studio della dimora mezzadrile in genere sono temi già ampiamente analizzati
e descritti in questi ultimi anni da molti studiosi, quella che invece è stata
scarsamente indagata è la sequenza architettonica torre, casa – torre,
colombaia, casa con colombaia, una
sequenza che necessita di indagini per quasi un millennio[57],
giunge, fra le altre, alla conclusione che l’antica tipologia perde pian piano la sua originale funzione di «difesa»
del fondo e si ritrova ad assumere un ruolo non secondario nell’economia
agricola di questo periodo: quello di locale adatto alla diffusione
dell’allevamento domestico dei colombi[58].
Da sottolineare, infine, la definizione tipologica della torre colombaia che lo
stesso autore descrive come una costruzione
solitamente organizzata su tre piani, raramente quattro, con un solo vano per
piano: il primo, a piano terra, è destinato a ricovero degli attrezzi o del
bestiame, il secondo a residenza, l’ultimo a magazzino o colombaia[59].
L’ultimo contributo, in ordine di tempo, al nostro tema è costituito dal convegno tenutosi a Cherasco nel 2005 del quale si segnalano, inter alia, gli interventi di Andrea Longhi sulle Torri e caseforti nelle campagne del Piemonte occidentale[60], Enrico Lusso sulle torri e colombaie nel Monferrato dei secoli XV-XVI[61], Paolo Grillo sulle torri e aziende rurali fortificate nell’area milanese e comasca nei secoli XII-XIII[62] e quello, infine, di Sandro Tiberini sulle colombaie e torri nelle campagne umbre [63].
[1] Questo piccolo studio sul tema dell’architettura rurale è il frutto di una ricerca, mai pubblicata e da me effettuata alcuni anni or sono, in occasione del restauro di un edificio cinquecentesco con torre colombaia in provincia di Macerata. È stata poi integrata, di recente, con ulteriori ricerche in rete e non solo.
[2] Questa definizione si deve a Gianni Volpe, nella prima monografia mai realizzata sul tema, Case, Torri, Colombaie: itinerari attraverso l’architettura rurale delle Marche. Ripatransone, 1984.
[3] Il termine tipologia edilizia, tra le tante definizioni esistenti, viene qui utilizzato nel senso che segue. È lo studio e la classificazione per tipi degli edifici, dove per tipo si intende “uno schema formale ripetibile o rilevabile in più opere formalmente simili” (M. Rebecchini, Il fondamento tipologico del’architettura. Teoria e significato del tipo. Roma 1978) ed anche “un oggetto, secondo il quale ognuno può concepire delle opere, che non si rassomiglieranno punto fra loro” (Quatremère de Quincy, Dizionario Storico di architettura. Parigi, 1833). “Il tipo è dunque costante e si presenta con caratteri di necessità e di universalità: ma sia pure determinati questi caratteri reagiscono dialetticamente con la tecnica, con le funzioni,con lo stile, con il carattere collettivo e il momento individuale del fatto architettonico” (A. Rossi, L’architettura della città. Milano, 1978. P. 33). Pertanto l’individuare la casa-torre-colombaia come “tipologia edilizia” significa, a mio avviso, ricondurla ad uno degli schemi ben precisi qui descritti.
[4] Si veda, al riguardo, A. A.. Settia, Tra Azienda Agricola e Fortezza: Case Forti,
«Motte» e «Tombe» nell’Italia
Settentrionale, in “Archeologia
Medievale” VII, Borgo San Lorenzo, 1980.
[5] Marco Terenzio Varrone, Dell'Agricoltura Libri Tre. Libro III, cap. VII. Milano 1851.
[6] È da escludere, a mio avviso, una cupola a pennacchi su pianta quadrata in quanto costituisce un sistema troppo raffinato per essere utilizzato in un edificio destinato all’esclusivo allevamento dei colombi.
[7] Ora dirò de rusticali edifici , come possono esser commodi all’uso, e con che ragioni si deono ſare . Prima si deve guardare alla salubrità dello aere, come s’è detto nel primo libro di porre le Città . Le grandezze loro secondo la misura delle possessioni , e le copie de i frutti sieno comparate; - I cortili, e le grandezze loro al numero delle pecore, e così quanti parà di buoi sarà necessario che vi stiano bisognerà determinare. Nel cortile la cucina in luogo caldissimo sia posa, e habbia congiunte le stalle de i buoi, le presepi de i quali riguardino verso il fuoco, e l’Oriente, … Le larghezze de i bovili non deono esser meno di piedi dieci , nè piu di quindici. La lunghezza in modo, che ciascuno par di buoi non occupi più di sette piedi. I lavatoi siano congiunti alla cucina, perché a questo modo non sarà lontana la amministratione della rustica lavatione . ll Torchio dell’oglio sia prossimo alla cucina , perché così a frutti oleari sarà commodo., Et habbia congiunta la cantina, i lumi della quale si torranno dal Settentrione, percioché havendogli da altra parte, dove il Sole possa scaldare, il vino, che vi sarà dentro, confuso , et mescolato dal calore si farà debile, e men gagliardo. I luoghi dell‘oglio si deono porre in modo, che habbiano il lume dal mezodì , e dalle parti calde, percioché l’oglio non si deve aggiacciare: ma perla tepidità del calore assottigliarsi. Le grandezze di que luoghi deono esser fatte secondo la ragione dei frutti … Gli ovili e le stalle per le capre si deono fare così grandi, che ciascuna pecora non meno di quattro piedi e mezo, non più di sei possa occupare di lunghezza. Granai alzati al Settentrione, e all’Aquilone: perché a queso modo i grani non potranno così presto riscaldarsi. … Le stalle de cavalli si porranno in luoghi caldissimi, pur che non guardino al foco, perché quando i giumenti sono appresso al foco, si fanno horridi. … I Granari, i Fenili, i luoghi da riporre i farri, i pistrini; si deono ſare oltra la casa di villa, accioché le case siano piu sicure dal foco. Ma se nelle ſabriche di villa si vorrà fare alcuna cosa più delicata, dalle misure delle case della Città ſopra scritte si fabricherà in modo, che senza impedimento della utilità rusticale sia edificata . Bisogna haver cura, che tutti gli edifici siano luminosi. A quelli di villa, perché non hanno pareti dei vicini, che gli impedisca facilmente si provede. Marco Vitruvio Pollione, I Dieci Libri dell’Architettura. Venezia, 1567. Libro VI, cap. IX.
[8] Eugène Emmanuel Viollet-le-Duc, Dictionnaire raisonné de l’architecture française du XI au XVI siècle. Tomo 3. Parigi, 1875.
[9] Dunque, la dimora in cui si devono crescere i piccoli falchi sia in aperta campagna, lontana da zone alberate o da boschi, in una torre o sulla parte alta di una casa isolata, essi, infatti, erano allevati dai genitori in luoghi elevati, lontani dai boschi. I falchi per natura prediligono l’aperta campagna senza molti alberi, e cacciano in questi ambienti. Pertanto, se venissero allevati in mezzo ai boschi o fra gli alberi, una volta cresciuti, quando, però non sono ancora robusti, volerebbero qua e là lontani dalla loro dimora per andare in aperta campagna, in quanto per natura amano quelle zone. De arte venanti cum avibus, Libro II, cap. XXXIII. Augusta, 1596.
[10] Lucio Giunio Moderato Columella, De Re Rustica. Libro VIII, cap. VIII. Venezia 1846.
[11] Tauro Emiliano Rutilio Palladio, De Re Rustica. Libro I, tit. 24. Parigi, 1543.
[12] Idem, De Re Rustica. Libro I, cap. 24. Venezia, 1528.
[13] Cassiano Basso, Geoponica. Libro XIV, cap. VI. Lione, 1541.
[14] Idem, Geoponica. Libro XIV, cap. VI. Venezia, 1549.
[15] Columella, cit. Libro II, cap. XV.
[16] Cassiano Basso, cit. Libro II, cap. XIX.
[17] Columella, cit. Libro VIII, cap. VIII.
[18] E. Sereni, Storia del Paesaggio Agrario Italiano. Bari, 1986. Pp. 78-79.
[19] L. Chiappa Mauri, Popolazione,
popolamento, sistemi colturali, spazi coltivati, aree boschive ed incolte,
in Storia dell’agricoltura italiana. Il
medioevo e l’età moderna, a cura di G. Pinto, C. Poni, U. Tucci. Firenze
2001-2002, pp. 28.
[20] Idem, cit., pp. 30.
[21] Relativamente al fenomeno dell’incastellamento riporto, tra i tanti, alcuni testi fondamentali. P. Toubert, Dalla terra ai castelli. Paesaggio, agricoltura e poteri nell’Italia medievale, Torino, Einaudi, 1997. Aldo A. Settia, Castelli e villaggi dell'Italia padana, Napoli, 1984. Per un inquadramento storiografico del fenomeno si rimanda a R. Francovich, L’incastellamento e prima dell’incastellamento nell’Italia centrale, in Acculturazione e mutamenti. Prospettive nell’archeologia medievale del Mediterraneo, a cura di R. Francovich, E. Boldrini, Firenze, 1995.
[22] E. Sereni, cit., pp. 110, 111. L. Chiappa Mauri, cit., p. 38.
[23] Brunetto Latini, Il Tesoro volgarizzato da Bono Giamboni. Venezia, 1839.
[24] Cfr. supra, n. 6.
[25] Marco Terenzio Varrone, Dell'Agricoltura …, cit. Lucio Giunio Moderato Columella, De Re Rustica, cit., Libro I, cap. VI.
[26]
Il termine piniere
è di difficile interpretazione. Una nota al testo del Tesoro nell’edizione del
1839 recita: Piniera è citato dalla
Crusca con quest'unico esempio, e spiegato, in modo per altro dubitativo, per
galleria.
[27] Per questo tipo di struttura rurale medievale rimando a A. A.. Settia, Tra Azienda Agricola …, cit.
[28] Pietro De’ Crescenzi, Trattato della Agricoltura. Bologna, 1784.
[29] Pietro De’ Crescenzi, cit. L. IX, Cap. LXXXIX.
[30] Tra le rare notizie o i pochi documenti che
forniscono dati certi prima degli inizi del XIV sec. si possono citare i
seguenti. Per le torri urbane: «È noto un contratto del 1220 con cui i membri
del consortile chierese dei Balbo, all’atto di costruire la propria torre
urbana, si dividevano non solo le quote di proprietà, ma anche il numero di
passeroti e colomboti che vi potevano allevare». E Lusso, Torri e colombaie nel Monferrato dei secoli XV-XVI. Il contributo delle
fonti iconografiche e documentarie alla conoscenza della diffusione dei modelli
architettonici. Per le torri extraurbane: «Stando a una notizia riportata
da Galvano Fiamma, nel 1266 Napoleone della Torre, anziano della Credenza di
Sant’Ambrogio e signore di fatto di Milano, ordinò la demolizione di tutte le
colombaie situate nei dintorni della citta, in quanto possibili rifugi per
malviventi o, piu probabilmente, oppositori politici, indicandole biblicamente
come speluncae latronum». P. Grillo, Fra
poteri pubblici e iniziative private: torri e aziende rurali fortificate
nell’area milanese e comasca (secoli XII-XIII). Entrambi in Motte, torri e caseforti nelle campagne
medievali (secoli XII-XV). Omaggio ad Aldo A. Settia. Atti del Convegno
svoltosi a Cherasco presso la sede del CISIM il 23-25 settembre 2005, a cura
di Rinaldo Comba, Francesco Panero, Giuliano Pinto. Cherasco 2007, p. 109.
[31] G. Volpe, Case, Torri, Colombaie …, cit.
[32] «Dopo un breve tratto in un viottolo di campagna … vedrete comparire la sommità bucherellata di questo meraviglioso oggetto, detto il Palazzo, che oggi si presenta affiancato da una casa colonica che per niente ne diminuisce il fascino. Girategli intorno ed ammirate la lavorazione della pietra, i fori, le finestrelle in pietra, la feritoia e la finestra sestiacuta in pietra e mattoni». Idem, Case, Torri, Colombaie …, cit.
[33] All’interno della rocca gli alloggi privati dei funzionari e i locali per lo svolgimento delle loro attività trovavano posto in un palatium che ospitava: una camera dove lavorava il notaio di curia, comunicante con l’adiacente aula della tesoreria aperta al pubblico tramite una finestra-sportello; la camera del tesoriere, dove erano conservati libri contabili e forzieri; la sala delle udienze; le camere dei giudici; quella delle scritture dei notai; la cappella ed infine la cucina del rettore. al piano inferiore del palatium erano situati i locali di servizio: la stalla del rettore, accanto alla quale si trovava il carcere; la cantina, con un solaio destinato alla conservazione di grano e orzo; la dispensa; la cisterna per l’approvvigionamento idrico. Sopra l’aula della tesoreria era una colombaia, di fronte al palazzo un ampio cortile. A. Lanconelli, Le «expense pro reparationibus rocche Montisflasconis» (1348-1359). Nota sull’attività edilizia nel Patrimonio di S. Pietro in Tuscia, in Le chiavi della memoria. Miscellanea in occasione del I Centenario della Scuola Vaticana di Paleografia, Diplomatica e Archivistica, Città del vaticano 1984.
[34] F. Bonasera, H. Desplanques, M. Fondi, A. Poeta, La casa rurale nell'Umbria, Firenze, 1955. Mi riferisco alla foto e della tavola XVII, la cui didascalia è la seguente: Spoleto, Arezzo. Aggregato di otto case (mezzadri e coltivatori diretti): evidente l’antica funzione difensiva della torre.
[35] Che il Desplanques aveva inserito nella sua pubblicazione del 1955.
[36] «Va osservato come le colombaie
non si trovavano solo sulla sommita delle torri, ma anche di altri edifici,
come, in questo caso, un torchio. Sempre intorno a Pavia, a Vialone, nel 1379,
Martino Foranius prometteva a
Castellino Beccaria di realizzare una fornace la quale doveva essere dotata di
una colombaia. Nel documento vengono anche specificate le dimensioni del
manufatto, esso avrebbe dovuto essere lungo 12 braccia (7,44 m.), largo 10
(6,29 m.) e alto 8 braccia da terra al solaio, e cinque dal solaio al tetto,
quindi non superava gli 8,16 m. di elevazione dal piano di calpestio. Si
trattava di una struttura abbastanza tozza e poco slanciata, diversa
dall’immagine canonica che abbiamo della torre-colombaia». F. Romanoni, Sicurezza e prestigio. Torri «familiari» nella campagna pavese (secoli
XIII-XV), in Motte, torri e
casseforti, cit., p. 162.
[37] In realtà questo volume, che raccoglie i risultati della ricerca, venne pubblicato prima della fine della collana che vide successivamente l’uscita del testo dedicato alla Sicilia orientale, nel 1973, e molti anni dopo quello sulla Calabria nel 1987.
[38] Una descrizione abbastanza esauriente dell’impostazione data dal Biasutti a questa collana e che mette in evidenza una certo limitante e controverso uso del concetto di tipo edilizio è contenuta in C. Greppi, La casa dei contadini, in L'uomo e la terra, campagne e paesaggi toscani, Archivio Fotografico Toscana, a cura di Sauro Lusini. Prato, 1996.
[39] Il cui studio può dirsi iniziato solo nel 1954, quando Muratori iniziò i suoi corsi a Venezia e, più tardi, quando produsse la fondamentale opera Studi per una operante storia urbana di Venezia. G. Caniggia, G. L. Maffei, Composizione architettonica e tipologia edilizia. Venezia 1979.
[40] G. Pagano, G. Daniel, Architetura Rurale Italiana. Quaderni della Triennale. Milano, 1936.
[41] Importanza e diffusione molto maggiori che in altre parti dell’Italia centrale (o forse soltanto maggiore durata?) ebbe invece un altro elemento edilizio particolare, che è tuttavia un’altra manifestazione della impronta padronale sulla casa del mezzadro: la torre colombaria. Il Desplanques vi ha dedicato opportunamente speciale attenzione e ne offre qui un’ampia illustrazione, additandone le tradizioni antiche e moderne e i benefici economici come fonte alimentare e di materia fertilizzante, prima che nuove esigenze e orientamenti dell’agricoltura ne imponessero l’abbandono. Benefici che spiegano molto bene come, anche nella Toscana, la maggiore diffusione delle colombaie … coincida con i territori di più progredita agricoltura e sempre nell’ambito della mezzadria… Costruzioni analoghe, vale a dire case rurali provviste di una sovraimposta torre colombaria, esistono anche nelle Marche e nell’Umbria. Ma le «palombare» umbro-marchigiane hanno più spesso un’altra struttura: si elevano con mura molto più grosse delle usuali direttamente dal suolo e, in molti casi, risultano anteriori alle costruzioni propriamente rurali che vi sono, nei modi più vari, addossate. La prima origine di tali torri è, quindi, tutt’altro che chiara. Alberto Mori, descrivendo il tipo di dimora «a torre» esistente nella provincia di Pesaro, che egli dice espressamente richiamare le «torrette tanto frequenti nelle dimore rurali spoletine», mostra di ritenere che esso rappresenti la fase più antica dell’insediamento rurale sparso nella campagna, formato in tal caso da una unica torre isolata, con caratteri difensivi. Considerando però l’estrema inadeguatezza di una siffatta dimora, la spiegazione non ci convince. Il dott. Poeta, trattando delle palombare delle Marche meridionali, ha espresso invece la persuasione che il primitivo uso delle dette torri fosse esclusivamente venatorio … Devo aggiungere che un’eguale opinione mi ero fatta io stesso con l’esame del gruppo di palombare di Montefortino e dei loro caratteri costruttivi ed esornativi. Un’origine agricola di quelle torri, isolate a mezza montagna, è assolutamente da escludere: si deve anche tener conto che al tempo della costruzione di molte palombare il bosco doveva essere molto più esteso che non oggidì. La questione, tuttavia, è da considerare ancora aperta e merita di essere approfondita con nuove ricerche storiche. La casa rurale nell'Umbria, cit. Prefazione di R. Biasutti, pp. VIII-IX.
[42] A. Mori, La casa rurale nelle Marche settentrionali. Firenze, 1946. Pp. 22-23, 66.
[43] La casa rurale nell'Umbria, cit., pp. 110-118.
[44] L’ipotesi di Athos Poeta non era, però, del tutto priva di fondamento, come si è visto nel caso delle falconiere di Federico II o come avveniva nei roccoli che erano dotati di una torre.
[45] L. Gambi, La casa dei contadini, in Strutture rurali e vita contadina, Cultura popolare dell’Emilia-Romagna, Milano, 1977, pp. 161-189. Lo scritto è stato ripubblicato In La cognizione del paesaggio. Scritti di Lucio Gambi sull’Emilia Romagna e dintorni, a cura di Maria Pia Guermandi e Giuseppina Tonet. Bologna, 2008.
[46] R. Comba, Rappresentazioni mentali, realtà e aspetti di cultura materiale nella storia delle dimore rurali: le campagne del Piemonte sud-occidentale fra XII e XVI secolo, in ≪Archeologia medievale≫, V (1978), pp. 375-414.
[47] A. A.. Settia, Tra Azienda Agricola …, cit.
[48] R. Comba, Cultura materiale e storia sociale nello studio delle dimore rurali, in ≪Archeologia medievale≫, VII (1980), pp. 9-20.
[49]
In Societa
e storia, fasc. 12 (1981), pp. 273-297 (ora anche in Id., ≪Erme torri». Simboli
di potere fra città e campagna, Cuneo-Vercelli
2007).
[50] R. Comba, Le frontiere della ricerca: qualche riflessione, in Motte, torri e casseforti, cit., pp. 13-14.
[51] In ≪Studi storici≫, a. XXV (1984), pp. 765-783.
[52] Un problema aperto: quale modello (o quali modelli)?
Il problema su cui, relativamente alle dimore fortificate, la discussione è
tuttora più che mai aperta è forse quello del modello. Per i geografi esso
tende a confondersi con quello di tutte le strutture edili degli insediamenti
sparsi, con particolare attenzione, è vero, per gli “edifici con sagome a
torre”. In questi edifici essi sottolineano l’influenza urbana o almeno
identificano “forme già in uso negli insediamenti urbani minori – e in special
modo nei borghi murati – che fino al medioevo accoglievano per la maggior parte
i coltivatori della terra”. Per i medievisti le cose stanno diversamente.
Recentemente, rovesciando una tradizione storiografica secolare per la quale le
torri cittadine sarebbero state un’imitazione, se non proprio delle casseforti
rurali, almeno dei “castelli del contado, A. A. Settia ha ritenuto di poter
dimostrare che il “modello edilizio e sociale della torre privata”, nato in
città, fu “esportato nelle campagne ad opera degli stessi membri
dell’aristocrazia urbana conseguendo ben presto una più vasta diffusione
(Settia 1981). Da parte nostra abbiamo creduto di poter identificare nelle
grange monastiche e nelle dimore fortificate di una regione (il Piemonte sud-occidentale),
che abbiamo scelto come zona-campione di un’approfondita indagine
sull’insediamento medievale, i modelli di azienda rurale che, grazie anche alla
loro funzione simbolica e di prestigio, guidarono in aperta campagna la
ristrutturazione dell’habitat fra XII
e XVI secolo sollecitando una forte dispersione dell’insediamento accompagnata,
come di consueto, dallo sviluppo di processi di appoderamento che interessarono
aziende via via minori e ceti sociali sempre più umili. Ma quale fu il modello
a cui a loro volta si ispirarono quei domini
che per primi eressero nella regione una torre o una bastita? Un modello urbano? Ci si deve domandare, a questo punto,
se il modello di una casaforte o di una torre debba essere ricercato
esclusivamente in certe analogie di forme e di strutture edili, e quindi nella
presenza in città e nelle campagne delle stesse tipologie, oppure se il
concetto di modello investa piuttosto i modi di concepire l’insediamento,
l’organizzazione dello spazio e i rapporti di forza che lo dominano. R. Comba, Cultura
materiale …, cit.
[53] Idem, Le frontiere della ricerca: qualche riflessione, in Motte, torri e casseforti, cit., pp. 13-14.
[54] Questa definizione si deve ad Augusta Palombarini, Le palombare nelle Marche in età moderna. In A. Vernelli et al., Le Marche tra medioevo e contemporaneità. Studi in memoria di Renzo Paci. Quaderni del Consiglio Regionale delle Marche. N. 1 (2016), p. 113.
[55] La casa rurale nelle Marche: ricerche
empiriche e indicazioni metodologiche, i cui atti sono nella rivista Proposte e ricerche, 7
(1981).
[56] Tra i molti studi pubblicati possiamo ricordare, A. Quaglino Palmucci, Il rapporto tra ambiente urbano e rurale nella lettura del tipo edilizio a «palombara». L’esempio Recanatese. In Atti e Memorie della Deputazione di Storia Patria per Le Marche, s. VIII – v. X (1976), pp. 335-348. M. Moroni, Case e palombare nel territorio recanatese del 1530, in Proposte e Ricerche, 5 (1980), pp. 36-55. Idem, Le palombare ei beni fondiari della Santa Casa di Loreto, in Proposte e Ricerche, 7 (1981), pp. 49-64. G. Volpe, Tipologia della casa-torre-colombaia nelle Marche settentrionali: alcune considerazioni, in Proposte e Ricerche, 7 (1981), pp. 40-47. A. Palombarini, Per una ricostruzione del paesaggio agrario maceratese dai catasti della seconda metà del cinquecento, in Proposte e Ricerche, 8 (1982), pp. 93-99. G. Volpe, Ancora sulle colombaie. Confronto tra esempi marchigiani e quelli del su-ovest della Francia, ivi pp. 179-181. O. Gobbi, Tipologie insediative nel Piceno centrale: palombare, casalini e cassine a Montalto nel XVI secolo, in Proposte e Ricerche, 18 (1987), pp. 77-82.
[57] G. Volpe, Case – Torri – Colombaie, cit., p. 26.
[58] Ivi, p. 47.
[59] Ivi, p. 64.
[60] A. Longhi, Torri
e caseforti nelle campagne del Piemonte occidentale: metodi di indagine e
problemi aperti nello studio delle architetture fortificate medievali, in Motte, torri e casseforti, cit., pp. 51-85.
[61] E. Lusso, Torri
e colombaie …, ivi pp.87-123. Inoltre cfr. supra n. 30, infra n. 135.
[62] P. Grillo, Fra
poteri pubblici …, ivi pp. 167-183.
[63] S. Tiberini, Colombaie e torri nelle campagne umbre: dagli studi di Desplanques alle
ricerche più recenti, ivi pp. 279-294.
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