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LA CERAMICA DI POLLENZA. Parte sesta.

 

La crisi di metà Ottocento. La decorazione in blu e in verde.

 

            Il secondo quarto del secolo è segnato dal netto passaggio ad una nuova generazione di maiolicari. Scomparvero infatti, in poco meno di un decennio, tutti quegli uomini che alcuni anni prima avevano saputo creare, con il loro ingegno, un'industria stabile e fiorente, fonte di guadagni e di benessere per il piccolo centro della Marca.

            Antonio Venanzoli morì nel 1838 e il fratello Lorenzo l'anno seguente. A questi successero nella direzione della fabbrica due dei sette figli di Antonio, Ignazio e Niccola. Felice Rosati morì nel 1840 lasciando in eredità la fabbrica ai suoi tre figli maschi Gaetano, Generoso e Giuseppe. Lo stesso anno veniva a mancare Giuseppe Ranieri mentre il fratello Francesco morì, qualche anno dopo, nel 1846. La loro fabbrica passò ai tre nipoti ex sorore, Giambattista, Felice e Niccola, figli della sorella Rosa e del pittore Pietro Bianchedi.

            Intanto nei paesi limitrofi, sulla scia del successo conseguito dalle fabbriche montemilonesi, alcuni ceramisti si orientarono ben presto verso una produzione simile alla nostra. Così a Fabriano dove, nel 1834, Antonio Ronca aprì una fabbrica di stoviglie di maiolica ad imitazione di quelle di Monte Milone[1] o, anche, a San Severino dove nel 1837 il maceratese Stefano Ambrosetti impiantò un'altra fabbrica di maioliche sul genere di quelle di Monte Milone[2]. Ciò contribuì ad instaurare un certo regime di concorrenza che in un primo momento non sembrò influire più di tanto sull'andamento economico degli opifici montemilonesi se ancora, nel 1836, erano vivi i rapporti commerciali degli anni precedenti, soprattutto quelli che avvenivano tramite il porto di Ancona.

            Questa circostanza è testimoniata da una lettera inviata dal Priore di M. Milone al Delegato Apostolico di Macerata, in occasione dell'epidemia di colera[3] scoppiata in quell'anno nella città portuale, quando un cordone sanitario disposto dalle autorità pontificie isolava il territorio anconitano dal resto della regione. Quanto emerge dal documento è ovviamente la preoccupazione che il momentaneo blocco delle vie di comunicazione potesse impedire il trasporto delle maioliche verso Ancona ma, soprattutto, veniva lamentata l'impossibilità per le fabbriche di rifornirsi di piombo e stagno, due elementi indispensabili per la realizzazione dei colori, il cui protrarsi avrebbe comportato la chiusura degli opifici stessi:

            L'interdetto comercio colla città di Ancona, e colle altre Città, e paesi, tanto della nostra Provincia che delle limitrofe, è in procinto di arrecarci danni gravissimi.

            La massima parte della Classe operaria di questo Paese trae la sussistenza dalle quattro fabbriche di Majoliche qui esistenti; mancando i piombi, ed i stagni che prendevano in Ancona per comporre le vernici; mancando le comunicazioni per asportar fuori e vendere le Majoliche dopo fatte, le fabbriche fra pochi giorni andranno a chiudersi, e nel momento una quantità di Famiglie resteranno senza pane.[4]

            Nel periodo seguente la situazione delle vaserie rimase abbastanza stabile, tanto che dalla statistica delle fabbriche del 1848[5] non emergono mutamenti significativi rispetto al decennio precedente. Sono ancora attivi infatti a quella data gli opifici di Ignazio Venanzoli, dei fratelli Bianchedi, di Serafino Verdinelli e dei fratelli Rosati[6]. Lo stesso documento contiene anche una importante descrizione delle tecniche adottate per la realizzazione delle maioliche, dei materiali utilizzati nonché il calcolo analitico dei costi di esercizio e dei ricavi delle quattro vaserie nel corso di un anno[7].

            Stando ai dati desumibili da un ruolo dei contribuenti per la tassa di esercizio delle arti[8] la situazione economica mutò consistentemente soltanto due anni dopo, quando il capitale di ogni fabbrica, del quale però le modalità di calcolo non vengono specificate, risultava all'incirca dieci volte inferiore, ovvero oscillante tra i 100 e i 150 scudi, rispetto a quello riportato nella statistica del 1848. Anche il numero degli occupati, complessivamente 13 per i quattro opifici esistenti, appare ridotto di molto. Fra i nomi dei direttori o proprietari delle fabbriche, inoltre, non compare più quello dei fratelli Rosati che avevano momentaneamente sospeso la loro attività di maiolicari lasciando la loro vaseria sotto la direzione di Niccola Benedetti.

            Questi dati, della cui attendibilità è lecito dubitare poiché il divario con quelli del 1848 appare realmente troppo accentuato, costituiscono tuttavia la testimonianza di un momentaneo rallentamento nel commercio, prima avvisaglia di un processo di regressione economica per l'attività delle vaserie, che, fatta eccezione per un breve periodo di ripresa intorno agli anni dal 1852 al 1856, si protrarrà fino al 1860 ed oltre.

            Una delle conseguenze di questa crisi fu senza dubbio il riflesso negativo sulla produzione. Lo dimostrano alcune dichiarazioni, allegate al Ruolo, nelle quali gli stessi maiolicari asserivano di fabbricare soltanto maioliche ordinarie o vasi di mezza maiolica. Queste testimonianze sono indicative di una tendenza generale, quella di indirizzarsi verso un mercato più vasto, con oggetti di uso comune, mediante procedimenti di fabbricazione più semplici che consentivano un maggiore contenimento dei costi. Il passaggio avvenne però gradualmente, a partire dagli anni intorno al 1840 con l'abbandono della decorazione a smalto, per compiersi nella sua interezza verso la metà del secolo quando i maiolicari montemilonesi si orientarono definitivamente verso un repertorio più semplice e qualitativamente inferiore, se paragonato a quello del primo quarto di secolo. Negli anni che precedono il 1850, periodo di transizione verso uno stile quasi completamente rinnovato, è possibile individuare due fasi distinte. La prima è caratterizzata da una oramai stanca sopravvivenza di motivi tradizionali nei decori, come quelli fitomorfici della rosa e i fiori sparsi, o nelle forme, derivanti spesso da stampi di fine settecento o dei primi anni dell'ottocento ai quali era stata apportata qualche leggera modifica. La seconda vide pian piano scomparire questi motivi ai quali si sostituirono decorazioni più semplici, spesso essenziali, non prive di una certa raffinatezza ma lontane, oramai, dalle pregevoli realizzazioni di qualche decennio precedente.

            Un'esemplificazione di quanto sopra esposto, relativamente alla prima fase, si ha nei due pezzi rappresentati nelle foto 1 e 2. Il vassoietto è decorato con i tipici filetti in blu e la rosa centrale, ancora in monocromia blu, che era uno dei motivi più diffusi, all'epoca, nelle 4 fabbriche. Quest'ultima è resa con poche veloci pennellate, come le foglie che completano e bilanciano una composizione che ben si differenzia da quella del vassoio policromo di inizio secolo già visto in precedenza. La caffettiera ripropone lo stesso tipo di decoro e la forma ricalca, sia pur con leggere modifiche, quelle di gusto rocaille della produzione di Francesco Verdinelli[9] di fine '700. Questa permanenza del rococò nella prima metà dell'Ottocento rappresenta un'altra anomalia della ceramica montemilonese. Se, infatti, si hanno alcuni esempi di forme e decori neoclassici, a partire dalla produzione del Verdinelli fino al primo trentennio del secolo XIX questo non portò mai ad abbandonare la tradizione del barocchetto che si spense soltanto intorno al 1840: si continuò, in pratica ininterrottamente, a produrre oggetti in maiolica con forme rococò, per le quali vennero usati spesso gli stessi stampi con piccole modifiche, nel corso di un sessantennio circa. Non si tratta, quindi, di un revival, come era avvenuto per altri centri di produzione ceramica europei coevi, piuttosto la continuazione di uno stile che si era iniziato a recepire nel secolo precedente.

Foto 1. Vassoietto in maiolica decorato alla rosa blu, dim. 24,5 x 16,5 cm. Monte Milone, 1835-1845. Pollenza, Museo Comunale.

Foto 2. Caffettiera in maiolica decorata alla rosa blu, h cm 19, Monte Milone, 1835-1845. Pollenza, Museo Comunale.


            Con la coppia di vasi da fiori della foto 3 si è già, invece, nella seconda fase. Quello a destra, oltre alla tipica rosa blu di metà ottocento, presenta un elemento nuovo, le anse a voluta che, probabilmente, venne utilizzato a Monte Milone per la prima volta in questi anni. Dell'altro vaso, che presenta ancora due manici zoomorfi, ci interessa sottolineare la decorazione del corpo, una fascia a foglie e fiori alternati, che anticipa quelle della produzione negli anni successivi.

Foto 3. Vasi da fiori in maiolica, h cm 27 e cm 22. Monte Milone, metà XIX sec. Pollenza, Museo Comunale.


            Successivamente a questi motivi decorativi se ne affiancarono di nuovi, quali il pesce o il gallo, che diverranno anch'essi elementi ricorrenti nel repertorio dei maiolicari pollentini nel terzo quarto del secolo (foto 4, 5, 6).

Foto 4. Catino in maiolica decorato con il motivo del gallo, ø cm 32. Monte Milone, metà XIX sec. Pollenza, Museo Comunale.

Foto 5. Piatto baccellato in maiolica decorato con due pesci all'amo formanti una S, ø cm 37. Monte Milone, metà XIX sec. Pollenza, Museo Comunale.

Foto 6a. Trufa in maiolica decorata con il motivo del gallo, h cm 22. Monte Milone, fabbrica Gaetano, Generoso e Giuseppe Rosati, metà XIX sec. Pollenza, Museo Comunale.

Foto 6b. Trufa in maiolica decorata. Verso con il marchio dipinto dei Rosati. 


            Si assiste dunque, intorno al 1850, ad un profondo mutamento della produzione che, da questo momento in poi, cominciò ad assumere quella particolare fisionomia i cui tratti principali sono stati spesso, erroneamente, considerati come identificativi delle realizzazioni di buona parte del secolo XIX. Una delle caratteristiche fondamentali è senz'altro la prevalenza del blu. È questo il colore con il quale venivano realizzate quasi tutte le decorazioni in questo periodo. Piatti e catini, molto spesso baccellati, presentano sul fondo, un elemento naturalistico mentre, sulla tesa, ricorre quasi sempre un motivo a cerchi puntinati o a linee che si intersecano formando dei rombi. Al bouchet tipico della produzione di fine settecento e primi ottocento si era sostituito oramai un semplice stelo reciso, con uno o due fiori e le foglie disposte secondo una regola pressoché costante. I petali che compongono il fiore sono costituiti da due o tre linee che ne determinano il contorno e da una campitura interna disposta su metà della superficie. Quando il fiore è unico (foto 7) si accompagna a due steli con foglie disposti sulla parte inferiore mentre, quando i fiori sono due (foto 8), si ha un terzo stelo a foglie che li sovrasta al centro. La foglia, spesso interamente campita, appare sempre con la punta che piega verso l'esterno.

Foto 7. Piatto baccellato in maiolica decorato con motivo floreale, ø cm 31. Monte Milone, metà XIX sec. Collezione privata.

Foto 8. Piatto baccellato in maiolica decorato con motivo floreale, ø cm 36. Monte Milone, metà XIX sec. Collezione privata.


            Vasi e zuppiere si contraddistinguono per una decorazione a racemi o a festoni come quello della foto 9. Anche il tipo di versatore della foto 10 fa la sua comparsa intorno al 1850. Presenta un'ansa a nastro, il manico a staffa ed è decorata a racemi blu uniti ad un motivo a raggiera, in blu e rosa, disposto intorno al pippio. Quest'ultimo, di tipo zoomorfico, è ancora influenzato dai modelli realizzati agli inizi dell'800 e dai quali, evidentemente era difficile staccarsi.

Foto 9. Vaso. Maiolica decorata in bicromia, h cm 33. Monte Milone, metà sec. XIX. Collezione privata. Il decoro a giro di foglie, al piede ed all'innesto del corpo, intervallate in questo caso da mazzolini di fiori, si ispira evidentemente a quello dei vasi e versatori della farmacia eugubina. I filetti in blu alternati alla fascia centrale arancio, nonché i fiori dei festoni sulla parete, dai petali realizzati con tre linee e campiti verso l'esterno, erano motivi in voga nelle fabbriche montemilonesi tra il 1850 e il 1870, denotando l'appartenenza di questo pezzo alla produzione di metà '800. Si tratta dell’oggetto, finora conosciuto, più rappresentativo ed emblematico della produzione in blu di questo periodo.

Foto 10. Versatore in maiolica, h cm 24. Monte Milone, metà XIX sec. Pollenza, Museo Comunale.


            Tra i decori complementari, e fino alla metà del secolo, è ancora presente quello a giro di foglie di origine settecentesca, come nel caso degli oggetti rappresentati nelle foto 9, 12 e 13, o quello di tipo semplificato presente nel vaso della fabbrica Rosati della figura 11.

Foto 11a. Vaso da fiori in maiolica, h cm 17. Monte Milone, fabbrica Gaetano, Generoso e Giuseppe Rosati, metà XIX sec. Pollenza, Museo Comunale.

Foto 11b. Fondo del vaso con il marchio R della Fabbrica Rosati.


             Occorre però chiarire, almeno in parte, quanto già esposto nell’introduzione dove ho cercato di sottolineare come questi tipi di decori, sia pur molto diffusi nell’ambito della produzione di metà ottocento, non sono gli unici utilizzati, anche se per molto tempo sono stati considerati come unico tratto distintivo della ceramica di Monte Milone o di Pollenza. Per quanto appaia ancora un’impresa ardua individuare l’intera produzione di metà ottocento è possibile identificare un altro stile decorativo dello stesso periodo, che utilizza gli stessi motivi ma con colori verde ramina e manganese anziché blu cobalto. È quello presente nei pezzi delle foto 12 e 13. Il primo è un fonte battesimale in maiolica, mancante della base, che doveva essere molto simile a quella dei due vasi rappresentati nella foto 13. Sul corpo due giri di foglie simmetrici inquadrano la scena principale, che rappresenta il battesimo di Gesù nel Giordano, ed un decoro alla rosa in rosso sul verso (foto 12c e 12d). Il coperchio presenta ancora due giri di foglie simmetrici ed una fascia intermedia a fiori gialli. Il pomello è chiuso, in sommità, ancora con lo stesso giro di foglie (foto 12e). Gli altri sono una coppia di vasi con coperchio (foto 13a). In questo caso il giro di foglie, che è identico a quello del fonte battesimale, è presente solo nella parte bassa del corpo che è decorato con un ricco bouquet naturalistico contornato con lo stesso tipo di foglie del “giro” (foto 13b). A sottolineare le analogie stilistiche con il primo esempio i decori complementari presenti nel verso dei vasi (foto 13c), con fiori sparsi in celeste identici a quelli gialli della fascia sul fonte battesimale. La parte più bassa della base è marmorizzata con soprastante zona a fasce e filetti in giallo e verde. Sul coperchio è presente un altro bouquet naturalistico e fiori sparsi. Il pomello è chiuso, in sommità, con un fiore naturalistico in blu (foto 13d).

Riporto, infine, un altro oggetto appartenente alla stessa famiglia di decori, una bottiglia in maiolica con dipinta la data di fabbricazione 1853 (foto 14).

Foto 12a. Fonte battesimale in maiolica (recto). Monte Milone, metà XIX sec. Pollenza, Museo Comunale.

Foto 12b. Fonte battesimale in maiolica (verso). Monte Milone, metà XIX sec. Pollenza, Museo Comunale.

Foto 12c. Fonte battesimale in maiolica. Particolare del recto con la scena che rappresenta il battesimo di Gesù nel Giordano. 

Foto 12d. Fonte battesimale in maiolica. Particolare del verso con il decoro alla rosa rossa con foglie verdi.

Foto 12e. Fonte battesimale in maiolica. Particolare del coperchio con i due giri di foglie simmetrici, la fascia intermedia a fiori gialli ed il pomello chiuso, in sommità, con lo stesso giro di foglie.

Foto 13a. Coppia di vasi in maiolica, probabilmente da farmacia. Monte Milone, metà XIX sec. Collezione privata. Decoro floreale. Decori complementari a giro di foglie ed a motivi fitomorfici. Base marmorizzata con fasce e filetti in giallo e verde.

 
Foto 13b. Coppia di vasi in maiolica. Particolare del recto.

Foto 13c. Coppia di vasi in maiolica. Particolare del verso.

Foto 13d. Coppia di vasi in maiolica. Particolare del coperchio.

Foto 14. Bottiglia in maiolica decorata con ramoscelli incrociati, in verde e manganese, le iniziali del proprietario e la data di fabbricazione. Monte Milone, 1853. Collezione privata.

            Da quanto finora esaminato, e per quanto non manchino elementi di qualità nella produzione, si può certamente affermare che le fabbriche di maiolica montemilonesi giunsero alla metà del secolo prive di quell'energia che aveva caratterizzato la loro attività nel corso degli anni precedenti. A determinare questo stato di cose contribuì certo la crescente concorrenza da parte di altri centri di produzione limitrofi, primo fra tutti Fabriano. Ma la causa principale va a nostro avviso ricercata nell'aver perduto l'occasione di creare solide premesse, per una reale crescita economica, quando le condizioni lo avrebbero consentito. Mancarono gli investimenti e, soprattutto, una vera e propria mentalità imprenditoriale. I guadagni servirono sempre all'acquisto di terreni, al cui sicuro frutto non si rinunciava per rischiare il denaro nell'attività e, in questo, i maiolicari furono di certo in linea con una mentalità che contraddistinse il carattere dell'economia provinciale e regionale di fine settecento e della prima metà dell'ottocento per la quale la richiesta fondamentale restava la terra, «onde nella Marca maceratese si sottolinea come unica possibilità di investimento il settore dell'agricoltura, e come prospettiva di commerciabilità e di guadagno il vario frutto della campagna»[10]. Mancò pertanto la capacità di attuare quella svolta decisiva che avrebbe consentito al piccolo centro marchigiano di mantenere i contatti con l'esterno che fino a quel momento l'avevano contraddistinto in un ambito territoriale il cui isolamento e marginalità andavano sempre più accentuandosi rispetto ai centri vivi dell'industria nazionale ed europea. Anche la ripresa che caratterizzò l'economia dello Stato Pontificio negli anni cinquanta, e di riflesso quella delle fabbriche montemilonesi, non costituì una reale premessa a futuri sviluppi nell'attività industriale come in altre aree più evolute della penisola. Il carattere degli opifici di Monte Milone rimase sempre prettamente artigianale e gli unici investimenti nell'attività riguardarono spesso, come alcuni documenti hanno dimostrato, soltanto le spese di riparazione degli immobili o delle fornaci, facilmente soggette a guasti queste ultime.


Statistica delle Fabbriche. 1848.

Stato

distinto, e classificato degli Opificj, e Negozj del Comune

di Monte Milone

Fabriche di Majoliche

 

       Ogni fabbrica abbisogna per lo meno di otto Vani compreso il Laboratorio, oltre i Sotterra nei per deposito dei combustibili, Vasca, e Locale per battere con verghe di ferro la terra, Fornace grande per cuocere le Majoliche, e piccola Fornacetta per la combustione dei piombi, stagni, litargirio, manganese, e sale per la composizione dei colori.

 

Medio valore per un fabbricato cossì Dottato ......... scudi  1.000

Stigli, e materiali necessari per il primo impianto ...   "     300

                                  Totale ..... scudi  1.300

Spesa per ogni Fornace, o Cotta, come dicono quegli

del Mestiere

            La creta di Cava carri cinque                               scudi          25

            Piombo lb. 200                                                    "              7

            Stagno lb. 40                                                       "              8

            Arena di Perugia lb. 350                                      "              1.50

            Litargirio lb. 30                                                   "              1.50

            Manganese lb. 10                                                 "            10

            Sale lb. 20                                                          "            40

            Legna peso 1.1/. di 115 once di pas-

               setto Romano Lungo, oltre il 4°                           "               5.40

            Nocchia Rub. 10                                                  "               6

            Spago lb. 4                                                          "            24

            Paglia per Ceste lb. 200                                        "            30

            Mano d'opera                                                       "            10

            Spese di ristauri                                                    "              2

            Trasporto di materie necessarie per le ver-

               nici in barilozzi al Fiume Potenza, ove

               si tengono i Capitelli per macinare, ed im-

               pasto delle parti suddette                                     "            40

            Trasporti di Majoliche alle Piazze di

               Mercato                                                            "             3...

                                  Spesa totale                                 scudi          46.09.


Prezzo medio di ogni Cotta

Ogni Cotta, a Fornace, quando viene buona scudi 50.

Riassunto

 

Somma prodotta da ogni Cotta                                        scudi          50

Spesa                                                                              "            46.09

                                      Utile netto                              scudi            3.91

Si noti, che al detto utile deve aggiungersi il prezzo degli

alimenti, e comodi della vita dei dodici Lavoranti per una

settimana, poiché in ogni sei, o sette giorni si compie una

Cotta, che a baj: 20 al giorno per ogni Lavorante, compre-

so il soldo giornaliero, prezzo medio impostano                  scudi             2.40

al giorno, che in ogni settimana, ossia in ogni Cotta                "            14.40

                          Totale introito di ogni Cotta                  scudi          18.31.

Si noti eziandio, che in ogni mese si fanno da ogni Fabbrica

quattro Cotte, quindi in ogni Anno Cotte 48 a scudi 3.91 per

Cotta, importo netto di utile come sopra                             scudi     187.68

Frutto sul Capitale improntato di scudi 1300 al 7%             "            91....

                                         Utile netto scudi                                    96.68

Li scudi 18.31 consumati dai Lavoranti in ogni cotta per loro

alimenti, abitazioni, e comodi propri ripetuti per 48 volte, im-

  postano  scudi       878.88

Annuo utile ricavato dal Proprietario                                  "            96.68

Frutto sul Capitale d'impronto                                           "            91....

                                    Risultanza totale                       scudi    1066.46

Essendo quattro le Fabbriche di Majoliche complessivamente

  mettono in giro in ogni anno un Capitale d                      scudi   4265.84.

[...]

                                                                                                                      D. Marchetti S. G.

Continua ...


[1] Il cav. Antonio Ronca di Fabriano comperava l'anno 1834 dal vescovo diocesano Pietro Balducci il già convento delle cappuccine e vi apriva una fabrica da stoviglie di Maiolica a imitazione di quelle di Pollenza (Monte Milone). O. Marcoaldi, Guida e Statistica di Fabriano, in G. Vanzolini, Istorie delle fabbriche di majoliche metaurensi e delle attinenti ad esse, Pesaro, 1879, vol. II, p. 93.

[2] La notizia è tratta da R. Paciaroni, L'arte della ceramica a Pollenza, in L'artigianato nelle Marche - Storia e tendenze, p. 94.

[3] Sull'argomento si veda P. Sorcinelli, Condizioni igieniche e sanitarie: dalla peste alla pellagra, in Economia e società: le Marche tra XV e XX secolo, Bologna, 1978.

[4] A.S. Macerata, Delegazione Apostolica, b.1367.

[5] Idem, b. 1358.

[6] Va precisato che l'attività dei fratelli Rosati subì un momentaneo rallentamento dovuto ai gravi problemi economici che li porterà ad ipotecare la fabbrica nel 1845.

[7] Il documento è pubblicato alla fine di questo capitolo.

[8] A.S. Macerata, Delegazione Apostolica, b. 959.

[9] Ci si riferisce qui alle tipologie di oggetti, della Fabbrica Verdinelli, individuate da Erika Terenzi nel saggio La Maiolica …, cit.

[10] W. Angelini, Lineamenti di vita culturale e socioeconomica in Macerata nel primo quarantennio dell'ottocento, in «Studi Maceratesi», vol. XIV, pag. 40.

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  Case, ville, torri colombaie   VII. Il cinquecento.   La seconda fase nella diffusione di torri colombaie trova un importante riscontro nell’evoluzione della normativa statutaria, a partire dalla fine del ‘400, dove, tra i testi indagati, quasi tutti riportano, nelle regioni del Centro e Nord Italia, norme molto precise sulla caccia al colombo e sulle colombaie oltreché, in alcuni casi, notizie molto rilevanti sulla loro funzione e ubicazione. Si può dire che tutti i comuni più importanti di queste regioni dispongono di regole sulla tutela dei colombi e delle colombaie, spesso anche comuni molto piccoli, dove il termine torre, associato all’allevamento dei colombi, compare molto più frequentemente rispetto agli statuti dei secoli precendenti. Per questo periodo si può affermare con certezza, vista l’abbondanza di fonti, che si tratta ancora di case torri, che seguono schemi tipologici oramai collaudati, o di ville con la torretta sopra il tetto ma, anche, di u...

L'industria della ceramica in provincia di Macerata tra la fine dell'800 e gli inizi del '900.

Alcune note sull’industria della ceramica in provincia di Macerata tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900.                Ritengo interessante esporre, in queste brevi note, un quadro certamente non esaustivo dei centri di produzione di oggetti in ceramica, nella provincia di Macerata, nel periodo che va dalla fine dell’800 ai primi anni del XX secolo. Dai documenti esaminanti, due statistiche, un bollettino ed altro materiale documentario della Camera di Commercio, emerge la presenza di numerose botteghe, sparse in maniera quasi uniforme su tutto il territorio, dalla costa fino alle località montane, ed un solo centro, Pollenza, che poteva vantare la presenza di piccole fabbriche , come venivano definite all’epoca, con una produzione di una certa consistenza e qualità. Le prime occupavano da 1 a 6 lavoratori e producevano ceramica d’uso, oggetti e stoviglie ordinari in terracotta, destinata perlopiù al commercio locale. Quelle di Pollenza pr...

LA CERAMICA DI POLLENZA. Parte terza.

LA CERAMICA DI POLLENZA. Parte terza. Il Settecento. II      Francesco Maria Verdinelli nacque nel 1760 [1] a Monte Milone da Giuseppe Maria Verdinelli e Piera Perini. Il padre, piccolo possidente terriero [2] , lo avviò alla professione di ceramista, probabilmente già in giovane età, mandandolo a lavorare presso la fabbrica della Porta del Colle, l'unica allora esistente all'interno del territorio comunale, dove il proprietario Catervo Ferrini, non avendo avuto figli, ebbe presto modo di affezionarsi ad un giovane pieno di talento e iniziativa, fino al punto di deciderne l'adozione e di lasciargli successivamente in eredità tutti i suoi beni.      Francesco ereditò, dunque, la fabbrica appena diciottenne, insieme ad altri beni, ma con la condizione di venirne in possesso soltanto dopo la morte della vedova Marianna Crocetti [3] . Fino a quella data Francesco sarebbe dovuto restare nella condizione di lavorante stipendiato e sotto...
  Un progetto inedito di Giuseppe Valadier per Fano.                 Si conserva, presso l’Accademia di San Luca a Roma, un progetto di Giuseppe Valadier per la liscia ed i molini del tabacco presso il Ponte Astalli di Fano, costituito da una tavola a china ed acquerello, non datata e senza titolo, delle dimensioni di 288 x 441 mm [1] (fig. 1).   Fig. 1. Giuseppe Valadier. Progetto per i mulini del tabacco e la liscia presso il porto di Fano, pianta, prospetto e sezione . Roma, Accademia di San Luca, Fondo Valadier , ASL 2863. Da  http://lineamenta.biblhertz.it:8080/Lineamenta/1033478408.39/1035196181.35/1046533224.67/Sh-p0ixSc/view         Tale disegno è relativo alla zona di Fano compresa tra Porta Giulia ed il canale Albani e rappresenta un sistema per fornire forza motrice al mulino del tabacco collocato in prossimità del Ponte degli Astalli e della parte terminale del Canale...

Urbanistica ed Edilizia nel Territorio di Pollenza dal 1800 ad Oggi.

Disegni ed immagini del territorio prima dell’epoca contemporanea al Museo delle Memorie Patrie Pollentine.             Il presente post, che raccoglie il materiale di una conferenza, organizzata dalla locale Società Operaia e patrocinata dall’Amm.ne Comunae, tenutasi a Pollenza il 28 novembre 2010, tratta di alcune delle trasformazioni avvenute a partire dall’800 in campo urbanistico ed edilizio nel nostro comune. È il seguito di “Urbanistica ed Edilizia nel Centro Antico di Pollenza dal 1800 ad Oggi”, qui pubblicato in data 26 luglio ‘19, e tenta di raccontare alcune delle trasformazioni urbanistiche ed edilizie, le più rilevanti, avvenute extra moenia nel territorio comunale. Ciò attraverso una serie di foto e disegni, conservati per la maggior parte presso l’Archivio Storico Comunale di Pollenza, che raccontano e documentano come erano certe zone o certi edifici prima dell’epoca contemporanea.    ...