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LA CERAMICA DI POLLENZA. Parte quarta.

   La prima generazione ottocentesca di maiolicari: gli epigoni di Francesco Verdinelli.

 


            Le fabbriche montemilonesi uscirono indenni dalla fase di stasi che caratterizzò la vita economica della regione alla fine del XVIII secolo. La stagnazione degli scambi commerciali e la scarsa circolazione di moneta che contrassegnarono questo periodo, non dovettero infatti influire più di tanto sull'andamento delle vaserie le quali anzi, sia pur lentamente, videro crescere il loro giro di affari: eccezione questa in un quadro più desolante rappresentato dalla situazione in cui versavano la maggior parte delle manifatture nei centri limitrofi. Prova evidente, come si vedrà, di una forte richiesta di prodotto il cui pregio e la cui qualità erano ben conosciuti nelle principali piazze del centro Italia e non solo. Questa singolarità può essere spiegata, a nostro avviso, considerando il particolare manufatto che, stando ai documenti, usciva dalle fornaci di Monte Milone, sicuramente non comune, la cui offerta era rivolta oramai ai ceti più agiati e non certo a quelli più poveri sui quali la crisi economica si era abbattuta con maggiore veemenza. Questa tendenza non si invertì neanche negli anni seguenti, quelli della Prima Restaurazione o, successivamente, durante il periodo napoleonico quando le attività manifatturiere della Marca, che nel secolo passato erano riuscite a sopravvivere all'ombra dei privilegi governativi, «appaiono gravemente compromesse dalle vicende degli ultimi venti anni e specialmente del periodo italico, allorché la regione è duramente colpita, col blocco continentale, dall'esclusione del Mediterraneo orientale dai grandi sviluppi dell'Europa occidentale e vede accentuarsi, con l'intero Stato pontificio, il ruolo di fornitrice di materie prime e di generi agricoli»[1]. Ciò non avvenne certo per Monte Milone, la cui economia dipendeva essenzialmente dall'esportazione della maiolica, prodotto che, peraltro, doveva essere molto apprezzato per la sua qualità.

            La morte di Francesco Verdinelli segnò infatti l'inizio di una nuova fase nelle vicende delle fabbriche montemilonesi. Le sue esperienze, arricchitesi anche, come abbiamo visto, con l'apporto di influenze esterne alla tradizione del paese, vennero raccolte da alcuni vasai che lavorarono sotto la sua direzione oltre che dai suoi eredi diretti. Cessata pertanto la validità della privativa pontificia, tutte le potenzialità economiche ed artistiche, insite nell'industria ceramica locale, poterono liberarsi e dare l'avvio a quello che potremmo definire "il periodo d'oro" della produzione. Sia per l'alto grado di perfezione tecnica raggiunto, che consentì ai nostri maiolicari di esprimersi in un repertorio molto vasto di forme e decorazioni a secondo o a terzo fuoco, sia per i notevoli risultati dal punto di vista del commercio, i cui benefici non si limitarono ad influenzare un ambito territoriale limitato, come quello gravante intorno al piccolo centro della Marca, ma si estesero ben oltre, fino lambire, come vedremo, interessi economici ben più vasti.

            Ha così inizio, agli albori del secolo XIX, un'intensa attività produttiva, che giungerà al suo apice intorno al 1820-1830, ed il cui livello non verrà mai più raggiunto da nessun'altra fabbrica del luogo, se si eccettua la felice parentesi di Giovanni Venanzoli che, qualche decennio più tardi, riuscirà in parte ad eguagliare i risultati dei suoi illustri predecessori.

            È in questo periodo che venne a costituirsi quell'assetto delle fabbriche che, salvo poche eccezioni, resterà invariato fino agli inizi del '900. I fratelli Francesco e Giuseppe Ranieri lasciarono la fabbrica della Porta del Colle dopo il 1803 per fondarne una nuova nel quartiere di S. Maria, in via del Vicinato Lungo. Contemporaneamente, un altro lavorante già alle dipendenze del Verdinelli, Felice Rosati, rilevò la fabbrica della Porta del Colle prendendola in affitto dagli eredi Verdinelli e successivamente, nel 1807, acquistò l'immobile, in via del Borgo, dove aveva avuto sede la vaseria del Caprari.

            La situazione all'indomani della morte del Verdinelli ci è nota attraverso una coeva testimonianza scritta di Domenico Assortati che, in uno dei suoi diari, parla così delle botteghe e dei loro proprietari: … presentemente sono tré, le quali fanno a gara di sorpassarsi l'una con l'altra. Dopo la morte del Sig. Francesco Verdinelli, il quale veramente lavorava, e teneva lavoranti buoni tanto nella majolica bianca, che dipinta, che era l'unico in Provincia, è ora subbentrato in sua vece il Sig. Antonio Venanzoli stato prima Lavorante del suddetto Verdinelli, il quale procurato ha d'imitare il suddetto.

            Vi è anche un certo Francesco Ranieri, il quale ha aperta nuova Bottega, e lavora al pari del suddetto Venanzoli. Per l'infima si pone la Bottega di Felice Rosati, il quale tiene a nolo la Bottega del Suddetto Verdinelli, ma non si può confrontare con i suddetti per il motivo delle Vasa più belle, e nella pittura, e nel bianco, ma ciò non ostante ha dello smercio, e spesa molte famiglie anche questi. I suddetti sono stati tutti Lavoranti del ridetto Sig. Verdinelli, mentre dopo la sua morte, gli eredi dovettero chiudere, e lasciare il negozio, e perché il suo figlio Giovanni non vuolle attenderci, e perché furono anche mal consigliati, per cui si sono ridotti in grande miseria, vivendo a stento giornalmente[2].

            Quanto alla fondazione della fabbrica dei fratelli Francesco e Giuseppe Ranieri, ci si imbatte nella difficoltà di non avere un atto notarile che documenti il periodo in cui venne acquistato o affittato l'immobile. Basandoci ancora su quanto asserito dall'Assortati e su uno scritto del Corona [3], Francesco aveva lavorato dal Verdinelli ed è presso la sua fabbrica che si formò come maiolicaro. Questa circostanza potrebbe essere avvalorata dal fatto che la sorella, Rosa Ranieri, sposò uno dei pittori della fabbrica Verdinelli Ferrini, Pietro Bianchedi[4]: ciò a dimostrazione di un rapporto di stima o di amicizia che poteva essersi formato quando i Ranieri erano ancora lavoranti presso Francesco Verdinelli, visto che il matrimonio risale a prima della morte di quest'ultimo avvenuta nel 1803.

            Una prima data certa dell'esistenza della vaseria dei Ranieri viene da una Statistica del 1808, relativa al triennio 1806 - 1808, dalla quale apprendiamo che la fabbrica di Gianfrancesco Ranieri era attiva con un lavorante, che è il proprietario un pittore à smalto tre operai[5].

            Ancora, sugli esordi della fabbrica, possiamo trarre alcune utili informazioni dal manoscritto dell'Assortati:            I ... Fratelli Ranieri son Figli delli conjugi Antonicola Ranieri e Maria .... Dal matrimonio di essi Conjugi Ranieri sono, Rosa maritata con un tal Pietro Bianchedi di Faenza, quà capitato a dipingere le Vasa nella Bottega Verdinelli, ed hanno una buona figliolanza. Antonia Consorte di Tommaso Piccioni Archibugiere, e bravo lavorante di forno, .... Il Canonico Don Gioacchino dopo esser stato tenuto in Seminario di Macerata ... ajuta i suoi Fratelli nel negozio della Vasaria col far delle forme, ed altro occorrente. Ha fatti tre grandi Crocifissi, due dei quali si vedono nell'Oratorio novellamente eretto ... Il detto Francesco dopo che riunissi colli suoi Fratelli attendendo al Detto negozio di Vasaria, ha fatto delli molti acquisti anche in terreni, ed al presente ha una buona entrata.[6]

            Dei due crocifissi presenti nell'ex oratorio di S. Antonio Abate a Pollenza ne resta fortunatamente uno (Foto 1), ora custodito nei locali dove ha sede la Confraternita del Preziosissimo Sangue che ne è, come all'epoca dell'Assortati, ancora proprietaria.

Foto 1. Crocifisso in terracotta verniciata a freddo. Monte Milone, Don Gioacchino Ranieri, Fabbrica Ranieri, 1823 circa. Pollenza, sede della Confraternita del Preziosissimo Sangue.


            Un'altra attribuzione certa nell'ambito della produzione in maiolica delle fabbriche montemilonesi degli inizi del XIX, è un interessante centro pavimentale tuttora esistente in una casa ubicata nel quartiere di S. Maria, proprio di fronte a quella che fu la fabbrica dei fratelli Ranieri[7].

Foto 2. Cento pavimentale in maiolica, dim. 265 x 265 cm. Monte Milone, fine sec. XVIII, inizi XIX. Collezione Privata. Particolare del riquadro centrale con il paesaggio.

            Esso è composto da un paesaggio (Foto 2), che rappresenta la foce di un fiume, con un ponte, un torrione, alcune barche e la campagna circostante, dove appaiono alcune scene agresti con due contadini intenti nel loro lavoro (in basso al centro), due carri trainati da buoi (in basso a sinistra), ed altri buoi al pascolo (più in alto a destra). La gamma cromatica di questa scena centrale va dal giallo, all'azzurro, al verde, ocra e marrone. Fanno da cornice due riquadri neri con interposta una teoria di piastrelle a fondo bianco e decorazioni fitomorfiche in verde e in blu. Completano il centro pavimentale due altre cornici più esterne: quella intermedia consta di una serie di piastrelle rotonde, decorate anch'esse a paesaggi (Foto 3), mentre sulla perimetrale troviamo gli stessi motivi fitomorfici su fondo bianco di quella del paesaggio centrale.

 



 

Foto 3. Cento pavimentale in maiolica. Monte Milone, fine sec. XVIII, inizi XIX sec. Piastrelle circolari nella cornice intermedia.



            Non crediamo possa essere messa in dubbio l'attribuzione di questo pavimento ad una delle quattro fabbriche esistenti a Monte Milone nel primo quarto del XIX secolo. Non tanto perché difficilmente l'anonimo committente dell'opera si sarebbe rivolto ad altri centri, quali ad esempio Castelli o Ascoli[8], con la produzione presente in paese ma, soprattutto, perché di recente, a seguito di lavori di restauro dell'immobile, il pavimento è stato staccato e ricollocato in situ: il suo letto di posa risultava composto, oltre che di malta di calce, di numerosi scarti di fornace di piastrelle simili a quelle in vista e da numerosi frammenti di muffole da piccolo fuoco con delle scolature, cotte in fornace, dello stesso smalto cilestrino usato per il pavimento (Foto 5).

Foto 4. Cento pavimentale in maiolica. Monte Milone, fine sec. XVIII, inizi XIX sec. Piastrella angolare.


Foto 5. Scarti di fornace rinvenuti sotto il centro pavimentale in maiolica.



Nella stessa casa erano presenti i piatti murati e i balaustri della scala rappresentati nelle foto d’epoca delle foto 6 e 7.

Foto 6. Piatti murati sui parapetti delle finestre della stanza con il centro pavimentale. La foto è stata realizzata intorno al 1940 dal Pittore Giuseppe Fammilume ed è conservata presso l’Archivio Comunale di Pollenza, A.C.M.P, Busta "Ceramica".


Foto 7. Balaustri della scala nella casa con il centro pavimentale. La foto è stata realizzata intorno al 1940 dal Pittore Giuseppe Fammilume ed è conservata presso l’Archivio Comunale di Pollenza, A.C.M.P, Busta "Ceramica".



            Un elemento decorativo che doveva caratterizzare la produzione a secondo fuoco di questo periodo è quello a filettature in blu. Lo ritroviamo nel vassoietto centinato della foto 8 che, oltre alle decorazioni a secondo fuoco, presenta alcune parti realizzate con colori a smalto applicate a completamento del disegno sottostante. In questo caso, alle caratteristiche filettature in blu si associa una composizione, riccamente policroma, nella quale un cartiglio rocaille in giallo, blu, e fondo verde ramina e celeste, interamente realizzato a gran fuoco, è contornato da composizioni floreali. Quella in basso, consistente in due ramoscelli fioriti, presenta i petali in blu, gli steli in bruno di manganese e le foglie in un verde ramina molto tenue ravvivato da alcune pennellate di colore verde a smalto, dato quindi in una terza cottura dell'oggetto. Il medesimo discorso vale per le foglie dell'altra composizione, a festoni, dove il colore a smalto compare anche nei petali dei due fiori ocracei. Lo stesso tipo di composizione floreale e tecnica appaiono nella decorazione delle quattro piastrelle angolari, adiacenti alla cornice nera interna, del centro pavimentale sopra esaminato (Foto 4) tanto da indurci a credere che siano attribuibili allo stesso anonimo pittore.

Foto 8. Vassoietto in maiolica policroma decorato in seconda e terza cottura (con colori a smalto), dim. 27 x 18,5 cm. Monte Milone, fine sec. XVIII, inizi XIX sec. Pollenza, Museo Comunale. L’oggetto proviene dall’Oratorio di San Francesco Saverio, come all’epoca era denominato un edificio di culto tuttora esistente lungo via Roma nel centro storico del Comune.



            La situazione degli opifici agli albori del secolo è ben illustrata dalla statistica del 1808  (Figura 9) dove appaiono quattro fabbriche di maiolica attive nel comune di Monte Milone. L'importante documento, oltre alla situazione economica negli anni 1806, 1807 e 1808, testimonia una caratteristica fondamentale degli stessi, ovvero quella di disporre, nella quasi totalità, di un pittore a smalto per la decorazione delle maioliche. Conferma inequivocabile della permanenza di una tradizione, instauratasi nel terzo quarto del XVIII secolo presso la fabbrica della Porta del Colle, la quale continuò per opera di quei vasai che qui l'appresero e contribuirono a perfezionarla. Le quattro fabbriche che figurano nel quadro statistico, inviato dal Podestà di Monte Milone al Prefetto del Musone in data 5 settembre 1808, sono quella dei fratelli Lorenzo ed Antonio Venanzoli, che subentrarono nella direzione al padre Luigi prima che questi morisse, quella di Giovanni Verdinelli[9], quella di Gianfrancesco Ranieri e, infine, quella di Felice Rosati, l'unica a non disporre di un pittore a smalto. Gli uomini impiegati nelle manifatture risultavano essere 28 in tutto e, relativamente alle notizie sull'andamento economico nel 1806-1807, possiamo leggere che Poca differenza si ravvisa fra l'uno e l'altro anno, mentre per il 1808 l'attività sperimenta decremento perché non trovano Piombi, e stagno, e non hanno gran smercio per la scarsezza di moneta.

Figura 9. Statistica Minerale del 1808. Quadro con la situazione delle fabbriche negli anni 1806-1807 (su concessione del Min. Beni e Attività Culturali – Diritti Riservati).


            Da un'altra statistica, datata 1809, apprendiamo ulteriori notizie sulla produzione e sul suo smercio: Le manifatture principali della Comune si riducono in quattro Fabriche di Maioliche colorate, e minate a smalto, le quali Fabriche lavorano anche vasellami inferiori... Si trasportano dette Manifatture non solo nelle limitrofe Comuni, e nelle principali dei tre Dipartimenti, ma anche fuori di Stato. La quantità precisa non può determinarsi, perché giammai non se ne è fatto intro l'anno alcun calcolo; bensì può motivarsi, che da queste manifatture ritraggono la necessaria sussistenza moltissime Famiglie le più bisognose... Vengono introitate nella Comune... Legnami, Piombi, Stagni, e Colori... In quanto alle Fabriche di Maioliche sarrebbero da incoragire, quante le volte l'introduzione de Piombi, Stagni, e Minerali indispensabili articoli per la manifatture delle medesime si potesse ottenere con risparmio minore di Dazi, e si togliesse la difficcoltà di averli, come ancora se fosse facile lo smercio de lavori stessi, ciò che ora non accade per la deficienza del numerario[10].

            La differenziazione operata nel documento fra maiolica colorata e quella miniata a smalto costituisce una prova evidente delle due diverse produzioni presenti nelle fabbriche: tradizionale la prima, ovvero a gran fuoco, e frutto di influenze esterne la seconda, quella cioè decorata a piccolo fuoco.

            È molto difficile, allo stato attuale delle conoscenze, tracciare un quadro abbastanza completo dei caratteri che contraddistinguono la produzione in questi anni la quale, come dimostrano i documenti fin qui esaminati o quelli che avremo modo di vedere più avanti, era non solo molto copiosa, ma anche di un livello qualitativo abbastanza elevato dovuto, come sappiamo, alle decorazioni a smalto con le quali almeno tre vaserie, sulle quattro esistenti, potevano impreziosire le loro maioliche. L'utilizzo di questa tecnica permarrà, nella produzione di maiolica montemilonese, almeno fino a quando fu attiva la prima generazione ottocentesca di maiolicari e sicuramente fino al 1825, come si legge in un documento di quell'anno nel quale Antonio Venanzoli dichiara di fabbricare Maioliche si bianche, che colorate, e miniate, ovvero decorate con colori a smalto[11].

            Relativamente alla produzione degli inizi del XIX sec. si deve ricordare, ancora, lo studio di Erika Terenzi del 1998 dove vengono individuati, per la prima volta, alcuni oggetti ed alcune tipologie di decori realizzati dalle nostre fabbriche[12]: «All’interno della produzione montemilonese si assiste nel tempo ad una graduale evoluzione iniziata nel secolo XVIII … avvicinandosi sempre più al definitivo gusto neoclassico: da una forma fortemente barocca, ad una più geometrica … fino alle lineari caffettiere ginoriane. Anche la rosa montemilonese subisce delle trasformazioni: la briosa rosa settecentesca cede il posto ad una di iniziale ispirazione ginoriana che negli anni, pur mantenendo quest’indole, verrà modificata, personalizzata e riprodotta con la sua ricorrente tipologia, in tutte le decorazioni del XIX secolo; l’ovoidale rosa settecentesca, si evolve in una ogivale, esasperando la sua iniziale forma e natura». Un altro esempio «il tipico garofano settecentesco … caratterizzato da un petalo appassito che si interseca ad un altro, disegnando una V. Questo particolare fiore … è presente anche nelle successive composizioni floreali seguite dai maiolicari del XIX secolo nella realizzazione del tipico bouquet ottocentesco». Di questa particolare produzione riporto, a titolo esemplificativo, alcuni oggetti rappresentati nelle foto 10, 11 e 12.

Foto 10. Caffettiera in maiolica. Monte Milone, inizi XIX sec. Tolentino, Museo del Convento Agostiniano di San Nicola. La forma richiama esempi ginoriani ed è decorata con il bouquet alla rosa ogivale ed il garofano tipico della produzione in questo periodo.


Foto 11. Albarello in maiolica. Monte Milone, inizi XIX sec. Collezione Privata. È decorata con il bouquet alla rosa ogivale ed il garofano tipico della produzione in questo periodo. Il cartiglio presenta la scritta Conserva di Cedro.


Foto 12. Caffettiera in maiolica. Monte Milone, inizi XIX sec. Mercato antiquario. La forma richiama esempi ginoriani ed è decorata con il bouquet alla rosa ogivale con il tulipano che ripete un modello già presente nella produzione di fine ‘700. https://wannenesgroup.com/wp-content/uploads/cssas/lotimages/hd/01891_0315_.jpg


            Continuando ora l'esame di questo periodo, particolarmente ricco di fonti archivistiche, dobbiamo citare un'altra statistica relativa agli anni 1811-1812, che fornisce altri importanti elementi. Innanzitutto una crescita economica, in quanto il numero di operai impiegato nelle fabbriche passa dalle 28 unità del 1808 alle 36 del 1812[13]. Oltre a ciò il documento ci informa che il numero delle vaserie si era ridotto a tre per la chiusura momentanea di quella degli eredi Verdinelli, sino al 1816, anno in cui venne riaperta da Serafino, figlio minore di Francesco: eccezione questa in un quadro economico generale sostanzialmente stabile nel quale le altre fabbriche, al contrario, si caratterizzarono per una crescita costante e per un relativo benessere economico[14].

            Francesco Verdinelli morì il 3 febbraio 1803[15]. Dal suo testamento nuncupativo, dettato al notaio Giuseppe Maria Lisi poche ore prima di morire, risultano eredi i tre figli maschi Giovanni, Tommaso, Serafino e la moglie Marianna usufruttuaria. Nello stesso atto il testatore nominò pure quest'ultima, insieme al padre Giuseppe, come tutori e curatori dei tre figli minorenni[16]. L'anno successivo, il 15 gennaio, Giuseppe Verdinelli, oramai infermo e giacente in letto dettò le sue ultime volontà e dispose che, constatata l'abilità e fedeltà dell'altro suo figlio Antonio nel negozio di majolica ordina, e commanda che il medesimo assieme con la signora Marianna vedova relitta del fu Francesco Verdinelli altro Figlio premorto, abbia l'amministrazione generale in detto negozio ... e ciò sino all'età maggiore di qualcuno di detti suoi nipoti[17]. L'attività di Antonio Verdinelli come direttore della fabbrica della Porta del Colle non dovette durare più di qualche mese poiché, come sappiamo, questa venne ceduta in affitto al Rosati. Soltanto intorno al 1806 Giovanni, giunto oramai alla maggiore età, poté prendere la direzione della fabbrica che tornò così sotto il pieno possesso della famiglia Verdinelli.

            In questo periodo iniziò anche il lento ed inesorabile declino della vaseria i cui affari, dopo la morte di Francesco, non dovettero andare molto bene se, come testimonia un atto notarile del 1807, Giuseppe, ancora vivente, fu costretto alla vendita di un credito fruttifero del valore di 62 scudi e 50 bajocchi onde pagarci alcuni debiti Secchi, che ha dovuto contrarre con diverse persone per il mantenimento della sua Famiglia, e Negozio di Vaseria[18].

            Nonostante dalla statistica del 1808 appaia una situazione sostanzialmente simile a quella delle altre, sia da un punto di vista economico che per il numero di dipendenti, tre lavoranti, un pittore a smalto e quattro operai[19], la fabbrica Verdinelli si avviò verso una crisi che la portò alla chiusura intorno al 1810[20]. Questo periodo di inattività durò circa sei anni dopodiché nel 1816 Giovanni, in qualità di proprietario nonché di curatore dei due fratelli minori, vendette una casa con un piccolo terreno annesso contiguo alla vaseria con la riserva della strada intorno a detta Casa, che porta in detta Vaseria, cioè a mezzogiorno, ed il picciolo spazio in uso dell'espanzione delle coccie per la somma di 100 scudi con lo scopo di servirsene per riaprire la Fabrica della Majolica, e per impiegare in detta Fabrica Serafino Fratello minore, che si trova senza mezzi d'impiegarsi con vantaggio[21].

            Le vicende della vaseria in questi anni mostrano un andamento anomalo rispetto a quello delle altre che, lo abbiamo visto nelle pagine precedenti, stavano attraversando un momento estremamente florido. Non sappiamo spiegarci a fondo il perchè di questa eccezione, proprio nel momento d'oro della produzione, per la quale la più antica e rinomata delle fabbriche imboccò il cammino di un lento declino che la porterà, pochi anni dopo e nonostante l'impegno che vi profusero i proprietari, al fallimento economico. Certo è che mancò agli eredi Verdinelli l'apporto di quegli uomini di cui aveva potuto disporre il padre, fra i quali gli stessi che alla morte di Francesco iniziarono una propria attività o coloro che, dopo la chiusura del 1810, se ne andarono a lavorare in altri opifici del paese. Riaprire una fabbrica di maioliche dopo 6 anni di inattività significava soprattutto una difficile ricostruzione del patrimonio di esperienze artistiche e di risorse umane oramai irrecuperabile, tanto da indurci a credere che buona parte dei motivi che determinarono questa situazione stava nella qualità del prodotto non più in grado di competere con quello delle altre fabbriche.

            In effetti gli anni che seguirono videro sempre più affievolirsi la vitalità della Vaseria che oramai, lungi dall'essere una fonte di guadagno, costringeva piuttosto i proprietari ad indebitarsi sempre più ed a dismettere persino i propri capitali per il suo mantenimento[22]. Si arrivò così nel gennaio 1828 a gravare di un'ipoteca, per 150 scudi, lo stesso immobile dove aveva sede la fabbrica e, poco tempo dopo, schiacciati dai debiti, i tre fratelli si trovarono costretti a venderlo per appianare la loro disastrosa situazione economica[23].

            L'atto di compravendita, rogato in data 16 maggio 1828, ci informa che l'acquirente era un certo Antonio Fedeli, medico condotto del paese, il quale acquistò la fabbrica, insieme agli attrezzi in essa contenuti e ai macinetti da colori sul fiume Potenza, per la somma di 550 scudi[24]. Sappiamo, tuttavia, che lo stesso era anche il suocero di Serafino e che, pertanto, l'acquisto della fabbrica fu soltanto una mossa che avrebbe salvato la figlia e i suoi familiari da una difficile situazione economica, tanto che la direzione della vaseria rimase stabilmente nelle mani del genero il quale, una volta appianati i propri debiti e quelli dei suoi fratelli, poté continuare per parecchi anni ancora la propria attività di maiolicaro.

            Poche le notizie sulla famiglia Verdinelli negli anni successivi[25]. I documenti tacciono almeno fino al 1848 quando la fabbrica viene nominata in una statistica dello stesso anno[26]. Nel 1849 troviamo il nome di Serafino Verdinelli nell'Elenco a Stampa dei Commercianti della Provincia di Macerata[27], mentre nel 1850, in un Ruolo dei Contribuenti per la Tassa di Esercizio delle Arti[28], viene citato come fabbricante di mezza maiolica e maiolica ordinaria con lavoranti tre e un capitale di scudi 140. Risulta evidente la differenza tra questo numero di dipendenti e quello del 1830. Ciò è ovviamente attribuibile alla crisi economica che colpì questa, come le altre fabbriche, intorno alla metà del secolo. Il difficile momento per gli opifici montemilonesi determinò l'abbandono dell'attività, da parte del Verdinelli, che avvenne dopo il 1853, quando nei documenti ancora viene definito "fabbricante", o comunque prima del 1857, in quanto il suo nome non compare più fra quelli degli altri maiolicari nel Ruolo dei Contribuenti dello stesso anno[29].

            A questa ultima fase della produzione della fabbrica Verdinelli appartiene la lampada in maiolica della foto 13, unico pezzo attribuibile con certezza alla fabbrica sotto la direzione di Serafino e la Moglie, che riporta sulla bocca la seguente dicitura: Aloisia Verdinelli Fecit 1851 per il Comune di S. Elpidio.

Foto 13a. Lampada in maiolica policroma, h cm 29, ø cm 21, Monte Milone, Aloisia Fedeli, Fabbrica Verdinelli, 1851. Proprietà Comune di S. Elpidio a Mare (AP). Attualmente conservata nei locali del Municipio, faceva parte dell'arredo della Chiesa dei Cappuccini (sec. XVII) presso il Cimitero Comunale.


Foto 13b. Bocca della lampada con la scritta Aloisias Verdinelli S. Elpidio a Mari l'anno 1851 Fecit.



            Infatti, nel 1846, Antonio Fedeli aveva ceduto l'immobile della vaseria alla figlia Luigia, e per essa accettante il Signor Serafino Verdinelli[30], in parziale liquidazione della dote. Qualche anno dopo, il 31 dicembre 1853, i coniugi Verdinelli decisero di vendere il fabbricato a Vincenzo Moroni, un possidente montemilonese, per la somma di 450 scudi circa[31].

 Segue ...


[1] D. Fioretti, Persistenze e mutamenti..., cit., p. 83.

[2] Il testo è contenuto in un foglio manoscritto di D. Assortati, residuo di uno dei suoi diari, conservato presso l'Archivio della "Corporazione del Melograno" di Pollenza con il n. 68 di protocollo.

[3] G. Corona, La Ceramica, Esposizione Industriale Italiana del 1881 a Milano. Relazione dei Giurati, Milano 1885, pp. 73-74.

[4] La famiglia Bianchedi, originaria di Faenza, è presente a Monte Milone già da prima del 1794 quando, in un atto notarile si nomina Pietro del fu Antonio Bianchedi da Faenza abitante da più anni in questa Terra di Monte Milone. A. S. Macerata, Notarile di Macerata, vol. 4480.

[5] A. S. Macerata, Dipartimento del Musone, b. 22.

[6] D. Assortati, Notizie..., cit., cc. 34v-35.

[7] Sull'ubicazione delle fabbriche in ambito urbano cfr. A. Nardi, M. T. Stura, Le Fabbriche nel Contesto Urbano di Monte Milone, in A. Valentini (a cura di), La Ceramica …, cit., pp. 17-21.

[8] Non possiamo sottacere le evidenti affinità dei paesaggi presenti nel pavimento, o del vassoietto della foto **, con quelli attribuiti alla manifattura Paci di Ascoli Piceno quali, ad esempio, quelli conservati presso La Pinacoteca Civica di Ripatransone. Cfr. al riguardo S. Papetti, Maioliche e terraglie in Ascoli Piceno, in G. C. Bojani (a cura di), Fatti di Ceramica nelle Marche, Milano 1997, pp. 225-228 o, dello stesso autore, Ascoli Piceno. Pinacoteca Civica. Disegni, maioliche, porcellane, Bologna 1995. Relativamente a queste o anche altre affinità fra la produzione ascolana e quella montemilonese riteniamo si dovrà far luce con maggiore chiarezza, anche sulla base di ulteriore documentazione che allo stato attuale non si ha a disposizione. Tuttavia possiamo in questa sede limitarci a rilevare come, secondo il Papetti, nei paesaggi ascolani sia completamente assente la figura umana a differenza del pavimento in questione dove questa compare in gran copia.

[9] Era il figlio primogenito di Francesco Verdinelli.

[10] A. S. Macerata, Dipartimento del Musone, b. 127.

[11] A. S. Roma, Camerlengato parte II, b. 35.

[12] Erika Terenzi, La maiolica …, cit., pag. 76 e segg.

[13] A. S. Macerata, Dipartimento del Musone, b. 124.

[14] Tutto questo è dimostrato, ad esempio, dai numerosi investimenti in case e terreni effettuati dai fabbricanti, come si riscontra da diversi rogiti notarili. Così, ad esempio in A.S. Macerata, Notarile di Treia, voll. 1172, 1269, 1271, 1280, 1281, 1282, 1285, 1286, 1288, 1289, 1291, 1310, 1312, 1314, 1820.

[15] La data risulta dal Registro dei Morti dell'Archivio Parrocchiale e Capitolare della Collegiata di San Biagio in Pollenza.

[16] A.S. Macerata, Notarile di Macerata, vol. 4675.

[17] Ibidem.

[18] Ibidem, Notarile di Treia, vol. 1279.

[19] A.S. Macerata, Dipartimento del Musone, b. 22.

[20] Questa data si deduce dal fatto che nella Statistica del 1809 risultavano attive quattro fabbriche mentre, in quella degli anni 1811-1812 ne risultano attive soltanto tre. Cfr. supra.

[21] A.S. Macerata, Notarile di Macerata, vol. 5180.

[22] In questo senso possono parlare, ad esempio, alcuni atti nei voll. 1269 e 1284 del Notarile di Treia.

[23] A.S. Macerata, Notarile di Treia, vol 1269.

[24] Ibidem, vol. 1313.

[25] Sappiamo comunque da un 'elenco degli occupati nelle fabbriche del 1830 che la fabbrica si avvaleva, in quell'anno, di 20 dipendenti. A.S. Macerata, Delegazione Apostolica, b. 866.

[26] A.S. Macerata, Delegazione Apostolica, b. 1358.

[27] Ibidem, b. 1371, f. 1.

[28] Ibidem, b. 959.

[29] Ibidem, b. 1482.

[30] A.S. Macerata, Notarile di Treia, vol. 1394.

[31] Ibidem.

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Più seguiti

Urbanistica ed Edilizia nel Centro Antico di Pollenza dal 1800 ad Oggi.

Disegni ed immagini del centro antico prima dell’epoca contemporanea al Museo Comunale di Pollenza [1] .         Possiamo affermare con certezza che tutte le trasformazioni urbanistiche ed edilizie avvenute negli ultimi due secoli nel centro antico di Pollenza risultano documentate. Di quasi tutto ciò che è scomparso, o si è trasformato, nel tessuto edilizio originario, possediamo una documentazione costituita da foto o disegni, per la maggior parte raccolti dal pittore pollentino Giuseppe Fammilume, o da progetti originali di edifici pubblici ed altro materiale relativo alla loro costruzione appartenenti all’Archivio Storico Comunale [2] . È quindi possibile una ricostruzione completa di tutte le trasformazioni urbanistiche ed edilizie che hanno riguardato l’agglomerato urbano all’interno delle mura castellane anche ricorrendo ad una mappa catastale degli inizi dell’800 [3] che, tuttavia, rappresenta molto bene anche la situazione nell’ultimo qua...

LA CASA DEI COLOMBI. Parte prima.

  Case, ville, torri colombaie   I. Introduzione [1]        Se esiste un tipo di edificio che ha sempre esercitato in me un fascino particolare questo è sicuramente la casa – torre – colombaia [2] . Questo tipo di costruzione rappresenta senza dubbio una delle espressioni più interessanti dell’architettura rurale anche se, paradossalmente, in pochi conoscono la sua reale funzione. Era essenzialmente un fabbricato per l’allevamento dei piccioni formato da una torre isolata o facente parte di un aggregato edilizio più complesso: in quest’ultimo caso rappresentava l’elemento architettonico qualificante sia in quanto primo nucleo di successive aggregazioni di corpi di fabbrica o in quanto parte di una dimora rurale o villa progettate in funzione della colombaia stessa o delle quali la colombaia costituiva, in base a precise scelte non solo architettoniche, il volume dominante.      In realtà l’allevamento di piccioni che in esse...

LA CASA DEI COLOMBI. Parte terza.

  Case, ville, torri colombaie   VII. Il cinquecento.   La seconda fase nella diffusione di torri colombaie trova un importante riscontro nell’evoluzione della normativa statutaria, a partire dalla fine del ‘400, dove, tra i testi indagati, quasi tutti riportano, nelle regioni del Centro e Nord Italia, norme molto precise sulla caccia al colombo e sulle colombaie oltreché, in alcuni casi, notizie molto rilevanti sulla loro funzione e ubicazione. Si può dire che tutti i comuni più importanti di queste regioni dispongono di regole sulla tutela dei colombi e delle colombaie, spesso anche comuni molto piccoli, dove il termine torre, associato all’allevamento dei colombi, compare molto più frequentemente rispetto agli statuti dei secoli precendenti. Per questo periodo si può affermare con certezza, vista l’abbondanza di fonti, che si tratta ancora di case torri, che seguono schemi tipologici oramai collaudati, o di ville con la torretta sopra il tetto ma, anche, di u...

LA CASA DEI COLOMBI. Parte seconda.

  Case, ville, torri colombaie   V. Ut copia et fertilitas palumborum habeatur.   Mancando un quadro cronologico preciso sulla diffusione delle torri colombaie, a partire dal basso medioevo in avanti, appare difficile tracciare un’evoluzione del fenomeno da un punto di vista temporale e allo stesso modo, mancando dati sufficienti sulla loro collocazione geografica nello stesso periodo, risulta altrettanto difficoltoso stabilire in quali zone ci fu una maggiore presenza di questi edifici. Un punto di partenza, però, è senz’altro quello che potrebbe derivare da una catalogazione delle costruzioni superstiti effettuata per zone geografiche come, ad esempio, quella pur incompleta contenuta sulla collana del C.N.R. sulle dimore rurali. Ancora, per i periodi successivi, si potrebbe attingere alla documentazione riportata dai catasti, laddove esistenti, come è stato fatto in maniera quasi sistematica per le Marche, sotto l’impulso di Sergio Anselmi, ed i cui risultati so...

LA CERAMICA DI POLLENZA. Parte sesta.

  La crisi di metà Ottocento. La decorazione in blu e in verde.               Il secondo quarto del secolo è segnato dal netto passaggio ad una nuova generazione di maiolicari. Scomparvero infatti, in poco meno di un decennio, tutti quegli uomini che alcuni anni prima avevano saputo creare, con il loro ingegno, un'industria stabile e fiorente, fonte di guadagni e di benessere per il piccolo centro della Marca.             Antonio Venanzoli morì nel 1838 e il fratello Lorenzo l'anno seguente. A questi successero nella direzione della fabbrica due dei sette figli di Antonio, Ignazio e Niccola. Felice Rosati morì nel 1840 lasciando in eredità la fabbrica ai suoi tre figli maschi Gaetano, Generoso e Giuseppe. Lo stesso anno veniva a mancare Giuseppe Ranieri mentre il fratello Francesco morì, qualche anno dopo, nel 1846. La loro fabbrica passò ai tre nipoti ex sorore ...

LA CERAMICA DI POLLENZA. Prima parte.

Introduzione      Come più volte ho avuto modo di dire o scrivere, fino ad oggi non è mai stata pubblicata una vera e propria storia della ceramica di Pollenza. Esiste certo il “Piano di Lavoro” del Boldorini, punto di partenza di tutti gli studi fino ad ora realizzati su questo argomento, ma si trattava unicamente di una serie di appunti, basati sull’ampia ricerca archivistica da lui effettuata negli anni ’40-‘50 dello scorso secolo, che non aveva però l’ambizione di definirsi una storia di questa attività. Neanche io ho mai voluto addentrarmi nell’impresa, nonostante le numerose ricerche realizzate, in quanto speravo di approfondire maggiormente l’argomento, soprattutto in relazione alla produzione delle varie fabbriche che si sono succedute nel corso dei secoli. Tuttavia sono giunto alla conclusione che sia meglio pubblicare quanto ho scritto, alcuni anni or sono, anziché lasciare tutto in un cassetto. Tale studio, sebbene costituisca una ricerca palesemente ...

Urbanistica ed Edilizia nel Territorio di Pollenza dal 1800 ad Oggi.

Disegni ed immagini del territorio prima dell’epoca contemporanea al Museo delle Memorie Patrie Pollentine.             Il presente post, che raccoglie il materiale di una conferenza, organizzata dalla locale Società Operaia e patrocinata dall’Amm.ne Comunae, tenutasi a Pollenza il 28 novembre 2010, tratta di alcune delle trasformazioni avvenute a partire dall’800 in campo urbanistico ed edilizio nel nostro comune. È il seguito di “Urbanistica ed Edilizia nel Centro Antico di Pollenza dal 1800 ad Oggi”, qui pubblicato in data 26 luglio ‘19, e tenta di raccontare alcune delle trasformazioni urbanistiche ed edilizie, le più rilevanti, avvenute extra moenia nel territorio comunale. Ciò attraverso una serie di foto e disegni, conservati per la maggior parte presso l’Archivio Storico Comunale di Pollenza, che raccontano e documentano come erano certe zone o certi edifici prima dell’epoca contemporanea.    ...

LA CERAMICA DI POLLENZA. Parte terza.

LA CERAMICA DI POLLENZA. Parte terza. Il Settecento. II      Francesco Maria Verdinelli nacque nel 1760 [1] a Monte Milone da Giuseppe Maria Verdinelli e Piera Perini. Il padre, piccolo possidente terriero [2] , lo avviò alla professione di ceramista, probabilmente già in giovane età, mandandolo a lavorare presso la fabbrica della Porta del Colle, l'unica allora esistente all'interno del territorio comunale, dove il proprietario Catervo Ferrini, non avendo avuto figli, ebbe presto modo di affezionarsi ad un giovane pieno di talento e iniziativa, fino al punto di deciderne l'adozione e di lasciargli successivamente in eredità tutti i suoi beni.      Francesco ereditò, dunque, la fabbrica appena diciottenne, insieme ad altri beni, ma con la condizione di venirne in possesso soltanto dopo la morte della vedova Marianna Crocetti [3] . Fino a quella data Francesco sarebbe dovuto restare nella condizione di lavorante stipendiato e sotto...

L'industria della ceramica in provincia di Macerata tra la fine dell'800 e gli inizi del '900.

Alcune note sull’industria della ceramica in provincia di Macerata tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900.                Ritengo interessante esporre, in queste brevi note, un quadro certamente non esaustivo dei centri di produzione di oggetti in ceramica, nella provincia di Macerata, nel periodo che va dalla fine dell’800 ai primi anni del XX secolo. Dai documenti esaminanti, due statistiche, un bollettino ed altro materiale documentario della Camera di Commercio, emerge la presenza di numerose botteghe, sparse in maniera quasi uniforme su tutto il territorio, dalla costa fino alle località montane, ed un solo centro, Pollenza, che poteva vantare la presenza di piccole fabbriche , come venivano definite all’epoca, con una produzione di una certa consistenza e qualità. Le prime occupavano da 1 a 6 lavoratori e producevano ceramica d’uso, oggetti e stoviglie ordinari in terracotta, destinata perlopiù al commercio locale. Quelle di Pollenza pr...
  Un progetto inedito di Giuseppe Valadier per Fano.                 Si conserva, presso l’Accademia di San Luca a Roma, un progetto di Giuseppe Valadier per la liscia ed i molini del tabacco presso il Ponte Astalli di Fano, costituito da una tavola a china ed acquerello, non datata e senza titolo, delle dimensioni di 288 x 441 mm [1] (fig. 1).   Fig. 1. Giuseppe Valadier. Progetto per i mulini del tabacco e la liscia presso il porto di Fano, pianta, prospetto e sezione . Roma, Accademia di San Luca, Fondo Valadier , ASL 2863. Da  http://lineamenta.biblhertz.it:8080/Lineamenta/1033478408.39/1035196181.35/1046533224.67/Sh-p0ixSc/view         Tale disegno è relativo alla zona di Fano compresa tra Porta Giulia ed il canale Albani e rappresenta un sistema per fornire forza motrice al mulino del tabacco collocato in prossimità del Ponte degli Astalli e della parte terminale del Canale...