Passa ai contenuti principali

LA CERAMICA DI POLLENZA. Parte quinta.

     Un carteggio inedito sulle fabbriche di Monte Milone nel primo quarto dell'Ottocento.


     Intorno al 1809 iniziò una lunga vertenza tra i maiolicari e gli affittuari del molino del Potenza alimentato da un vallato, tuttora esistente in località Passo di Treia del Comune di Pollenza, che convogliava le acque del fiume fino alle macine da grano. Dallo stesso vallato, come facilmente verificabile nelle mappe catastali dell'epoca, partivano alcuni rami secondari che portavano l'acqua ai macinetti da colori. La controversia nacque dapprima con il Ranieri intorno al 1809, e coinvolse tutti gli altri fabbricanti negli anni successivi, concludendosi intorno al 1830 quando, anche per l'interessamento delle autorità pontificie, si risolse a favore dei maiolicari. Motivo del contendere erano le acque non sufficienti, a detta dei mugnai, a consentire il funzionamento dei macinetti contemporaneamente a quello del molino per cereali. Tutta la vicenda si sviluppò in due fasi distinte. La prima, dal 1809 al 1812, riguardò unicamente la fabbrica Ranieri[1]. La seconda, dal 1818 al 1831, assume una certa importanza non tanto per il fatto in sé, che potrebbe apparire come una comunissima bega di paese, ma in quanto il lungo carteggio che la riguarda contiene altri particolari e notizie di una certa rilevanza, emergenti dallo specifico conteso della lite, poiché coinvolse tutte le fabbriche montemilonesi mettendo in serio rischio la loro possibilità di sopravvivenza.
          Così scriveva il Podestà di Monte Milone al prefetto del Musone Villata in data 4 febbraio 1812: ...non mancai di diffidare questo molinaro Domenico Rampichini a desistere dal rendere immacinanti i Molinelli di proprietà dei Fabricatori di Majoliche, inservienti alla triturazione de' Colori e che sono situati nel vallato di questo molino. In disprezzo però di una tale diffidazione si è fatto lecito questa mattina di togliere l'acqua al molinello dei Fabricatori Ranieri, e si è di più protestato, che non si presterà mai a farlo macinare, come all'annesso Verbale, che ho formato in seguito di una nuova comparsa dei stessi Ranieri.
     Debbo significarle, Sig. Prefetto, che il molinaro Rampichini è un vero soverchiatore, e si fa anche lecito di milantare che vuol fare, che gli pare nel Vallato, senza curare gli Ordini Superiori. Se non viene punito, si farà lecito di soverchiare anche i macinanti, su di che ne ho qualche sentore, e le manifatture dello Stato verranno depresse, ed avvilite. Son certo che Ella si compiacerà di farlo stare in dovere...
     La risposta del Prefetto non si fece attendere e, nel giro di pochi giorni, la vertenza si risolse a favore dei fratelli Ranieri e degli altri maiolicari: Il Sig. Podestà Municipale terrà man forte, perché i Fratelli Ranieri, e chiunque altro non sia turbato nel pacifico possesso dell'uso delle acque per la macinazione dei colori con tutti quei mezzi, che sono in di lui potere.
     Se il Rampichini, contro cui sono portate le accuse si permetterà d'impedire l'uso de' Molinelli, provata che sia per verbale la di lui mancanza, sarà fatto accompagnare a Macerata per la contravenzione alle superiori disposizioni, salvo a provvedersi con misure di maggiore rigore[2].
     Le autorità ebbero sempre un certo interesse a tutelare i fabbricanti di maiolica di Monte Milone il cui giro di affari serviva pure ad introdurre molto denaro nelle casse dell'erario. Così durante il periodo napoleonico e successivamente, dopo la Restaurazione, con lo Stato Pontificio, che tenne un atteggiamento pressoché uguale nei loro confronti quando la disputa per l'uso delle acque del vallato riprese intorno al 1818.
     Del resto anche la Comunità di Monte Milone non poteva che favorire la fabbricazione del principale prodotto locale o fare in modo di renderne più facile la vendita e l'esportazione nei luoghi dove era richiesto. È del 1813, infatti, una lettera al Prefetto del Musone nella quale la Comune ... implora l'istituzione di due Fiere nei di Lei Suborghi ed Accasato, limitate nei due Lunedì del Mese di Febrajo, i quali annualmente ricorrono dopo l'antichissima Fiera, che nello stesso luogo ricade nel giorno feriato immediatamente successivo al di 3 Febrajo Festa del Comprotettore S. Biagio [poiché] dietro tutto ciò è ben facile di conoscere l'utilità evidentissima che da tale istituzione di Fiere risulta per più Oggetti a questa Popolazione, e principalmente... dall'esito maggiore delle Majoliche, delle quali esistono tre Fabriche nella Comune[3].
     Ancora, nel 1816, trascorso un anno dalla fine della guerra[4], il Comune decise di attuare il progetto per la sistemazione delle principali strade di comunicazione del paese. Ciò, soprattutto, per creare una momentanea occasione di lavoro e consentire così alle numerose famiglie, che all'indomani del maggio 1815, dopo il passaggio delle truppe napoleoniche, si erano ritrovate in uno stato di indigenza, di procurarsi i necessari mezzi di sostentamento ma, anche, per facilitare il commercio e l'esportazione delle maioliche fuori dal Comune: Nell'attuale desolante situazione, in cui introvansi più centinaia di famiglie di questa Comune di Monte Milone, e del suo circondario, che tanto risentirono di danni, e spregiudizi per le sciagure, che furono portate dalla Guerra accaduta in Maggio dello scorso Anno 1815, e per la presente carestia delle granaglie, i di cui prezzi sono veramente esorbitanti, ed è conosciuto ad evidenza, che gli individui delle stesse famiglie reclamano un pronto soccorso alle gravi necessità, e miserie, in cui essi, per gli esposti palmari motivi ritrovansi immersi. Non sapendo l'Amministrazione Comunale in qual modo poter meglio nello stato presente di cose, sollevare l'infelicità di tanti indigenti, coll'appoggio ... dell'Apostolica Delegazione, ... ha saviamente risoluto di dare esecuzione al nobile progetto fatto nella Sessione del Consiglio Comunale dei 19 Decembre 1811. In esso si determinò per far godere a questa Popolazione i migliori vantaggi nel Commercio, mediante la comodità in particolare delle strade, di rendere nel modo più facile adagiate le salite, che dall'Osteria di Chienti nella Via Flamminia si vanno incontrando per la strada principale, che porta direttamente in questa Comune, e che da essa sino all'altra Osteria di Potenza, presso la quale esiste il publico Molino a grano, e quindi comunica colla rinomata Strada Clementina, mediante il Passo, che si fà presso la fabrica di Saline di Treja: per la qual cosa nel Consiglio Comunale tenutosi ... nel giorno 26 del cadente mese ... fu risoluto ... di dar pronta mano all'adagiamento dell'erta strada ... che dal suddetto Molino publico, per un buon tratto conduce in questa Comune. Adattamento invero riconosciuto sempre per indispensabile, e per il più utile a questa intera Popolazione; poiché detto tronco di strada ... è stato ed è un ostacolo ben grande per la facilità del commercio, che potrebbe aversi assai migliore in questa suddetta Comune e per l'esportazione da essa in altri Paesi delle Manifatture di Majoliche ... ed introduzione nella medesima delle Merci e di ogni sorta di Combustibili, che vengono dalla parte di San Severino per la detta Via Clementina ...[5].
     Questo documento, oltre a costituire una testimonianza della grave carestia che afflisse la regione e, in particolare, la provincia di Macerata negli anni 1815-17, prova un andamento positivo delle fabbriche anche nel mezzo di una crisi economica ben peggiore di quella di fine Settecento, che potrebbe spiegarsi soltanto con l'esistenza di un mercato basato su una consistente esportazione del prodotto. Non mancano, del resto, fonti attestanti quella che appare molto più di una semplice supposizione, ovvero la possibilità che le maioliche venissero esportate, oltre che nei centri limitrofi, anche in zone più lontane. Se infatti, come abbiamo visto nella statistica del 1809, le esportazioni avvenivano nei tre dipartimenti, quello del Metauro, del Musone e del Tronto e fuori di stato, risulta documentata la presenza di Antonio Venanzoli alla fiera di Senigallia nel 1805[6]. Lo stesso maiolicaro qualche anno dopo, nel 1812, vendeva ad un certo Ciaramponi di Treia un carico di quattro ceste di maiolica, per trasportarle fino ad Ancona, presso un suo corrispondente[7]. Queste notizie lasciano intravedere un giro di affari molto ampio, per il quale le fabbriche montemilonesi dovevano avere acquirenti anche in centri molto lontani dalla regione quali, ad esempio, quelli al di là dell'Adriatico. Riprenderemo più avanti l'argomento quando, esaminati alcuni documenti degli anni successivi, sarà possibile tornare sulla questione con maggiore chiarezza.
     Torniamo ora alla vertenza sull'uso delle acque del vallato presso il molino del Potenza. Come già anticipato, il lunghissimo carteggio, circa 30 lettere dal 1818 al 1831, oltre a fornirci una descrizione sullo svolgersi della vicenda, riporta una serie di notizie inedite di una certa importanza, relative alle fabbriche e ai luoghi dove veniva esportato il prodotto.
     L'antico molino del Potenza, ab immemorabili di proprietà del Comune di Monte Milone, passò alla Reverenda Camera Apostolica nel 1801. Questa confermò gli antichi privilegi che l'amministrazione comunale aveva concesso durante il secolo precedente ai fabbricanti di maiolica. Lo stesso avvenne, come abbiamo avuto modo di vedere, sotto il Regno Italico, quando i prefetti che si succedettero nel governo del Dipartimento, non ebbero dubbi a riconoscere tali diritti. Ancora, dopo la seconda Restaurazione, sebbene in un primo momento si contrastò ancora nel Giugno 1818 un tal diritto dal Priore dell'Amministrazione Camerale dei Molini Sig. Angelo Cinagli, ma conosciutasi la legalità, e validità di tale acquistato diritto furono mantenuti nel loro pacifico possesso[8]. A tale riguardo si espresse pure il Tesoriere Generale dello Stato che, con una notificazione del 21 marzo 1821 sui "Capitoli per l'Enfiteusi dei Molini", ribadiva: M. Milone Molino a due Macine sul Fiume Potenza con piccolo orto annesso ha il peso di dare l'acqua alle Macinette dei colori per le Fabriche di Terraglia esistenti in detta Comunità[9]. Successivamente a questa data il molino venne ceduto in enfiteusi a un tale Pasquale Pallotta. Questi, non curandosi delle ragioni dei maiolicari, non solo tentò di chiudere le bocche del vallato che alimentavano i macinetti dei colori, ma si rivolse al Cardinale Camerlengo onde far valere le sue ragioni. All'alto prelato si rivolsero anche i fabbricanti montemilonesi, per intercessione del Delegato Apostolico di Macerata, ai quali venne riconosciuto il loro diritto di servirsi dell'acqua del molino: Dalla informazione resami da V.S. Ill.ma con pregiato foglio dei 29 Ottobre prossimo passato ... rilevasi che giustamente si richiamarono i Proprietarj delle Fabbriche di Terraglia in Montemilone contro l'Enfiteuta del molino al grano, che ha preteso ingiustamente spogliarli dal diritto delle acque del Vallato, di cui hanno assoluto bisogno per far agire le macinette dei colori, e che acquistarono un tempo dalla Comune dapprima proprietaria del Molino stesso. Quindi debbo eccitare tutto lo zelo di V. S. Ill.ma perché voglia con tutti i mezzi che sono in suo potere, obbligare Pasquale Pallotta Enfiteuta di esso Molino al rispettare i diritti di Fabbricatori di Terraglia suindicati ...[10].
     In un'altra lettera del Vice Governatore di Monte Milone al Delegato Apostolico di Macerata, scritta il 22 ottobre 1824 con lo scopo di dimostrare la reale esistenza dei diritti sul vallato di alcuni maiolicari, dopo un riepilogo delle risoluzioni consiliari con le quali vennero concessi, si parla dei vasai Ranieri e Rosati e di come questi ottennero la facoltà di usufruire di questi privilegi: Eminenza R.ma ... posso assicurarla di aver io riscontrato nei libri delle Risoluzioni Consiliari esistenti in questa Segreteria Comunale che fin dal 15 Aprile 1746 la Comune concesse l'uso dell'acque da prendersi nel Vallato prima di scaricarsi nel Molino per anni 15 con il canone di libre una di cera all'anno al Vasaro di questa Comune per porci i Macinetti da colori. Susseguentemente si trova nel Consiglio del 14 Luglio 1776 che ridondando a vantaggio di questa Popolazione fu accordato a Marco Caprari  di poter porre il Macinetto nel Vallato colla condizione di pagare una libra di cera l'anno. Sotto il 15 Dicembre 1782 fu concesso al ridetto Marco Caprari di porre un altro macinetto, colla condizione che pagasse una credenza conforme l'aveva pagata l'altro Vasajo Ferrini. Tal concessione fatta ai ridetti due Vasari Ferrini, e Caprari per il convenuto prezzo d'una credenza di Majolica per cadauno li hanno costituiti in piena facoltà di poter cedere questo loro diritto, come hanno fatto, cioè Ferrini all'attuale Fabbricatore Francesco Ranieri, e quelli di Caprari sono passati all'attuale Fabbricatore Felice Rosati. Il Venanzoli ottenne la facoltà di prender l'acqua nel Vallato per condurla nel Macinetto nella seduta consiliare degli 11 Marzo 1789. In tal Comprato diritto di prender l'acqua nel Vallato acquistato da un per due bocche 60 anni fa', da un altro per altre due bocche 42 anni fa', e dall'altro per una bocca 35 anni fa', da questo Comunità in allora Padrona, e proprietaria di questo Molino, sono stati mantenuti questi Fabricatori di majoliche non solo all'epoca dell'avocazione di tutti i beni Comunitativi alla R. C. A., ma anzi confermati in questo pieno diritto con autorevole dispaccio della S. Congregazione del B. G. dei 14 Marzo 1807[11].
     Dobbiamo ancora citare un documento, la "Statistica Industriale e Manifatturiera del 1824", in occasione della quale il Vice Governatore di Monte Milone scriveva al Delegato Apostolico di Macerata: Esistono in questa Comune quattro Fabbriche di Majoliche, le quali sono di qualche considerazione, come quelle, che introducono del molto denaro, e servono ad alimentare molte famiglie dei Lavoranti ad esse addetti. A questa lettera, inviata in data 7 giugno, non vennero però allegati i quadri statistici richiesti e che, poco tempo dopo, il Delegato mandò a chiedere. Nella lettera di accompagnamento degli stessi quadri, scritta in data 4 settembre, si può leggere: Dopo non poca … fatica ci è riuscito di compiere la redazzione della Statistica richiesta dall'E.mo Camerlengo per le Fabbriche di Terraglia eistenti in questa Comune …[12].
     Un primo dato rilevante emerge dalla lettura di queste carte ovvero che gli opifici vengono spesso definiti, soprattutto dalle lettere dirette o provenienti da Roma, fabbriche di terraglie[13]. Non è un particolare di poca rilevanza in quanto dimostra come la terraglia cominciò ad entrare nel repertorio dei ceramisti montemilonesi già nei primi decenni del secolo, sebbene questa innovazione appaia leggermente ritardata rispetto ad altri centri quali, ad esempio, Pesaro[14]. Infatti, nonostante l'industria ceramica di Monte Milone vivesse il suo massimo splendore a partire dall'ultimo quarto del XVIII secolo fino al 1835 circa, periodo in cui grazie alla maiolica decorata con colori a smalto la produzione toccò i suoi livelli più alti, si trattò certo di un'anomalia, non l'unica, se rapportata ad uno scenario più ampio, quello della ceramica italiana ed europea. In questo contesto, a partire dalla fine del Settecento, la maiolica venne quasi completamente abbandonata a favore della terraglia per essere riutilizzata soltanto dopo la metà dell'Ottocento quando, sotto la spinta dello storicismo, si ritornò a proporla, sia pur con metodi più moderni, in quello spirito di rivalutazione "storica" del passato che spinse molte manifatture, quali quelle di Doccia, Faenza, Napoli, Pesaro, Savona, ecc., a riprodurre oggetti che imitavano le tecniche e le forme utilizzate dai maiolicari rinascimentali.
     Ciò che avvenne a Monte Milone fu esattamente l'inverso: si continuò a produrre maiolica fino a circa il 1860, o poco prima, mentre la terraglia entrò a far parte del repertorio dei nostri maiolicari soltanto dopo questa data e se per qualche anno, ovvero dal 1821 al 1825, fu presente anche nel nostro centro una cospicua produzione di oggetti in terraglia, probabilmente con caratteristiche decorative identiche a quelle della maiolica[15], questo materiale venne ben presto abbandonato. Le cause di questa scelta sono, a nostro avviso, di carattere puramente economico, vista la posizione geografica di Monte Milone, ovvero il sistema stradale che la collegava al resto del territorio marchigiano che rendeva difficilissimi e di conseguenza molto onerosi i trasporti di consistenti quantità di terre adatte alla fabbricazione di terraglia. Ciò dimostra, tuttavia, come anche le manifatture montemilonesi, al di là dal rimanere ancorate alle vecchie tecniche produttive, tentarono di sperimentare vie alternative, rendendosi partecipi di quella tendenza innovativa che portò larga parte delle fabbriche italiane, nel primo quarto del secolo, verso un processo di industrializzazione del settore. Questo profondo rinnovamento avvenne secondo criteri ampiamente sperimentati, a partire dalla seconda metà del settecento, nelle produzioni di altri centri europei e portò ad una consistente riduzione nei costi di produzione. La terraglia, infatti, nonostante comportasse, in talune situazioni, l'importazione di materie prime, quali le terre per l'impasto bianco, consentiva un notevole risparmio sulle vernici, soprattutto quelle a base di stagno, nonché sui tempi di realizzazione.
     Continuando a trattare della controversia sull'uso delle acque dobbiamo ricordare che il Pallotta seguitò ad osteggiare i fabbricanti di maiolica fino al 1826 quando, nella conduzione del molino, gli successe un certo Giovanni Pallocchini. Quest'ultimo, com'era oramai consuetudine, iniziò a contestare i diritti dei maiolicari e ad impedire il funzionamento dei macinetti. Questa volta la controffensiva dei fabbricanti montemilonesi non si fece attendere molto, come dimostra un reclamo da questi inviato al Delegato Apostolico intorno al 1827: I sottoscritti proprietari, e direttori delle Fabbriche di Majoliche di M. Milone ... l'espongono che non ostante gli antichissimi diritti che godono per aver l'acqua per le loro macinette de colori ... per le fabbriche ... esistenti in detta comunità l'attuale Molinaro Giovanni Pallocchini non curando i suddetti diritti, non curando i patti assunti dal compratore del Molino ... disprezzando gli ordini ricevuti più volte dai Sig. Governatore di Treja e Podestà locale, i quali espressamente gli avevano ingiunto di non ledere gli altrui diritti, e lasciare che le macinette dei Colori delle nostre Fabbriche prendessero l'acqua, e macinassero continuamente giorno e notte come per lo innanzi, si fa lecito di togliere le acque a medesimi, e gl'impedisce il macinare i colori per cui le loro Fabbriche mancando di questo necessario materiale per eseguire lavori restano inoperose, e sono costretti di chiudere l'estesse Fabbriche, e licenziare tutti i lavoranti, che sono in un gran numero la maggior parte carichi di famiglia ... Il cattivo animo e la contrarietà del molinaro Pallocchini contro le loro Fabbriche ... si scorge dal seguente fatto. Giambattista Crocetti per una nuova Fabbrica che ora ha chiusa, senza superiore permesso ha aperta recentemente una bocchetta per dar l'acqua ad una macinetta quale attualmente resta affidata ad un Fabbricatore di lavori di terra cotta ordinarj in Appignano: questa bocca riceve sempre acqua perché il molinaro Pallocchini si dice che ne ritragga un certo interesse; all'incontro chiude a suo capriccio tutte le bocche delle Macinette dei Petenti perché secondo l'ordine di Monsig. Tesoriere ha l'obbligo di dargli l'acqua senza alcun compenso, questa chiusura il Molinaro l'eseguisce anche alla presenza dei garzoni custodi delle Macinette, così che spesso accadono delle risse fra di loro che un giorno o l'altro potrebbero produrre delle luttuose conseguenze. Gli Oratori impossibilitati a pagare gli operaj senza trar profitto dai loro lavori per mancanza di colori sono costretti piuttosto che andare in rovina chiudere le rispettive Fabbriche .... [16].
     Fu l'inizio di una nuova fase della vertenza che, alla fine, con un nuovo intervento delle autorità, si concluse definitivamente, verso la fine del 1831, a favore dei maiolicari.
     Chiudiamo questa parte, dedicata ad una delle vicende più archivisticamente documentate, con una lettera, forse la più importante, contenente un ulteriore reclamo, inviato dal comune di Monte Milone al Delegato Apostolico di Macerata nel settembre 1831: È incontestabile che le Fabbriche di Majoliche di questo Paese diano il pane alla massima parte delle famiglie di Operaj nelle medesime impiegate, e queste alle famiglie di altri Operaj secondarj, cioè, Sartori, calzolaj, Venditori di commestibili, ecc. È egualmente incontrastabile, che il primo elemento necessario per le Fabbriche per compiere i lavori sia il colore, onde verniciarli, e che mancando questi rimanghino inoperose. È finalmente incontrastabile, che pel mantenimento a colore di ognuna di esse le macinette debbono continuamente agire giorno, e notte. Ne viene dunque per giusta conseguenza, che se si volesse seguire la proposta insultante del Mugnajo, di macinar più tosto granaglie, che colori di Majoliche, per le ragioni premesse ne verrà la chiusura delle Fabriche, e la sospensione del giornaliero assegno alle famiglie Operarie, le quali poi non avranno mezzi di portar grano alle Mole del Pallocchini. … Questa sospensione di macinette poi oltre alla rovina di questo infelice Paese, recherebbe ancora danno notabile alle nostre Provincie, ed allo stato stesso. Le manifatture di Majoliche di M. Milone, quasi uniche in queste parti servono al consumo, e si trasportano per tutte le Provincie della Marca, in parte delle Romagne, nell'Umbria marittima, Comarca, e nell'istessa Dominante, finalmente la medesima parte si manda all'Estero mediante il Porto d'Ancona. Chiuse le Fabbriche in M. Milone, cessa l'introduzione del denaro dall'Estero, e le Provincie dello Stato, all'incontro saranno costrette mandarlo nel propinquo Regno di Napoli per provedersi di stoviglie di Majoliche necessarie ai propri bisogni ... [17].
     Le carte che documentano quest'ultimo periodo della lite sono certamente le più interessanti poiché da queste emergono almeno tre elementi di una certa rilevanza. Il primo è che, anteriormente al 1827, esisteva un'altra fabbrica, quella di Giambattista Crocetti, la cui vita dovette essere molto breve in quanto non viene citata in nessuna delle statistiche a noi note fino a quell'anno, neanche in quella del 1824 dove si parla di 4 fabbriche esistenti nel comune di M. Milone. Il secondo è l'esistenza, nei fascicoli sopra esaminati, di un elenco di tutti i dipendenti delle fabbriche, databile intorno al 1830-31, inviato alla Delegazione di Macerata con l'evidente scopo di dimostrare quante persone vivessero dei guadagni derivati dal lavoro nelle manifatture montemilonesi. L'importanza di questo elenco, contenente circa ottanta nominativi fra lavoranti e garzoni, sta innanzitutto nel provare che le dimensioni di questi opifici, considerata l'epoca, non erano certo trascurabili.
     L'ultimo elemento riguarda l'esportazione della maiolica fuori dal territorio comunale.
     Già abbiamo avuto modo di parlare di questo argomento ma soltanto dalla lettura dell'ultima lettera citata risultava la possibilità di tracciare un quadro abbastanza esauriente delle località verso le quali avveniva l'esportazione. Queste località comprendevano Roma e la Comarca, l'Umbria, le Marche e parte della Romagna ma il dato più interessante, ovviamente, è quello che riguarda le esportazioni fuori dallo stato Pontificio dove, tramite il porto di Ancona, si smerciava la metà del prodotto. Non è stato possibile, fino ad ora, stabilire con precisione il significato dell'espressione all'Estero, ma non è da escludere tuttavia la possibilità di rapporti, più che con le regioni del nord Italia, con i tradizionali sbocchi commerciali della Dalmazia, della Grecia o del Levante.
     Alla luce dei documenti esaminati appaiono più chiari anche i motivi di quella sorta di protezionismo, a cui diverse volte si è accennato, delle autorità nei confronti dei fabbricanti di maiolica montemilonesi. In una regione, infatti, dove a causa di uno scarso spirito d'iniziativa la produzione agricola restava la base principale dell'economia e le poche manifatture esistenti, ridotte allo stremo per la concorrenza estera o per la mancanza di capitali, potevano fare affidamento unicamente sulla politica del governo pontificio, basata come nel secolo precedente sugli strumenti di eliminazione della concorrenza o sui premi, emerge l'importanza di uno dei pochi centri manifatturieri il cui successo si fondava unicamente su forze proprie e, come abbiamo già visto, la cui fortuna era alimentata anche e soprattutto dalla qualità del prodotto che qui veniva fabbricato. Un'attività in grado di sopravvivere ai periodi più difficili e reggere la concorrenza di altri importanti centri fuori dallo stato, non poteva che ottenere l'appoggio dei governi, napoleonico prima e pontificio poi, se non altro per il denaro che essa introduceva. Dobbiamo infine riconoscere che l'atteggiamento favorevole, in certa misura interessato, da parte delle autorità, come ad esempio nel caso della disputa per le acque del vallato, più che essere protezionistico in senso stretto, era dettato dall'esigenza di garantire che nulla turbasse il buon andamento delle fabbriche, piuttosto che elargire privative o privilegi fiscali. Al di là di una consolidata ed oramai logora politica economica dello stato Pontificio, queste prerogative, una volta scaduta quella del Verdinelli, non vennero mai più concesse e tantomeno richieste dai maiolicari, salvo un tentativo fallito dai fratelli Venanzoli a Jesi[18].


Elenco degli occupati nelle fabbriche di ceramica di Monte Milone nel 1830.


Nota dei Fabbricatori, ed individui della Fabbrica Verdinelli di Proprietà del Sig. Dott. Antonio Fedeli

Direttore Serafino Verdinelli con moglie, e due piccole figlie.

Eleonori Pasquale con moglie, e cinque figli.

Verdinelli Giovanni con moglie, e due figlie.

Serafini Pacifico con moglie, ed otto figli.

Andreani Antonio con moglie e cinque figli.

Sileoni Antonio con moglie. Sileoni Natale con Padre, e madre Vecchi. Sileoni Antonio con Moglie, e Madre Vecchia. Rossetti Nicola con Madre settuagenaria.

Piervittori Luigi. Eleonori Luigi. Pelagalli Enrico.

Meraviglia Giuseppe. Benedetti Antonio, e Paolucci Luigi. Nardi Domenico Carattiere. Farroni Amico Cavaterra. Romagnoli Giuseppe Portaterra.

Andreani Filippo Falegname. Sileoni Pasquale Ferrajo

Tamagnini Angelo Muratore


Fabbrica di Felice Rosati con cinque figli, e suoi Lavoratori.

Luigi Ricetti con cinque figli. Nicola Carassai con 7 figli. Benaminio Rosati con Moglie. Luigi Pucciarelli.

Agabito Romagnoli figli 4.

Costantino Romagnoli figli 6.

Buonafede Romagnoli figlio 1°. Antonio Monti figli 3.

Costantino Caponi. Giambattista Fioretti

Giovanni Carassai. Costantino Marinozzi

Giuseppe Fazi. Antonio Caponi

Pasquale Fammelume, Serafino Farroni 2 figli.

Pietro Calcinelli figli 4, Tommaso Papa Carattiere

Luigi Monti, e figlio.


Fabbrica del Sig. Lorenzo Venanzoli, e Fratello Antonio

Giuseppe Venanzoli altro fratello diviso con figli 5.

Pietro Bartolucci figli due, e moglie.

Luigi Sbaffoni con figli 6, e moglie.

Luigi Piccioni con figli due e moglie. Antonio Crocetti.

Sante Monti - Angelo Monti Fratelli con Madre, e Padre inabili. Filippo Sileoni. Luigi Rossetti.

Properzi Giuseppe con famiglia di 13 individui.


Fabbrica dei Fratelli Ranieri

Ranieri Giuseppe, e Francesco Fratelli, con loro mogli, e due figli.

Bianchedi Nicola Direttore con moglie, madre, e figlia.

Bianchedi Felice Vedovo con una figlia. Bianchedi Giambattista. Bianchedi Pietro con moglie, e due figli

Marzi Natale con moglie.

Gabrielle Paolucci con moglie, e due figli.

Sileoni Pacifico, Sileoni Domenico - Fratelli che sostengono i suoi Genitori.

Carlo Giuseppe Romagnoli

Savoni Marco con Moglie, e tre figli. Amadio Savoni.

Antonio Cola con Madre Vedova e Sorella.

Farroni Antonio con Madre Vedova e due sorelle.

Stollagli Tommaso. Petinari Sebastiano.

Scoccia Nicola, con Moglie e tre figli.

Farroni Domenico. Caponi Marco. Caponi Pasquale

Tamagnini Giuseppe. Piervittori Giuseppe.

Continua ...



[1] Così scrivevano i Fratelli Ranieri al Podestà di Monte Milone in data 29 gennaio 1812: L'in ora esercente Molinaro Rampechini Domenico, non ostante la ripresione fattagli dal Sig. Podestà, dietro altro loro vocale ricorso, seguita prepotentemente disprezzando ogni autorità, a fermare li prelodati Mulinelli, toglier parate, ropper condotti, e minacciar perfino di gettarli nel fiume non ad altro motivo, se non perché gli è stata negata una quantità di Majoliche che tutto giorno a capriccio, e senza discrezzione addimandava. Per tutta la documentazione relativa a questa prima fase della lite: A. S. Macerata, Dipartimento del Musone, bb. 5 e 22.
[2] Ibidem.
[3] Ibidem, b. 56.
[4] La Campagna d'Italia di Gioacchino Murat, della quale Monte Milone fu luogo cruciale con la battaglia di Cantagallo, combattuta dall'armata napoleonica, guidata dal Re di Napoli, contro quella austriaca del Feld-Maresciallo Bianchi.
[5] A.S. Macerata, Notarile di Treia, vol. 1269.
[6] La notizia è riportata da A. Anselmi, Il Commercio delle Maioliche di Castelli alla antica fiera di Senigallia, in "Nuova Rivista Misena", X, 1907, nn. 5 e 6, p. 71, il quale da un opuscolo intitolato «Recapito per gli signori mercanti concorsi nella Fiera di Senigallia l'anno 1805», rinvenuto presso l'Archivio Comunale di Senigallia, poté leggere che, insieme ai nomi di tredici maiolicari castellani, figuravano quelli di tre fabbricanti di maioliche marchigiani e cioè, un Antonio Venanzoli, da Montemilone, oggi Pollenza, industre paese presso Macerata, ove si esercita ancora quest'arte, un Casali e Callegari, da Pesaro ed un Luzi Guidobaldo, da Urbania, già Casteldurante.
[7] A.S. Macerata, Notarile di Treia, vol. 1273.
[8] A.S. Macerata, Delegazione Apostolica, b. 866, f. 5.
[9] Ibidem.
[10] Ibidem.
[11] Ibidem.
[12] Ibidem, b. 1360
[13] In una lettera del 1824, firmata da Francesco Ranieri, Antonio Venanzoli e Felice Rosati, inviata al Cardinale Camerlengo, i tre si definiscono Fabbricatori di Terraglie, o siano Majoliche. A.S. Roma, Camerlengato P. II, b. 23.
[14] Sull'argomento cfr. L. L. Loreti, La Ceramica a Pesaro nel Settecento e nell'Ottocento, in G. C. Bojani (a cura di), "Fatti di Ceramica nelle Marche", Milano 1997; cfr. pure C. Giardini, Ceramica pesarese nel XVIII secolo, La Manifattura Casali e Callegari (1763 - 1816), Ferrara 1995.
[15] Del resto anche Gian Carlo Bojani non ha escluso in un suo scritto «una più precoce apparizione della terraglia montemilonese con caratteristiche decorative simili alla maiolica prima che pollentina, cioè avanti il 1862». G. C. Bojani, introduzione al saggio di E. Terenzi, La maiolica a Monte Milone..., cit., p. 59.
[16] A.S. Macerata, Delegazione Apostolica, b. 866, f. 7.
[17] Ibidem.
[18] Dobbiamo ricordare un tentativo fallito, nel 1825, di Antonio e Lorenzo Venanzoli volto ad ottenere una privativa per la fabbricazione di maioliche e terraglie ad uso inglese nella città di Jesi, in provincia di Ancona. Infatti i due fratelli avevano qui aperto, nello stesso anno, una fabbrica di maioliche e terraglie avendo scoperto, nelle vicinanze, un giacimento di terra particolarmente adatta alla creazione di oggetti che resistono al fuoco. A. S. Roma, Camerlengato parte II, b. 35


Commenti

Più seguiti

Urbanistica ed Edilizia nel Centro Antico di Pollenza dal 1800 ad Oggi.

Disegni ed immagini del centro antico prima dell’epoca contemporanea al Museo Comunale di Pollenza [1] .         Possiamo affermare con certezza che tutte le trasformazioni urbanistiche ed edilizie avvenute negli ultimi due secoli nel centro antico di Pollenza risultano documentate. Di quasi tutto ciò che è scomparso, o si è trasformato, nel tessuto edilizio originario, possediamo una documentazione costituita da foto o disegni, per la maggior parte raccolti dal pittore pollentino Giuseppe Fammilume, o da progetti originali di edifici pubblici ed altro materiale relativo alla loro costruzione appartenenti all’Archivio Storico Comunale [2] . È quindi possibile una ricostruzione completa di tutte le trasformazioni urbanistiche ed edilizie che hanno riguardato l’agglomerato urbano all’interno delle mura castellane anche ricorrendo ad una mappa catastale degli inizi dell’800 [3] che, tuttavia, rappresenta molto bene anche la situazione nell’ultimo qua...

LA CASA DEI COLOMBI. Parte prima.

  Case, ville, torri colombaie   I. Introduzione [1]        Se esiste un tipo di edificio che ha sempre esercitato in me un fascino particolare questo è sicuramente la casa – torre – colombaia [2] . Questo tipo di costruzione rappresenta senza dubbio una delle espressioni più interessanti dell’architettura rurale anche se, paradossalmente, in pochi conoscono la sua reale funzione. Era essenzialmente un fabbricato per l’allevamento dei piccioni formato da una torre isolata o facente parte di un aggregato edilizio più complesso: in quest’ultimo caso rappresentava l’elemento architettonico qualificante sia in quanto primo nucleo di successive aggregazioni di corpi di fabbrica o in quanto parte di una dimora rurale o villa progettate in funzione della colombaia stessa o delle quali la colombaia costituiva, in base a precise scelte non solo architettoniche, il volume dominante.      In realtà l’allevamento di piccioni che in esse...

LA CASA DEI COLOMBI. Parte terza.

  Case, ville, torri colombaie   VII. Il cinquecento.   La seconda fase nella diffusione di torri colombaie trova un importante riscontro nell’evoluzione della normativa statutaria, a partire dalla fine del ‘400, dove, tra i testi indagati, quasi tutti riportano, nelle regioni del Centro e Nord Italia, norme molto precise sulla caccia al colombo e sulle colombaie oltreché, in alcuni casi, notizie molto rilevanti sulla loro funzione e ubicazione. Si può dire che tutti i comuni più importanti di queste regioni dispongono di regole sulla tutela dei colombi e delle colombaie, spesso anche comuni molto piccoli, dove il termine torre, associato all’allevamento dei colombi, compare molto più frequentemente rispetto agli statuti dei secoli precendenti. Per questo periodo si può affermare con certezza, vista l’abbondanza di fonti, che si tratta ancora di case torri, che seguono schemi tipologici oramai collaudati, o di ville con la torretta sopra il tetto ma, anche, di u...

LA CASA DEI COLOMBI. Parte seconda.

  Case, ville, torri colombaie   V. Ut copia et fertilitas palumborum habeatur.   Mancando un quadro cronologico preciso sulla diffusione delle torri colombaie, a partire dal basso medioevo in avanti, appare difficile tracciare un’evoluzione del fenomeno da un punto di vista temporale e allo stesso modo, mancando dati sufficienti sulla loro collocazione geografica nello stesso periodo, risulta altrettanto difficoltoso stabilire in quali zone ci fu una maggiore presenza di questi edifici. Un punto di partenza, però, è senz’altro quello che potrebbe derivare da una catalogazione delle costruzioni superstiti effettuata per zone geografiche come, ad esempio, quella pur incompleta contenuta sulla collana del C.N.R. sulle dimore rurali. Ancora, per i periodi successivi, si potrebbe attingere alla documentazione riportata dai catasti, laddove esistenti, come è stato fatto in maniera quasi sistematica per le Marche, sotto l’impulso di Sergio Anselmi, ed i cui risultati so...

LA CERAMICA DI POLLENZA. Parte sesta.

  La crisi di metà Ottocento. La decorazione in blu e in verde.               Il secondo quarto del secolo è segnato dal netto passaggio ad una nuova generazione di maiolicari. Scomparvero infatti, in poco meno di un decennio, tutti quegli uomini che alcuni anni prima avevano saputo creare, con il loro ingegno, un'industria stabile e fiorente, fonte di guadagni e di benessere per il piccolo centro della Marca.             Antonio Venanzoli morì nel 1838 e il fratello Lorenzo l'anno seguente. A questi successero nella direzione della fabbrica due dei sette figli di Antonio, Ignazio e Niccola. Felice Rosati morì nel 1840 lasciando in eredità la fabbrica ai suoi tre figli maschi Gaetano, Generoso e Giuseppe. Lo stesso anno veniva a mancare Giuseppe Ranieri mentre il fratello Francesco morì, qualche anno dopo, nel 1846. La loro fabbrica passò ai tre nipoti ex sorore ...

LA CERAMICA DI POLLENZA. Prima parte.

Introduzione      Come più volte ho avuto modo di dire o scrivere, fino ad oggi non è mai stata pubblicata una vera e propria storia della ceramica di Pollenza. Esiste certo il “Piano di Lavoro” del Boldorini, punto di partenza di tutti gli studi fino ad ora realizzati su questo argomento, ma si trattava unicamente di una serie di appunti, basati sull’ampia ricerca archivistica da lui effettuata negli anni ’40-‘50 dello scorso secolo, che non aveva però l’ambizione di definirsi una storia di questa attività. Neanche io ho mai voluto addentrarmi nell’impresa, nonostante le numerose ricerche realizzate, in quanto speravo di approfondire maggiormente l’argomento, soprattutto in relazione alla produzione delle varie fabbriche che si sono succedute nel corso dei secoli. Tuttavia sono giunto alla conclusione che sia meglio pubblicare quanto ho scritto, alcuni anni or sono, anziché lasciare tutto in un cassetto. Tale studio, sebbene costituisca una ricerca palesemente ...

Urbanistica ed Edilizia nel Territorio di Pollenza dal 1800 ad Oggi.

Disegni ed immagini del territorio prima dell’epoca contemporanea al Museo delle Memorie Patrie Pollentine.             Il presente post, che raccoglie il materiale di una conferenza, organizzata dalla locale Società Operaia e patrocinata dall’Amm.ne Comunae, tenutasi a Pollenza il 28 novembre 2010, tratta di alcune delle trasformazioni avvenute a partire dall’800 in campo urbanistico ed edilizio nel nostro comune. È il seguito di “Urbanistica ed Edilizia nel Centro Antico di Pollenza dal 1800 ad Oggi”, qui pubblicato in data 26 luglio ‘19, e tenta di raccontare alcune delle trasformazioni urbanistiche ed edilizie, le più rilevanti, avvenute extra moenia nel territorio comunale. Ciò attraverso una serie di foto e disegni, conservati per la maggior parte presso l’Archivio Storico Comunale di Pollenza, che raccontano e documentano come erano certe zone o certi edifici prima dell’epoca contemporanea.    ...

LA CERAMICA DI POLLENZA. Parte terza.

LA CERAMICA DI POLLENZA. Parte terza. Il Settecento. II      Francesco Maria Verdinelli nacque nel 1760 [1] a Monte Milone da Giuseppe Maria Verdinelli e Piera Perini. Il padre, piccolo possidente terriero [2] , lo avviò alla professione di ceramista, probabilmente già in giovane età, mandandolo a lavorare presso la fabbrica della Porta del Colle, l'unica allora esistente all'interno del territorio comunale, dove il proprietario Catervo Ferrini, non avendo avuto figli, ebbe presto modo di affezionarsi ad un giovane pieno di talento e iniziativa, fino al punto di deciderne l'adozione e di lasciargli successivamente in eredità tutti i suoi beni.      Francesco ereditò, dunque, la fabbrica appena diciottenne, insieme ad altri beni, ma con la condizione di venirne in possesso soltanto dopo la morte della vedova Marianna Crocetti [3] . Fino a quella data Francesco sarebbe dovuto restare nella condizione di lavorante stipendiato e sotto...

L'industria della ceramica in provincia di Macerata tra la fine dell'800 e gli inizi del '900.

Alcune note sull’industria della ceramica in provincia di Macerata tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900.                Ritengo interessante esporre, in queste brevi note, un quadro certamente non esaustivo dei centri di produzione di oggetti in ceramica, nella provincia di Macerata, nel periodo che va dalla fine dell’800 ai primi anni del XX secolo. Dai documenti esaminanti, due statistiche, un bollettino ed altro materiale documentario della Camera di Commercio, emerge la presenza di numerose botteghe, sparse in maniera quasi uniforme su tutto il territorio, dalla costa fino alle località montane, ed un solo centro, Pollenza, che poteva vantare la presenza di piccole fabbriche , come venivano definite all’epoca, con una produzione di una certa consistenza e qualità. Le prime occupavano da 1 a 6 lavoratori e producevano ceramica d’uso, oggetti e stoviglie ordinari in terracotta, destinata perlopiù al commercio locale. Quelle di Pollenza pr...
  Un progetto inedito di Giuseppe Valadier per Fano.                 Si conserva, presso l’Accademia di San Luca a Roma, un progetto di Giuseppe Valadier per la liscia ed i molini del tabacco presso il Ponte Astalli di Fano, costituito da una tavola a china ed acquerello, non datata e senza titolo, delle dimensioni di 288 x 441 mm [1] (fig. 1).   Fig. 1. Giuseppe Valadier. Progetto per i mulini del tabacco e la liscia presso il porto di Fano, pianta, prospetto e sezione . Roma, Accademia di San Luca, Fondo Valadier , ASL 2863. Da  http://lineamenta.biblhertz.it:8080/Lineamenta/1033478408.39/1035196181.35/1046533224.67/Sh-p0ixSc/view         Tale disegno è relativo alla zona di Fano compresa tra Porta Giulia ed il canale Albani e rappresenta un sistema per fornire forza motrice al mulino del tabacco collocato in prossimità del Ponte degli Astalli e della parte terminale del Canale...